10 cose da sapere sul PD che sogna Startup Italia (e perché Skype non è di Cagliari)
Se insisto perché i convegni utilizzino wifi e video streaming non è per una fissazione geek. I motivi sono due: il primo, aumentare la partecipazione, anche non fisica delle persone; il secondo, collegato al primo, diffondere attraverso la Rete, quelle che al TED chiamano “ideas worth spreading”. E’ il caso di alcune delle cose che sono state dette lunedì pomeriggio a Milano, ad un convegno promosso dal partito democratico intitolato da Alessia Mosca, con notevole ambizione, Startup Italia. Il wifi non funzionava ma almeno era stato predisposto (era quello del ristorante a piano terra…): pazienza, si fa un passo alla volta. Quanto alla streaming, nisba ed è un peccato perché i contenuti erano buoni. Ecco le cose che mi sono segnato mentre moderavo tre affollate tavole rotonde.
1) il nuovo direttore generale del comune di Milano Davide Corritore sembra parlare di innovazione come se l’avesse sempre “frequentata”, ha annunciato “la rete wifi pubblica più capillare del mondo” dicendo per esempio: “L’accesso ad Internet è anche una questione di democrazia”. Non sono concetti comuni nei nostri amministratori. Vedremo.
2) Riccardo Pietrabissa, prof del politecnico di Milano e presidente di NetVal, ha citato una definizione mirabile: “La ricerca vuol dire investire soldi per ottenere conoscenza; l’innovazione vuol dire investire conoscenza per ottenere soldi”. Mi rendo conto che non è solo questo, ma rende l’idea delle differenze.
3) Gianluca Dettori ha ben spiegato le differenze fra Startup America (piano di Obama per fare sistema fra le tantissime iniziative a sostegno delle nuove iniziative imprenditoriali, soldi pubblici e forte coinvolgimento dei privati); e Startup Chile, piano del governo cileno per attrarre i migliori innovatori del mondo e farli stare lì (c’è anche una startup italiana, trovate la loro lettera, bellissima, nell’ultimo Wired, dove dicono “ce ne andiamo perché lì hanno dimostrato di volerci”. Amara).
4) Anna Poggio, ex manager ora nel team di Pisapia, ci ha fatto balenare l’idea di un Fondo di Milano per le startup.
5) Juan Carlos de Martin mi ha garbatamente invitato a non illudermi quando cito Obama che cita il rettore di Harvard in The Social Network: “Qui i ragazzi vengono a creare un lavoro non a cercarsi un lavoro”, perché, dice, su dieci uno può farcela. E io gli ho detto che l’impresa di quell’uno può dare lavoro agli altri nove.
6) Emil Abirascid ha suggerito una norma che premi chi rileva le quote dei venture capital nelle nuove imprese (così i VC sono incentivati a fare la prima mossa).
7) Luca Rossettini ha raccontato la sua bellissima storia di ingegnere aerospaziale che ha fondato una società che si occupa di detriti spaziali (e io gli ho suggerito di trovare una soluzione anche per Napoli. Lui non ha battuto ciglio: incentivi alla differenziata e riutilizzo del differenziato).
8) Mario Mariani, che ha fatto un pezzo della storia di internet in Italia, con Video online e Tiscali e che ora sta portando su iPad i giornali di mezzo mondo con Paperlit, ha fatto “outing tecnologico”: ha detto in sostanza che Skype poteva nascere in Italia, che la tecnologia era pronta e funzionava alla grande, ma venne inserita nel sistema chiuso di Tiscali e per questo non decollò. “Ed è solo colpa mia”.
9) Tra i vari investitori presenti mi ha colpito il giovane Nicola Redi di Fondamenta che ha annunciato un piano per incubare 10 startup a l’Aquila:il bando lo trovate in rete, scade il 30 settembre, mi pare una bellissima cosa.
10) Per ragioni di treno, non ho assistito all’ultimo intervento di Francesco Tassone: ma la storia, notevole, della sua startup in Calabria, Personal Factory, che ha reinventato il concetto stesso di cemento la trovate nell’ultimo Wired.
Infine mi ha stupito Giovanna Melandri. Non la vedevo da qualche anno e mi ha stupito vedere l’interesse con cui ha seguito tutti gli interventi in prima fila, interloquendo con competenza non comune. Di solito, come ha notato Abirascid, quando si parla di innovazione i politici si riservano il momento dei saluti iniziali.