Nuova telepatia
Giancarlo Baghetti è stato un pilota di Formula Uno negli anni Sessanta e poi un giornalista sportivo. Non sapevo nulla della sua esistenza fino a qualche giorno fa. Dato che stavo leggendo con grande interesse un libro dal titolo Togliatti. La fabbrica della Fiat, ho cominciato a fare qua e là delle ricerche. Sono finito sul canale YouTube «Centro storico Fiat» e saltando da un video all’altro mi sono imbattuto in Giancarlo Baghetti nei panni di giornalista. Ho guardato il video del 1982 in cui viene presentata una Lancia Tema Trevi Volumex. Mi sono appassionato. Ho apprezzato lo stile di Baghetti, la tecnica, il modo di raccontare e divulgare.
I video sono girati e montati con grande cura. Se al volante Baghetti, vestito con una giacca beige a quadri, menziona la lancetta del contachilometri, allora l’inquadratura stacca didatticamente sulla lancetta del contachilometri. 140, 150, 160 chilometri orari. Il motore che sale di giri. Fuori la nebbia e la campagna. La guarnizione perimetrale del lunotto e lo sbrinatore posteriore. Quindi ho visto un secondo video in cui Baghetti prova una Fiat Panda. E un altro in cui guida una Fiat Ritmo. Non guardo i video per intero, ma mi muovo avanti e indietro, magari scegliendo in base ai piccoli fotogrammi che compaiono sopra la barra di avanzamento.
Il giorno dopo un amico mi scrive su Messenger. Non ci vediamo in presenza da agosto e ancora prima non ci vedevamo da cinque, sei mesi, a causa della pandemia, ma pure di altri fattori, a volte noti e a volte meno noti, che hanno reso la frequentazione più rarefatta, sempre meno regolare, dispersa e affidata a comunicazioni e periodiche improvvisate attraverso una finestra di Messenger o su WhatsApp.
Mi scrive su Messenger questa riga: «Una nuova imperdibile passione Giancarlo Baghetti». Così, di colpo. Quindi inoltra il link su YouTube di un video di Baghetti alle prese con una Fiat X19. Ci resto di sasso, anche perché la mia scoperta di Baghetti risaliva appena alla sera prima. Non si tratta certo di un contenuto di attualità, ma di un elemento piuttosto settoriale e nascosto. Per imbattersi in un video di Baghetti occorre essere appassionati di auto o forse fruitori di contenuti genericamente retrò. Oppure, come nel mio caso, arrivarci per strade fortuite e laterali. È come se la mente, ovvero i dati e la cronologia, fossero stati catturati da un mentalista o da un hacker inconsapevoli, che senza volerlo hanno posato il piede lì dove si era stampata la mia orma e una bava dei miei pensieri, dei dati generati dalle mie ricerche on line, era rimasta congelata a mezz’aria.
Ma ciò che mi stupisce è che non è la prima volta che mi capita una coincidenza del genere. La prima volta mi è successo un paio di settimane fa. Sempre su Messenger. Scrivo a un amico. Gli consiglio la visione di un videoclip. Si tratta di un pezzo trap. Rosa Chemical, Radical X e Thelonius B. Sia il pezzo che le immagini meritano. Poco dopo questo amico mi risponde, dicendomi che ha molto apprezzato il videoclip e poi aggiunge di aver apprezzato anche un altro brano. Si tratta di una clip che gli è apparsa nella colonnina dei video consigliati di YouTube, mentre stava guardando il video del quale gli avevo spedito il link. Il brano non era un pezzo trap. Tutt’altro. Era musica, ma di altro genere. Classica, anzi barocca. Era una solenne cantata di Johan Sebastian Bach: «Jesus bleibet meine freude». Ecco, proprio qualche giorno prima io avevo ascoltato più volte «Jesus bleibet meine freude». Non solo: l’avevo cercata in più versioni, digitando il titolo più volte nella finestra di ricerca, dato che la traccia audio mi serviva per un progetto al quale stavo lavorando.
Quindi? Non ho risposte. Si tratta di uno di quei casi che capitano sempre più spesso e ci colgono di sorpresa. Non so con quale categoria interpretare, se non con quel «uncanny valley» a mezzo del quale vengono definiti i fenomeni la cui capacità di disorientare è data da un confine incerto tra umano e artificiale, e che per estensione, direi, definisce anche i fenomeni che documentano il verificarsi di sincronie e coincidenze nella nostra attività on line. A volte saltano agli occhi e ci sbalordiscono, ma io ho l’impressione che la nostra esistenza quotidiana sia sempre più permeata di segrete ricorrenze, simmetrie e rifrazioni, le quali saranno un effetto, immagino, della capacità esponenziale degli algoritmi d’integrarsi nella vita materiale, di radicarsi nei nostri scambi, di conoscere e interpretare le relazioni umane, di nutrirsene, di prevederle e di rafforzarle negli spazi dove gli algoritmi operano creando. E la pandemia non può che aver accelerato questo processo, versando benzina nelle macchine.
Osservare la ricorrenza di certi casi somiglia un po’ all’ascolto di un rumore, più rumori, uno sgocciolio, un piccolo scatto o un rintocco metallico, insomma il lavorio che a volte avvertiamo tra le tubature nei muri delle nostre case, senza capire bene di che cosa si tratta e del quale finiamo per dimenticarci.
Non confonderei il caso del video di Baghetti e di Johan Sebastian Bach con la trasmissione a distanza del pensiero che chiamiamo telepatia. La telepatia, ammesso che esista, prevede consapevolezza. Potrebbe trattarsi invece di un travaso telepatico di memorie, gusti, immaginario, temperature, intensità, categorie, sensibilità, che avviene da un corpo all’altro senza consapevolezza delle parti coinvolte. Ma in fondo, non è così che ci s’influenza e contagia, da sempre, gli uni con gli altri? Le mie considerazioni sono quelle di un non esperto, che come altri esseri umani vive parte della propria vita online. In un contesto così oscuro e in espansione non si può che vivere in una condizione di ingenuità e inconsapevolezza. Come disse in un documentario l’ex Segretario della Difesa americana Donald Rumsfeld: «Ci sono cose che sappiamo di sapere. Sappiamo anche che ci sono incognite conosciute, cioè sappiamo che ci sono alcune cose che non conosciamo. Ma ci sono anche incognite sconosciute; ovvero ci sono cose che non sappiamo di non sapere» («there are things we know we know. We also know there are known unknowns; that is to say we know there are some things we do not know»).