L’Europa non è pronta al ritorno di Trump
Verosimilmente sarà messa in crisi da nuovi dazi commerciali, da un ridotto sostegno all'Ucraina, e dal rapporto che Trump proverà a coltivare con l'estrema destra europea
Il ritorno di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti sarà verosimilmente un grosso problema per l’Unione Europea e per l’Europa in generale. Già durante il primo mandato Trump ha reso evidente che il suo slogan America first (“Prima l’America”) si concretizza in decisioni politiche ed economiche che danneggiano e mettono in crisi i principali paesi europei. Durante la campagna elettorale ha presentato programmi ancora più radicali per il secondo mandato, che peraltro arriverebbero in un momento di particolare debolezza economica e politica dell’Europa.
La crisi economica della Germania, a lungo economia trainante di tutta l’Unione, e la fragilità delle leadership politiche del presidente Emmanuel Macron in Francia, del cancelliere Olaf Scholz in Germania, ma anche del primo ministro britannico Keir Starmer (i suoi indici di gradimento sono in netto calo dopo pochi mesi), oltre a un momento di stallo nel processo di integrazione dell’Unione Europea, rendono l’Europa particolarmente vulnerabile.
In questi mesi Trump ha promesso di applicare dazi ingenti sulle merci straniere in vendita negli Stati Uniti, compresi espressamente quelle europee, si è mostrato meno disposto a proseguire nella politica di aiuti militari ed economici per l’Ucraina e ha ribadito che considera la NATO un’alleanza sbilanciata, in cui i paesi europei approfitterebbero “gratis” della protezione degli Stati Uniti. A questo si aggiungono programmi poco compatibili con quelli europei su cambiamento climatico, transizione ecologica e politiche monetarie e finanziarie, solo per citarne alcuni.
Subito dopo l’ufficialità dell’elezione di Trump vari leader europei hanno inviato immediati messaggi pubblici al prossimo presidente, che aggiungevano alle congratulazioni inviti a una “proficua collaborazione”. La presidente della commissione europea Ursula von der Leyen ha ricordato come «milioni di posti di lavoro e miliardi di dollari in commercio e investimenti» dipendano dai legami fra Unione Europea e Stati Uniti. Il segretario generale della NATO, l’ex primo ministro dei Paesi Bassi Mark Rutte, ha detto che l’alleanza atlantica «favorisce gli interessi americani, aumenta il potere americano e tiene al sicuro i cittadini statunitensi». Macron ha parlato di una collaborazione che deve continuare «con le tue convinzioni e con le mie, con rispetto e ambizione». Sono messaggi che a meno di enormi sorprese non modificheranno l’approccio di Trump.
Subito dopo il messaggio di congratulazioni Macron ha anche pubblicato sui social un invito al cancelliere Olaf Scholz a lavorare per una Europa «più unita, più forte e più indipendente in questo nuovo contesto».
I principali leader europei, colti piuttosto di sorpresa dalla prima presidenza Trump, si preparano alle conseguenze di una sua rielezione da tempo, ma senza ottenere risultati che possano essere considerati rassicuranti. In sede europea è stata studiata una possibile politica di dazi “di ritorsione”, da utilizzare in sede di trattativa e per scongiurare quelli statunitensi, ma anche possibili politiche comuni con l’amministrazione Trump in ottica anti-cinese.
In campo militare, in collaborazione con l’amministrazione del presidente Joe Biden, sono stati definiti aiuti a lunga scadenza per l’Ucraina pari a 35 miliardi di euro, che in sostanza coprono la quota che era stata calcolata per gli Stati Uniti, mentre la NATO in estate ha varato una nuova struttura, con sede in Germania, che si occuperà di formare i soldati ucraini e fornire aiuti militari. Si tratta però di soluzioni temporanee che non mettono al sicuro l’Europa da un eventuale disimpegno statunitense nell’opposizione alla Russia. Trump ha promesso di fermare la guerra «in 24 ore», ma se davvero decidesse di non sostenere più l’Ucraina l’Europa si troverebbe sola e poco attrezzata per sopperire agli enormi aiuti garantiti dagli Stati Uniti da due anni e mezzo a questa parte.
La questione della difesa non riguarda solo l’Ucraina, ma la stessa sicurezza dei paesi membri dell’Unione, la cui difesa continua a dipendere in modo quasi totale dal sostegno della NATO. Negli ultimi anni la gran parte dei paesi europei ha stanziato più fondi per le proprie spese militari, avvicinandosi o arrivando al 2 per cento del proprio budget (condizione prevista dai trattati NATO e quasi mai rispettata), ma senza raggiungere una vera indipendenza e autonomia dal punto di vista militare.
Secondo il commissario europeo francese Thierry Breton, durante il suo primo mandato Trump sarebbe stato molto diretto in un colloquio con von der Leyen: «Ha detto a Ursula che doveva capire che se l’Europa fosse stata sotto attacco gli Stati Uniti non sarebbero mai venuti in suo aiuto». Nello stesso colloquio avrebbe definito la NATO «morta» e avrebbe indicato la volontà di abbandonare l’alleanza. Allora non diede immediato seguito a quella minaccia.
I principali leader europei, insomma, sono coscienti che l’Europa è lontana dall’essere indipendente dagli Stati Uniti sotto vari punti di vista. A questo si aggiungeranno i modi differenti con cui i paesi europei sceglieranno di comportarsi con la nuova amministrazione. In teoria i vari governi dell’Unione accettano di condividere parte della propria politica estera con tutti gli altri stati membri: in pratica, soprattutto con un presidente divisivo come Trump, è possibile che ci si muova in ordine sparso.
Mercoledì il primo ministro ungherese Viktor Orbán e la presidente del Consiglio Giorgia Meloni hanno commentato con grande enfasi la notizia dell’elezione di Trump: Orbán e Meloni sono due capi di governo piuttosto saldi, con vari punti di contatto politici con Trump, e poco interessati a preservare la coesione europea. Potrebbero insomma decidere di avviare un rapporto personale e privilegiato con la nuova amministrazione statunitense, delegittimando gli sforzi delle istituzioni europee.