L’anno del turismo sostenibile
Le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2017 Anno del Turismo Sostenibile ma in Italia se ne sono accorti in pochi. Lo scarso interesse può fare il paio con la poca attenzione con cui questa definizione è spesso usata. Scegliere e fare del turismo sostenibile non significa, infatti, limitarsi a viaggiare con mezzi pubblici, in regioni del mondo poco sviluppate, per andare a dormire in capanne (anche perché se viaggiamo con mezzi pubblici che inquinano come draghi, paghiamo i servizi solo a operatori turistici internazionali e affittiamo la capanna da grandi operatori online allora neppure questo è turismo sostenibile). C’è chi – forse per amore di provocazione, ma anche no – sostiene che il turismo più sostenibile è quello che non fai. Invece di andarsene a zonzo per il mondo prendendo aerei e noleggiando auto, sarebbe meglio starsene a casa propria per spendere i soldi nel ristorante fuori porta, per aiutare l’economia locale.
Non sono d’accordo. Il turismo ha molto a che fare con quel che siamo e quel che vogliamo diventare: una volta c’erano le vacanze, un tempo in cui sgravarsi dai pesi quotidiani. Ora invece il viaggio è un’oasi di straordinarietà, dove coltivare quella parte di noi stessi che non riusciamo a far crescere nella quotidianità, è un tempo identitario che ci racconta e ci definisce agli occhi degli altri (pensate a chi sceglie di viaggiare a piedi o in bici: più lentamente si attraversa un territorio e più s’instaura una relazione empatica col paesaggio e i suoi abitanti). È una questione d’impronte. Impronte energetiche e culturali. Riguarda quel che consumi, quel che prendi e quel che dai quando viaggi, non solo dove viaggi o dove dormi.
Il nostro viaggio ha sempre un riflesso sulla cultura locale, anche quando non lo cerchiamo, perché produce un impatto – negativo o positivo – sugli equilibri economici e sociali. Queste conseguenze si avvertiranno sempre più perché è in costante aumento la domanda di turismo esperienziale che richiede un maggiore e migliore contatto con le culture locali che però, spesso fragili, sono da tutelare e rafforzare perché non siano danneggiate dai flussi turistici, ma ne ricavino anzi dei vantaggi. Insomma, è tempo di fare del “Business as usual” qualcosa di differente: dai venticinque milioni di turisti internazionali degli anni ’50, siamo passati al miliardo e duecento milioni di oggi, destinato a raddoppiare in venti anni. Non ci possiamo permettere un turismo predatorio, indifferente alle ricadute economiche e sociali sui territori visitati.
Insomma, il turismo sostenibile è un po’ il Robin Hood dei turismi, perché rosica i margini ai ricchi (le multinazionali, i grandi tour operator, le OTA e i grandi attori della sharing economy) per distribuire i guadagni alle comunità locali. Rispetta i tre pilastri della sostenibilità (ambientale, sociale ed economica) perché è a basso impatto ambientale, non ostacola lo sviluppo di altre attività sociali ed economiche, ha a cuore l’equità sociale, e ritiene che il connubio tra ambiente e lavoro sia imprescindibile. Tutti obiettivi perseguibili in Paraguay e in Cambogia e pure nell’Oltrepò Pavese e sulle isole greche.
Le Nazioni Unite lo sanno bene, ecco perché hanno iniziato anni fa un percorso di condivisione e promozione che ha fatto dichiarare il 2017 l’anno del turismo sostenibile. L’infografica a cura dell’UNWTO, l’Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa del coordinamento delle politiche turistiche e promuove lo sviluppo di un turismo responsabile e sostenibile, mostra perché il turismo è importante:
Nel 2012 alla Conferenza Rio+20 sullo Sviluppo sostenibile, le Nazioni Unite dichiararono che un turismo fatto bene e ben gestito contribuisce allo sviluppo sostenibile da un punto di vista economico, sociale e ambientale. A gennaio 2016, sono diventati esecutivi i diciassette Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS, in inglese SDGs) da declinarsi in 169 azioni. Quel che a prima vista potrebbe apparire un mero elenco formale, mostra invece quanto sia complesso un reale sviluppo sostenibile, quanti siano i vantaggi nel farlo bene e quali i danni nel non farlo. Eccoli elencati nell’infografica rilasciata dal sito del Dipartimento per lo Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite, dove trovate anche il dettaglio dei singoli obiettivi:
Tutte e diciassette possono essere priorità del turismo, che però è previsto espressamente da tre: la SDG 8 (il turismo come driver per la crescita economica globale, duratura e inclusiva, già in grado di fornire un posto di lavoro ogni undici a livello mondiale); la SDG 12 (il turismo che adotta modelli sostenibili di consumo e produzione può accelerare il passaggio globale alla sostenibilità) e la SDG 14 (il turismo costiero e marittimo – il più importante in termini di fatturato globale e in particolare per lo sviluppo dei piccoli stati insulari- è strettamente correlato con il benessere e la difesa dell’ecosistema marino). Se volete saperne di più, il sito ufficiale Tourism4development2017 ha una bella sezione dedicata alla conoscenza condivisa (da cui sono tratte anche l’immagine iniziale e il video promozionale).
Il turismo sostenibile, quello che connette le persone con le persone, le idee con le idee e le persone con le idee, ti porta ad intrattenere con il territorio una relazione complessa, fatta di interdipendenze, ma soprattutto di empatia che trasforma il viaggio in un bene relazionale, un incontro esperienziale che sfocia in una relazione benefica e beneaugurante. Il viaggio, allora, diventa un orizzonte mentale ed emotivo in divenire aperto, cangiante e intriso di socievolezza e cultura civile entro cui collocarsi e collocare la propria libertà e le intelligenze plurime di cui siamo portatori quando si agisce localmente e si pensa globalmente.
Un viaggio che può davvero contribuire a cambiare – in meglio – il mondo. Lo spiega Aziz Abu Sarah, un imprenditore turistico e attivista palestinese che ha perso il fratello maggiore nell’Intifada, nella sua testimonianza a una TED Conference: “Per avere più tolleranza, abbiamo bisogno di più turismo?”