Le alluvioni a Valencia sono diventate un caso politico
Il governo regionale (dei Popolari) e quello nazionale (dei Socialisti) si stanno rimpallando la responsabilità di quello che non ha funzionato
In Spagna è diventata un caso politico la gestione dei soccorsi e degli aiuti, dopo le gravi alluvioni della settimana scorsa in cui sono morte più di 200 persone nella Comunità Valenciana e nelle regioni vicine più a sud. Da giorni c’è un dibattito sulla risposta delle autorità alle alluvioni: in particolare se la gestione dell’emergenza debba restare alla regione – come è stato finora – o se debba assumerla il governo centrale, che finora ha rinunciato a farlo nonostante gli errori e i ritardi dell’amministrazione regionale.
Il primo ministro Pedro Sánchez e il presidente della Comunità Valenciana, Carlos Mazón, fanno parte di campi politici avversi, rispettivamente Socialisti (centrosinistra) e Popolari (centrodestra), ma fino a lunedì avevano cercato di mostrarsi uniti in un momento difficile. Martedì Sánchez ha annunciato un piano di aiuti da 10,6 miliardi di euro; lunedì Mazón ne aveva chiesti di più, per un totale di 31,4 miliardi.
Questo dibattito si è intensificato dopo che domenica erano stati contestati il re Felipe e la moglie Letizia Ortiz, oltre agli stessi Sánchez e Mazón, mentre erano in visita a Paiporta, la città limitrofa a Valencia che è stata una delle più danneggiate dalle alluvioni (solo qui sono morte oltre 60 persone). La protesta ha fatto riparlare della rabbia degli abitanti dei centri alluvionati, anche se il governo ha cercato di non darle grande importanza, dicendo che ci sono state infiltrazioni di attivisti di estrema destra.
A partire da domenica sono però aumentati gli attacchi tra Socialisti e Popolari, che si sono incolpati a vicenda di ciò che non ha funzionato. In pratica, è finita la fase di unità istituzionale che era durata faticosamente qualche giorno. Martedì Sánchez si è sottratto a questo dibattito, dicendo che «ci sarà tempo […] per scoprire di chi sono le responsabilità» e che ora «ciò di cui hanno bisogno i cittadini è una risposta rapida».
Fin dall’inizio la posizione di Sánchez era stata offrire collaborazione e «tutto quello che sarà necessario» alla Comunità Valenciana. In un primo momento Mazón aveva dichiarato un’emergenza di secondo livello, incaricando della gestione il suo governo regionale. Venerdì aveva aumentato il coinvolgimento del governo centrale, includendo sette ministri di Sánchez nella task force di crisi, ma senza elevare l’emergenza al livello successivo, quello nazionale, cosa che avrebbe richiesto l’intervento diretto del governo.
È un discorso meno formale di quanto sembri. Sánchez ha ricevuto diverse pressioni, anche dall’interno del suo partito, da parte di chi pensava che il governo sarebbe stato più veloce ed efficiente nel coordinare gli aiuti nella fase concitata dell’emergenza. In poche ore Mazón era passato dal chiedergli 500 a 5mila soldati: alla fine nei soccorsi ne sono stati impiegati 4,3mila, oltre a 4,4mila agenti di polizia. La ministra della Difesa, Margarita Robles, ha detto che l’intervento dell’esercito è avvenuto in ritardo perché si aspettava l’autorizzazione dalla Comunità Valenciana.
Anche se avrebbe potuto farlo, Sánchez non ha voluto dichiarare unilateralmente un’emergenza nazionale, come avvenne per esempio durante la pandemia da Covid-19 (a posteriori quello stato d’emergenza venne giudicato illegittimo dalla Corte Costituzionale spagnola). Sánchez ha spiegato che il governo regionale è quello più adatto a coordinare le operazioni in virtù della sua conoscenza dei luoghi. Anche per il piano di aiuti annunciato martedì ha lasciato la gestione a Mazón.
Il leader dei Popolari e dell’opposizione, Alberto Núñez Feijóo, si è infilato in questo rimpallo di poteri e responsabilità. Feijóo ha sostenuto, in sintesi, che la regione (governata dal suo partito) non avesse sbagliato niente, e che le colpe erano esclusivamente delle agenzie statali: e quindi del governo di Sánchez. Così facendo Feijóo ha scavalcato Mazón, che fino a quel momento si era tenuto cauto sulle eventuali responsabilità. A quel punto erano già noti i ritardi con cui la Comunità Valenciana aveva allertato i cittadini: gli avvisi sono stati ricevuti di sera, quando molte zone erano già allagate.
Lunedì anche Mazón ha cambiato tattica e ha difeso il suo operato, incolpando invece la Confederación Hidrográfica del Júcar, l’autorità di bacino del fiume che attraversa la provincia di Valencia, di aver rimandato tre volte l’allerta. Il ministero della Transizione ecologica, da cui dipende la Confederación Hidrográfica, l’ha smentito, spiegando che tra l’altro la cosa non fa parte delle prerogative dell’autorità. Lunedì Núñez Feijóo ha infine chiesto di dichiarare un’emergenza nazionale, un passaggio che come detto esautorerebbe il presidente di regione espresso dal suo partito.
Poi c’è la questione della protesta di domenica a Paiporta. I giornali spagnoli hanno ricostruito che il governo di Sánchez aveva sconsigliato la visita, però il re ha insistito e allora Sánchez lo aveva accompagnato. Inizialmente era prevista una tappa anche a Chiva, sempre nelle zone alluvionate, ma era stata annullata dopo le contestazioni, nelle quali il primo ministro è stato anche colpito con un bastone (non è stato ferito).
Inoltre l’auto su cui Sánchez ha lasciato la città è stata colpita da alcune persone, che ne hanno spaccato il lunotto posteriore. «Gli incidenti e gli scontri non solo sono sfuggiti di mano ai protagonisti, ma anche al dispositivo di sicurezza», ha commentato il quotidiano conservatore El Mundo.
Ci sono stati problemi di sicurezza, nonostante i dettagli della visita fossero stati tenuti segreti fino all’ultimo. Il ministro dei Trasporti, Óscar Puente, ha detto che era «inopportuna» e che averla consentita è stato «un errore di calcolo». Domenica Sánchez ha ridimensionato la portata delle proteste, attribuendo le contestazioni ad «alcune persone violente assolutamente marginali». Mentre lui e Mazón (che ha detto che come politico è il suo lavoro accettare «l’indignazione sociale») hanno lasciato Paiporta, il re Felipe e la regina Letizia si sono fermati ad ascoltare i racconti dei residenti, cercando di mediare.
Infine resta da chiarire il ruolo dell’estrema destra nella protesta di Paiporta. Il giornale El Diario ha scoperto che dentro uno dei gruppi WhatsApp di Revuelta, un’organizzazione giovanile vicina al partito Vox, si parlava della presenza di loro «volontari» in città, cioè di attivisti. Un anno fa, dei militanti di Revuelta avevano contribuito a organizzare delle rivolte sotto la sede del Partito Socialista, in calle de Ferraz, a Madrid. In questo gruppo WhatsApp, alcuni utenti si rammaricavano che Sánchez fosse «uscito vivo dalla nostra zona».
I Socialisti hanno diffuso una loro analisi sulla presenza di attivisti di estrema destra a Paiporta. Per esempio, uno dei giovani che ha aggredito verbalmente il re indossava una felpa con scritto “División 250”, un riferimento alla divisione di fanteria che il dittatore Francisco Franco mandò a combattere insieme all’esercito nazista durante la Seconda guerra mondiale. Altre persone avevano vestiti di “Desde 1212”, un brand che ha un’identità nazionalista, o magliette con la croce di Borgogna, un simbolo monarchico di cui si è appropriata l’estrema destra.
Nelle foto si vede anche che una delle persone che avevano afferrato re Felipe per un braccio ha un tatuaggio riconducibile a un gruppo di ultras della squadra di calcio del Valencia, la “gradinata Mario Kempes”, con una storia di saluti nazisti e cori razzisti contro calciatori stranieri (nel 2023 si parlò molto di quelli rivolti al calciatore del Real Madrid Vinícius Júnior). La Guardia Civil, la polizia spagnola, ha confermato ai media spagnoli che sta indagando sulla cosa.
Comunque la maggior parte delle persone che domenica hanno contestato i reali e i politici, in alcuni casi tirando loro il fango, non erano probabilmente attivisti di estrema destra. «Che ci fossero alcuni infiltrati non vanifica la realtà. L’indignazione è stata interiorizzata», ha scritto La Vanguardia, il principale quotidiano catalano, ricordando che molti abitanti delle zone alluvionate si sono sentiti abbandonati, e sono quindi delusi, tanto dal governo nazionale quanto da quello regionale.
Il partito di estrema destra Vox è stato quello che ha provato maggiormente a strumentalizzare a fini politici le alluvioni. Il suo leader, Santiago Abascal, sui social ha invocato dimissioni collettive (senza specificare il partito, anche se ritiene Sánchez «il principale responsabile») e poi un processo ai politici locali e nazionali. Tra l’altro Vox, quando era ancora alleata dei Popolari e faceva parte del governo di Mazón, aveva chiesto e ottenuto lo scioglimento dell’Unidad de Emergencias, un organo per migliorare il coordinamento in caso di disastri naturali che era stato voluto dal precedente governo, di centrosinistra, ma non era ancora diventato operativo.
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