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  • Lunedì 4 novembre 2024

Come si elegge il o la presidente degli Stati Uniti

Un ripasso sui grandi elettori, gli stati, il voto per posta: come ogni quattro anni

La Casa Bianca a Washington D.C. (AP Photo/Susan Walsh)
La Casa Bianca a Washington D.C. (AP Photo/Susan Walsh)
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Martedì 5 novembre si tengono le elezioni presidenziali negli Stati Uniti. Per capire cosa succederà quel giorno e chi vincerà è importante sapere come funziona il sistema elettorale statunitense, che è piuttosto complicato e funziona in modo molto diverso rispetto a quello italiano e di altri stati europei.

Come si decide chi vince
Anche se alla fine il vincitore sarà solo uno, nella pratica martedì ci saranno 51 elezioni separate, una in ciascuno dei 50 stati statunitensi più il distretto della capitale, Washington. Ci sono regole elettorali federali, cioè comuni a tutti gli stati, ma il risultato finale sarà determinato dalla somma dei voti locali. Ogni stato mette in palio un certo numero di “grandi elettori”: sono loro che alla fine eleggono il o la presidente. Per capire il meccanismo, possiamo considerare i grandi elettori come dei punti: ogni stato assegna un certo numero di punti, proporzionale alla sua popolazione (e non alle sue dimensioni, semplificando).

In tutto i grandi elettori, e quindi i punti, sono 538. Vince chi riesce a ottenerne almeno la metà più uno, ossia 270. La tabella qui sotto indica il numero di grandi elettori assegnati da ogni stato.

I punti di uno stato – per esempio, i 19 della Pennsylvania – vanno tutti al candidato che arriva primo in quello specifico stato. Non c’è una distribuzione proporzionale: chi prende anche solo un voto più degli altri se li aggiudica tutti (a parte in due stati, ma ci arriviamo). Per questo perdere o vincere di tre voti o di tre milioni di voti in un certo stato non cambia nulla ai fini del risultato finale.

I grandi elettori sono assimilabili a dei punti per scopi pratici, ma esistono davvero: sono attivisti, volontari o politici locali, che vengono scelti dai candidati in ogni stato. In Pennsylvania quindi Kamala Harris ha compilato una lista di 19 persone di fiducia, che verranno elette in caso di vittoria di Harris. Altrimenti verranno eletti i 19 grandi elettori scelti da Donald Trump.

– Leggi anche: Lo stato dove Kamala Harris non può perdere

Una volta eletti, i grandi elettori dovranno formalmente esprimere un voto per il candidato che vogliono eleggere presidente: per vincere bisogna ottenere la maggioranza assoluta dei loro voti, quindi almeno 270 su un totale di 538.

L’organo che riunisce i grandi elettori scelti con il voto dei cittadini si chiama collegio elettorale (electoral college, in inglese), ma in realtà non si riunisce mai fisicamente. I grandi elettori si radunano nei rispettivi stati il martedì successivo al secondo mercoledì di dicembre (quest’anno sarà il 17 dicembre), votano per un candidato alla presidenza e uno alla vicepresidenza e poi comunicano a Washington la loro scelta.

I grandi elettori sono legalmente liberi di votare per chi vogliono, a prescindere dal candidato a cui erano collegati e alla lista di cui facevano parte. Di fatto però votano sempre per il candidato del partito a cui sono associati. Per fare un esempio, supponiamo che in California vinca Harris: a quel punto ci si aspetta che tutti i 54 grandi elettori espressi dalla California voteranno per lei. Se invece in Idaho vince Trump, i quattro grandi elettori espressi dallo stato voteranno tutti per lui.

L’impegno politico dei grandi elettori nei confronti dei loro partiti è stato violato poche volte nella storia degli Stati Uniti, e mai in modo determinante per il risultato finale di un’elezione. Molti stati hanno inoltre introdotto delle leggi apposite per punire i cosiddetti faithless electors, ossia i grandi elettori che non votano come previsto: possono essere multati e sostituiti con un altro grande elettore fedele al proprio partito, in modo da non rischiare di “falsare” il risultato e la volontà dei cittadini.

Cartelli durante la campagna elettorale a Nashville, in Tennessee

Cartelli durante la campagna elettorale a Nashville, in Tennessee (AP Photo/George Walker IV)

Capita comunque che un grande elettore minacci o decida di non votare per il candidato del proprio partito, per protesta o per attirare l’attenzione. Dalla fine del Settecento a oggi si stima che solo 90 grandi elettori abbiano votato diversamente rispetto a quanto indicato dal loro partito, su un totale di 23.507 voti espressi.

I voti espressi dai grandi elettori di tutti gli stati devono essere convalidati dal vicepresidente in carica, quindi al momento proprio da Harris. È un passaggio in gran parte formale e solitamente poco raccontato dai media, ma che di recente ha creato non pochi problemi. Il 6 gennaio del 2021 i sostenitori di Trump assaltarono la sede del Congresso, a Washington, proprio per chiedere all’allora vicepresidente Mike Pence, Repubblicano, di non ratificare la vittoria di Joe Biden sancita dal collegio elettorale, un evento senza precedenti che fu seguito da centinaia di denunce e processi. Fu incriminato anche Trump, con l’accusa di aver cercato di sovvertire il risultato di una regolare elezione.

Dopo la ratifica da parte del Congresso e del vicepresidente si arriva all’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti, che cade sempre il 20 gennaio dell’anno successivo a quello del voto, quindi in questo caso il 20 gennaio del 2025.

– Leggi anche: Glossario minimo per seguire le elezioni americane

E se finisce in parità?
Dato che i grandi elettori sono in totale 538, è possibile (seppure molto improbabile) che l’elezione finisca in parità, con entrambi i candidati che ottengono esattamente 269 grandi elettori. In quel caso l’elezione del presidente e del vicepresidente degli Stati Uniti diventerebbero competenza del Congresso: semplificando, la Camera dovrebbe eleggere il presidente, e il Senato il vicepresidente.

Il 5 novembre si terranno anche le elezioni per rinnovare tutti i 435 membri della Camera e 33 membri su 100 del Senato: in caso di parità il Congresso che eleggerebbe presidente e vicepresidente sarebbe quello rinnovato, e non quello attuale. Anche alle elezioni del Congresso i risultati sono incerti, ed è difficile fare previsioni per capire cosa succederebbe in questa situazione.

Voto popolare e voto degli stati
A causa di questo sistema, non basta ottenere più voti a livello nazionale per diventare presidente. Diverse volte è successo il contrario: nel 2016 per esempio la candidata Democratica Hillary Clinton prese quasi tre milioni di voti in più rispetto a Donald Trump. Trump però vinse in abbastanza stati per ottenere 306 grandi elettori, mentre Clinton 232, e diventò quindi presidente.

Un seggio per il voto in anticipo in Nevada, il 19 ottobre

Un seggio per il voto in anticipo in Nevada, il 19 ottobre

Le eccezioni: Maine e Nebraska
Come detto, ci sono due stati – Maine e Nebraska – con un meccanismo diverso. In Maine e Nebraska due grandi elettori vengono assegnati a chi prende un voto in più nell’intero stato, come negli altri stati, ma poi un grande elettore viene assegnato a chi prende più voti all’interno di ognuno dei collegi congressuali in cui è diviso lo stato: sono due in Maine e tre in Nebraska.

Come si vota, nella pratica
Il giorno delle elezioni presidenziali è ufficialmente il 5 novembre, ma quello è in realtà solo l’ultimo giorno in cui è possibile votare. Seppure con regole diverse, quasi tutti gli stati offrono la possibilità di votare varie settimane prima, con le modalità del voto in anticipo o per posta.

Con il voto per posta, gli elettori ricevono a casa la propria scheda elettorale, la compilano, la inseriscono in un sistema di buste che tutela sia la regolarità che la segretezza che voto, e poi la rispediscono per posta agli uffici competenti. In alternativa possono depositarla nelle cosiddette drop box, delle cassette normalmente posizionate vicino agli uffici comunali. Altrimenti, in molti stati è possibile votare in anticipo anche in presenza, andando al seggio in date e orari prestabiliti.

Nel 2020 le modalità di voto anticipato, e soprattutto per posta, erano state parecchio criticate da Trump, secondo cui queste avrebbero portato a brogli elettorali (una tesi priva di fondamento). Quest’anno Trump ha cambiato almeno parzialmente approccio, dato che in molte occasioni e comizi lui o i suoi collaboratori stanno invitando gli elettori Repubblicani a votare in anticipo.

– Leggi anche: Donald Trump sta cambiando idea sul voto anticipato