Le bonifiche dopo il disastro di Seveso non sono finite

Sono iniziate quelle dei terreni dove verrà costruito il tratto brianzolo della discussa autostrada Pedemontana lombarda, ancora contaminati dalla diossina

L'area della fabbrica ICMESA transennata dopo il disastro di Seveso, nel 1976
L'area intorno alla fabbrica ICMESA transennata dopo il disastro di Seveso, nel 1976 (PERRUCCI/RCS/CONTRASTO)
Caricamento player

Dall’inizio di ottobre è iniziata la fase più delicata della bonifica dei terreni su cui verrà costruito il tratto B2 dell’autostrada Pedemontana lombarda nei comuni di Seveso, Meda e Cesano Maderno, in Brianza. Non è una bonifica come le altre perché in molti di questi terreni c’è ancora la diossina fuoriuscita il 10 luglio del 1976 dall’azienda chimica ICMESA. Fu il più grave disastro ambientale mai avvenuto in Italia. La preparazione dei cantieri era stata alla fine di luglio e nelle ultime settimane sono iniziati gli scavi tenuti sotto controllo per evitare che la diossina si disperda nuovamente nell’aria.

L’ICMESA (Industrie Chimiche Meda Società Azionaria) era un’industria chimica che aveva un grande stabilimento a Meda, al confine con il comune di Seveso: trattava prodotti chimici di base e farmaceutici. Il 10 luglio del 1976 – era un sabato – in fabbrica era presente soltanto il personale di manutenzione. Alle 12:37 il sistema di controllo di un reattore chimico andò in avaria e la temperatura salì oltre i limiti previsti. L’alta temperatura provocò una reazione che portò a sua volta alla formazione di TCDD, uno dei tipi di diossina più tossici e pericolosi e che da quel momento in Italia è conosciuta come “diossina Seveso”. La TCDD fuoriuscì nell’aria e si disperse trasportata dal vento verso i comuni di Meda, Seveso, Cesano Maderno e Desio, verso sudest.

– Ascolta anche: Seveso, 1976: l’estate della diossina

L’allora sindaco di Seveso fu avvisato da due tecnici dell’ICMESA solo il giorno dopo. La certezza della fuoriuscita di TCDD fu confermata il 14 luglio, dopo una serie di analisi fatte nel laboratorio della società in Svizzera, ma le comunicazioni da parte della dirigenza continuarono a essere molto prudenti e la notizia divenne pubblica solo una settimana dopo. L’ICMESA venne chiusa il 18 luglio e durante i primi giorni dall’incidente vennero affissi dei manifesti per avvisare i cittadini di Meda e Seveso di non toccare ortaggi, terra, erba, animali e «di mantenere la più scrupolosa igiene delle mani e dei vestiti».

Quasi 700 persone in totale vennero sfollate nei giorni successivi all’incidente in due hotel di Bruzzano e Assago e poterono rientrare a casa solo tra l’ottobre e il dicembre del 1977. Circa 240 persone vennero colpite da cloracne, un’eruzione cutanea.

La recinzione della zona interessata dalla fuoriuscita della diossina dalla ICMESA a Seveso (ANSA/CLF)

Il territorio di Seveso fu suddiviso in tre zone in base al livello di contaminazione della terra: le case comprese nella zona più contaminata furono demolite, le piante investite dalla nube di diossina morirono e migliaia di animali contaminati furono abbattuti. Il terreno della zona venne prelevato e depositato in due enormi vasche di contenimento in cui vennero messi anche i macchinari usati per le demolizioni e gli scavi: venne portata nuova terra proveniente da zone non inquinate e furono piantati nuovi alberi che hanno dato origine al parco naturale “Bosco delle Querce”.

Fu aperto un processo. Il 25 marzo del 1980 venne raggiunto un accordo e la società proprietaria dell’ICMESA versò 103,6 miliardi di lire (sarebbero oggi 319 milioni di euro): in questa cifra era previsto un rimborso per lo Stato e la Regione Lombardia per le spese di bonifica.

Nei terreni con livello di contaminazione più basso la bonifica fu solo parziale: la terra superficiale fu portata in profondità – circa 80 centimetri – con il passaggio di aratri. Dopo l’incidente, nel 1976, i sindaci di Seveso e Meda firmarono ordinanze per vietare di coltivare i campi e allevare animali per il rischio di una nuova dispersione della diossina nell’aria. Infine il divieto fu rimosso nel 1987 perché le bonifiche più importanti erano ormai concluse da alcuni anni.

Il parco del Bosco delle Querce, fra i comuni di Meda e Seveso; e sullo sfondo la città di Milano (Il Post)

Tuttavia nel 2012 furono commissionate nuove analisi. Accadde quasi per caso. Durante le indagini geologiche in terreni edificabili nel comune di Desio, alcuni tecnici si accorsero che in un campo coltivato vicino c’era un contadino che bruciava scarti di materiale plastico. Un operatore dell’ARPA, l’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, chiese di fare analisi specifiche sulle diossine nell’aria e nel terreno e si scoprì che le concentrazioni di diossina erano molto alte. La stessa ARPA emise una circolare per rendere obbligatorie le analisi dei terreni in caso di qualsiasi tipo di scavo nella zona.

Anche la società Pedemontana dovette rispettare la circolare. Dalle analisi fatte tra il 2016 e il 2018 in previsione dei cantieri, si scoprì che la concentrazione di diossina era 200 nanogrammi per chilo a fronte di un limite di 10 nanogrammi per chilo, e che quindi sarebbe stata necessaria una bonifica in molte aree del tratto B2, tra Lentate sul Seveso e lo svincolo di Cesano Maderno.

Di fatto il tratto B2 verrà costruito al posto dell’attuale superstrada Milano-Meda: è lungo 9,5 chilometri e si sviluppa per 2,5 chilometri in galleria, per 4,6 chilometri in trincea e per i restanti 2,3 chilometri a livello strada. L’obiettivo è aprirlo entro le Olimpiadi invernali del 2026. È un progetto molto discusso, come d’altronde quello dell’intera Pedemontana lombarda, perché con la trasformazione da superstrada ad autostrada quel tratto diventerà a pagamento per decine di migliaia di pendolari che lo percorrono ogni giorno: secondo diversi sindaci e consiglieri comunali, c’è il rischio che molte persone decidano di usare le strade dei paesi per evitare il pedaggio, peggiorando un traffico già caotico.

Negli ultimi anni molte delle discussioni hanno riguardato anche la sostenibilità economica e ambientale della nuova autostrada: il costo complessivo è di 3,5 miliardi di euro, di cui buona parte ottenuti con prestiti, finanziamenti e conseguenti interessi da pagare.

Anche le bonifiche sono un tema dibattuto, soprattutto tra gruppi e associazioni ambientaliste. La maggior parte delle associazioni locali sono contrarie all’autostrada e scettiche sulle bonifiche, considerate troppo rischiose per il rischio di dispersione della diossina nell’aria. Una delle poche associazioni favorevoli è il WWF che ha ottenuto la nomina del suo delegato Gianni Del Pero, geologo e professore dell’università Bicocca, come supervisore dei cantieri. «Noi abbiamo un approccio pragmatico all’opera», dice Del Pero. «Abbiamo sempre sollecitato di intervenire per la tutela delle persone e per questo non possiamo metterci di traverso rispetto a una bonifica che abbiamo chiesto molte volte. Vogliamo che sia fatta nel rispetto delle regole. Senza il nostro intervento l’autostrada sarebbe già stata fatta senza bonifiche».

Ogni cantiere delle bonifiche è stato diviso in quadrati, come una scacchiera, per controllare con precisione le operazioni. Già da alcune settimane in alcune aree è iniziato lo scavo del terreno fino a una profondità massima di un metro e 20 centimetri. Le misure di sicurezza sono molto restrittive. L’area dei cantieri è circondata da teli per evitare la dispersione di particelle di diossina, inoltre viene costantemente nebulizzata acqua. I tir dove viene messa la terra scavata devono passare in aree di lavaggio delle ruote con idropulitrici prima di uscire dal cantiere e vanno direttamente nelle discariche di rifiuti speciali individuate per lo smaltimento della terra. Quest’acqua viene poi raccolta in pozzetti e campionata prima di decidere se rilasciarla nei campi.

In ogni area di scavo viene installata una centralina per rilevare il valore dei PM10, le particelle inquinanti presenti nell’aria più piccole di un centesimo di millimetro. I controlli costanti servono per fermare i lavori in caso di superamento dei valori limite. Inoltre quando il vento supera la velocità di 30 chilometri orari devono essere posizionati teli sul terreno. In totale le bonifiche costeranno circa 20 milioni di euro e secondo i piani dovrebbero concludersi entro maggio del 2025. «Non voglio sminuire questa bonifica, ma noi ne seguiamo diverse centinaia e questa è tecnicamente semplice», ha detto Dario Fossati, direttore del settore Ambiente e Clima della Regione Lombardia. «Ma sappiamo che questo territorio ha subito una ferita e quindi bisogna seguire questi lavori in modo molto attento».