L’uomo che fece conoscere l’horror a milioni di bambini
«Piccoli brividi serve a motivarli a leggere, non voglio davvero spaventarli. Ok, forse solo un pochino», dice R.L. Stine
di Viola Stefanello
Nei suoi 81 anni di vita Robert Lawrence Stine ha scritto più di 300 libri. C’è stata la serie di horror per adolescenti Fear Street, composta da oltre 100 romanzi. Ci sono state decine di singoli romanzi, alcuni comici e altri dell’orrore, pensati per un pubblico adulto. Ma soprattutto, c’è la serie che l’ha reso il secondo autore horror statunitense più letto al mondo dopo Stephen King: Goosebumps, pubblicata in Italia da Mondadori a partire dal 1995 con il titolo di Piccoli brividi.
Secondi solo alla saga di Harry Potter nella classifica delle saghe più vendute nella storia, Piccoli brividi oggi è considerato un’istituzione della letteratura per l’infanzia da una parte consistente degli italiani cresciuti tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila. Al festival Lucca Comics & Games, dove Stine ha parlato il giorno di Halloween annunciando peraltro sei nuovi romanzi della serie, la lunga fila per salutarlo e chiedergli un autografo era composta in larga parte da ventenni, trentenni e da qualche quarantenne. Ancora oggi, gli esperti di letteratura per bambini riconoscono ai Piccoli Brividi il merito di aver fatto appassionare alla lettura milioni di bambini, soprattutto maschi, e di aver ispirato una generazione di nuovi autori per bambini e ragazzi.
«Mi capita spesso di partecipare a eventi del genere e incontrare persone che mi dicono “sei stato la mia infanzia”, “grazie di avermi aiutato a superare un’infanzia difficile”, “non sarei mai diventato uno scrittore se non fosse per te”. È magnifico, estremamente gratificante», dice Stine. «Ma mi ero già accorto di questo fenomeno nel 2015, quando uscì il film di Piccoli brividi in cui io ero interpretato da Jack Black. Per una settimana buona fu il film più visto negli Stati Uniti, e il motivo erano tutti i trentenni che andavano a vederlo per nostalgia e ci portavano i figli. Attorno a Piccoli brividi adesso ci sono questi due pubblici paralleli che permettono alla storia di durare più a lungo».
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I primi tre romanzi di Piccoli brividi uscirono insieme nel luglio del 1992 per la piccola casa editrice americana Parachute Press. «Io stavo già scrivendo questa serie horror per ragazzi che si chiamava Fear Street, e stava andando molto bene. Uccidevo adolescenti ogni mese, e per qualche ragione la gente adora leggere di adolescenti assassinati. A un certo punto mia moglie e la sua socia mi avvicinano e mi dicono: “Sai cosa non ha ancora fatto nessuno? Una serie di libri spaventosi pensati per i bambini tra i 7 e gli 11 anni. Dovremmo provarci”», racconta Stine.
Stine aveva cominciato a scrivere racconti a nove anni, dopo aver trovato una vecchia macchina da scrivere nella soffitta di casa sua. Ma, soprattutto, da qualche anno collaborava assiduamente con la casa editrice di libri scolastici ed educativi Scholastic: aveva cominciato scrivendo per la loro rivista di racconti umoristici per ragazzi, Bananas, e produceva anche testi pedagogici su storia e geografia. In questo modo aveva imparato a scrivere in modo diverso a seconda del livello di capacità di lettura degli studenti. «Io dissi di no, perché questo è il genere di fiuto per gli affari che mi ritrovo, ma loro continuarono a punzecchiarmi fino a quando non accettai di scrivere due o tre libri se avessero trovato un nome davvero buono per la serie», racconta.
Il primo Goosebumps – che in italiano si traduce letteralmente con “Pelle d’oca” – si chiamava Welcome to the dead house (La casa della morte) e raccontava la storia di una coppia di fratelli, Amanda e Josh, che si trasferiscono nella città di Cascata Tenebrosa e si rendono lentamente conto che tutti i loro vicini di casa sono morti viventi. La prosa era asciutta, ripetitiva, semplice ma evocativa, pensata esplicitamente per dei lettori con un vocabolario limitato, e colma di un sottile senso dell’umorismo. I finali erano standard e rassicuranti: i misteri venivano risolti, i mostri sconfitti, nessuno si faceva veramente male.
A colpire moltissimi fu poi la copertina, disegnata dall’illustratore Tim Jacobus, che avrebbe poi disegnato tutte le copertine dei primi cento Piccoli brividi: al centro c’era una vecchia casa minacciosa e imponente, con la porta d’ingresso leggermente socchiusa e una figura inquietante illuminata nella finestra. Le illustrazioni di Jacobus, spesso più spaventose del contenuto effettivo del libro, sarebbero diventate una parte centrale e memorabile dell’esperienza di comprare e leggere Piccoli brividi. In Italia il fascino della serie era poi accresciuta dal taglio – cioè il bordo delle pagine – di colore verde fosforescente, non presente nell’edizione americana.
Nei primi mesi, le vendite di Piccoli brividi non furono incredibili. Poi, quasi all’improvviso, Stine racconta che cominciarono a crescere moltissimo «non perché avessimo fatto chissà che pubblicità, nessuno mi conosceva. Erano i bambini che ne parlavano agli altri bambini. Una rete segreta di bambini che si consigliavano a vicenda di andare a cercare Piccoli brividi in libreria o che li portavano a scuola per mostrarli a tutti gli altri. Poi è decollato in tutto il mondo. È stata una cosa fantastica e fortunata, nessuno se la aspettava».
Altri lettori arrivarono nel corso degli anni dalle varie serie tv ispirate ai libri: la più memorabile resta tuttora quella andata in onda tra il 1995 e il 1998, che aveva peraltro nel cast un giovanissimo Ryan Gosling e Hayden Christensen, l’Anakin Skywalker della trilogia prequel di Star Wars.
Nei primi quattro anni dalla pubblicazione, La casa della morte vendette 4 milioni di copie soltanto negli Stati Uniti. In totale sono stati venduti più di 400 milioni di copie in 35 lingue diverse. Secondo i dati di Mondadori, negli ultimi trent’anni sono stati venduti oltre 9 milioni e mezzo di copie in italiano. Oltre al colore del taglio e al rilievo delle scritte in copertina, le edizioni in italiano furono a loro modo innovative anche perché venivano spesso vendute insieme a set di adesivi ispirati al racconto. Spesso brillavano nel buio, e molti amavano attaccarli sul diario di scuola, sulla bicicletta o in giro per la propria cameretta. Nello stesso periodo Mondadori tentò di replicare il successo di Piccoli brividi anche con la serie di fantascienza per bambini Animorphs di K. A. Applegate, i cui libri venivano venduti insieme a pacchetti di adesivi o tatuaggi temporanei.
L’enorme popolarità della serie negli anni Novanta provocò anche una reazione di rigetto da parte di alcuni genitori, soprattutto negli Stati Uniti. Come ha scritto la ricercatrice Nicole Tanner, da decenni in America e non solo c’era chi temeva che le storie per bambini colme di elementi fantastici «aumentassero l’inclinazione alla delinquenza giovanile, all’analfabetismo, alla pigrizia mentale e alla mancanza di rispetto per l’autorità». Altri si lamentavano del fatto che i libri non contenessero una morale precisa che i bambini potessero imparare: i protagonisti erano ragazzini qualunque, spesso piuttosto fifoni e imperfetti, che si trovavano all’improvviso in situazioni assurde e dovevano capire come uscirne.
Spesso l’unica morale era che avere paura di qualcosa è del tutto normale. «Le storie di Stine piacevano così tanto ai bambini perché dicevano loro che avere ansie e paure è normale e consentiva loro di affrontare queste emozioni in un ambiente sicuro e controllato. Stine non parla loro dall’alto in basso. Piuttosto, attinge al fatto che i bambini si sentono ignorati e incompresi dalle figure d’autorità della loro vita», ha spiegato il giornalista Brandon Moore.
Uno dei più amati, La maschera maledetta, ricordava per esempio un po’ la storia di Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson, raccontando la storia di una ragazzina che comprava una maschera ripugnante per il proprio costume di Halloween e veniva posseduta da un’entità che la trasformava in un mostro vendicativo intenzionato a punire i compagni di classe che le avevano fatto mangiare un panino pieno di vermi. Un altro volume, Foto dal futuro, aveva come protagonisti un gruppo di amici che trovavano una macchina fotografica maledetta capace di prevedere eventi sfortunati.
Forse il personaggio rimasto più impresso a tanti lettori, però, è quello del pupazzo di legno da ventriloquo Slappy, che ricorre in vari racconti della serie a partire da Il pupazzo parlante: capace, appunto, di muoversi da solo e di parlare, Slappy mette in costante difficoltà i bambini che lo possiedono (per esempio insultando gli adulti o vomitando liquido verde). Ma, soprattutto, è davvero, davvero difficile da distruggere.
Altri ancora pensavano che i bambini delle elementari fossero troppo piccoli per leggere cose così spaventose, benché Stine fosse stato molto attento a scrivere libri che non contenessero effettive scene di violenza o pericoli “reali”: nei Piccoli brividi, piuttosto, gli antagonisti erano sempre figure paranormali come mummie, alieni, mostri, abominevoli pupazzi di neve, zombie, lupi mannari. «Una delle paure principali che si trovano nei romanzi di Piccoli brividi è la paura che gli altri scoprano la propria codardia. I narratori spesso ammettono di essere paurosi, il che poi rassicura i lettori che a volte è giusto essere spaventati», spiega Tanner. «Sono romanzi che mostrano che avere paura, a volte, può essere un’esperienza divertente, e che la paura come emozione non dev’essere evitata».
Nonostante le critiche e le richieste di rimuovere Piccoli brividi dalle biblioteche scolastiche, molta gente che con i bambini lavorava quotidianamente li sosteneva invece moltissimo, sottolineando come la serie riuscisse a far appassionare alla letteratura soprattutto i maschi, che statisticamente hanno una propensione leggermente inferiore alla lettura rispetto alle bambine. «Già all’epoca tanti bibliotecari e insegnanti d’inglese si erano accorti che i bambini leggevano davvero Piccoli brividi con avidità, e quindi divennero grandi sostenitori della serie. Ci hanno aiutato moltissimo [a contrastare le critiche], sono stati meravigliosi», ricorda Stine.
«Piccoli brividi deve servire a motivare i bambini a leggere, niente di più. Non voglio davvero spaventare i bambini. Ok, forse solo un pochino», dice Stine. «Ma ricevo ancora un sacco di lettere, da bambini e adulti. Non hanno il mio indirizzo email, sono lettere vere e proprie. Negli anni d’oro di Piccoli brividi c’erano cinque persone a seguire la posta, oggi ci sono solo io. E mi segno sempre le più divertenti. Tipo: “Caro R. L. Stine, ho letto i tuoi libri talmente tante volte che ora i miei genitori mi devono scortare al bagno”. “Caro R. L. Stine, sei stato in visita alla mia scuola. Io sono quello che ti ha pestato il piede, non so se ti ricordi di me”. Certo che mi ricordo di quel ragazzino».
Piccoli brividi continua a uscire, anche se non tutti i mesi come nei suoi primi anni: Stine oggi passa molte meno ore della giornata a scrivere. «Una cosa importante che bisogna tenere a mente ora è che nelle storie ambientate ai giorni d’oggi devi trovare un modo di liberarti dei cellulari il prima possibile. Quindi ho scritto un libro in cui tutti partecipavano a una festa di compleanno che aveva la regola di non portare il cellulare con sé. In un’altra c’è una ragazzina che corre a cercare il cellulare per chiedere aiuto e scopre che è completamente scarico», racconta l’autore. E non è preoccupato dall’idea che i bambini possano essere meno interessati alla lettura rispetto alle generazioni precedenti: «Quando ho cominciato a lavorarci io, il settore della letteratura per bambini era minuscolo. Oggi è un mercato da miliardi di dollari. Ce n’è per tutti i gusti. Sono molto ottimista».
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