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  • Mercoledì 23 ottobre 2024

Cos’è la profilazione razziale

Vengono definite così le pratiche e gli approcci discriminatori tenuti dalle forze dell'ordine: ne parla un recente rapporto del Consiglio d'Europa a proposito dell'Italia

L'Esercito alla Stazione Termini di Roma (Valentina Stefanelli/LaPresse)
L'Esercito alla Stazione Termini di Roma (Valentina Stefanelli/LaPresse)
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Un rapporto sul rispetto dei diritti delle minoranze in Italia pubblicato martedì dalla Commissione europea contro il razzismo e l’intolleranza (ECRI), un organo del Consiglio d’Europa, contiene critiche piuttosto dure nei confronti delle istituzioni italiane, accusate di non fare abbastanza per prevenire il razzismo nella società italiana. Il rapporto, lungo 47 pagine, contiene per 18 volte l’espressione «profilazione razziale», con riferimento a un approccio razzista tenuto dalle forze dell’ordine durante le loro attività.

I pezzi del rapporto in cui si parla di profilazione razziale sono quelli che hanno provocato le reazioni più irritate da parte del governo. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha scritto in un tweet che le forze dell’ordine italiane «lavorano con dedizione e abnegazione per garantire la sicurezza di tutti i cittadini, senza distinzioni», respingendo le accuse senza entrare nel merito del rapporto.

In altri paesi le accuse di «profilazione razziale» da parte di organizzazioni internazionali, governative e non, vengono prese molto sul serio: e da tempo sono in corso sforzi per circoscrivere la questione e cercare delle soluzioni, dato che secondo studi, report e testimonianze il problema è piuttosto diffuso in vari paesi occidentali.

Lo stesso ECRI definisce la profilazione razziale come «l’utilizzo, da parte degli agenti delle forze dell’ordine, quando procedono a operazioni di sorveglianza, controllo o indagine, di elementi quali la razza, il colore della pelle, la lingua, la religione, la nazionalità, o l’origine nazionale e etnica, senza alcuna giustificazione oggettiva o ragionevole». Un organo dell’ONU ne dà una definizione simile.

Il termine definisce quindi le discriminazioni che i membri delle forze dell’ordine compiono durante le loro attività, consapevolmente o inconsapevolmente, per via di una convinzione razzista per cui le persone che appartengono a una minoranza etnica o religiosa siano più inclini a compiere reati o siano generalmente più sospette rispetto a tutte le altre.

Convinzione falsa, come dimostrano molti studi: in Italia per esempio uno studio molto citato anche se non recentissimo indica che il tasso di criminalità degli stranieri regolari nella fascia 45-64 anni, cioè quella a cui appartengono in assoluto più persone nel paese, è minore rispetto agli italiani della stessa età. Il tasso di criminalità aumenta nel caso in cui la persona non abbia un regolare permesso di soggiorno (cosa che la spinge verso il margine della società e a volte verso la criminalità). Peraltro i tassi generali di criminalità sono in calo in tutti i principali paesi europei, nei quali negli ultimi anni la quota di abitanti stranieri è sensibilmente aumentata.

Nonostante questo, i dati dicono che nei paesi occidentali le forze dell’ordine durante le attività di sorveglianza o controllo fermano molto più spesso le persone non bianche rispetto a quelle bianche: un fatto che peraltro aumenta la sfiducia delle persone non bianche nei confronti delle forze dell’ordine e più in generale dello Stato, alimentando frustrazioni e peggiorando la convivenza civile. Sono dati e valutazioni di cui si discute molto soprattutto nei paesi dove l’immigrazione è stata più stratificata nel tempo, come Stati Uniti e Regno Unito.

Negli Stati Uniti una delle più note ong che si occupano di diritti umani, la American Civil Liberties Union (ACLU), ha un’intera sezione del proprio sito dedicata a questo tema. Ormai da anni la profilazione razziale è entrata nelle varie campagne elettorali a livello locale, inserendosi nel tema enorme delle violenze compiute dalle forze dell’ordine.

Una trentina di anni fa durante un periodo di tensioni e violenze a New York l’allora sindaco Repubblicano Rudy Giuliani incoraggiò la cosiddetta pratica dello stop-and-frisk, che in italiano si può tradurre con “ferma e perquisisci”: in sostanza dava alla polizia locale la possibilità di perquisire chiunque incontrasse per strada, senza dover motivare quella scelta. Negli anni successivi la polizia fermò soprattutto persone che appartenevano a minoranze etniche, tra cui molti neri e ispanici, finché nel 2013 un giudice federale non dichiarò la pratica incostituzionale (ancora oggi in realtà la polizia di New York è accusata di andarci molto leggera con i suoi agenti accusati di fermare e perquisire le persone senza un motivo apparente).

Le grandi attenzioni nei confronti di queste pratiche hanno spinto le autorità a raccogliere dati sulle proprie attività, in modo da monitorarle in maniera più precisa ed eventualmente trovare delle soluzioni. A volte questi dati vengono raccolti dalle forze dell’ordine e messi a disposizione di organi indipendenti. In California per esempio esiste una commissione indipendente che si occupa esclusivamente di profilazione razziale: qualche mese fa ha scoperto che le persone afroamericane vengono fermate molto più spesso delle altre mentre sono alla guida.

Il Regno Unito invece è l’unico fra i principali paesi europei a diffondere dati sulla profilazione razziale compiuta dalle proprie forze dell’ordine. Il governo mantiene aggiornata una pagina online che contiene moltissimi dati su quanto spesso le persone non bianche vengano fermate per controlli dalle forze dell’ordine.

Questo per esempio è un grafico che mostra il numero di perquisizioni ogni 1.000 persone avvenute fra aprile del 2022 e marzo del 2023, divise per etnia. Le perquisizioni nei confronti di persone nere sono state 24,5 ogni 1.000, mentre nei confronti di quelle bianche 5,9 ogni 1.000 (il grafico è un po’ sballato dalla categoria di persone nere che non appartiene uno specifico gruppo etnico, come le persone di origine africana o caraibica).

Nell’Unione Europea invece non esistono dati o studi approfonditi sulla profilazione razziale. La cosa che ci va più vicina è un rapporto compilato nel 2023 dall’Agenzia dell’Unione Europea per i diritti fondamentali (FRA) intitolato Essere neri nell’Unione Europea (PDF). È un grosso sondaggio sui disagi e le discriminazioni a sfondo razziale che subiscono le persone nere nel territorio europeo: è stato realizzato intervistando 6.752 migranti o persone di origine africana in 13 paesi membri, compresa l’Italia.

In totale il 26 per cento delle persone intervistate, circa una su quattro, ha raccontato di essere stata fermata dalle forze dell’ordine almeno una volta nei cinque anni precedenti al rapporto. Scorporando il dato per genere, hanno raccontato di essere stati fermati il 13 per cento delle donne e il 38 per cento degli uomini. In Italia il dato è leggermente migliore rispetto alla media europea: hanno raccontato di essere stati fermati il 7 per cento delle donne e il 36 per cento degli uomini.

Negli ultimi anni le associazioni di settore italiane stanno cercando di raccogliere dati e informazioni sulla profilazione razziale da parte delle forze dell’ordine italiane, fra molte difficoltà.

L’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) per esempio qualche anno fa aveva avviato un monitoraggio costante dei controlli delle forze dell’ordine nella stazione ferroviaria di Ventimiglia, dove arrivano moltissimi migranti e richiedenti asilo che stanno cercando di lasciare l’Italia per entrare in Francia. ASGI ha scritto che «tali controlli sono stati sistematicamente caratterizzati da profilazione razziale».

Nel 2023 alcune associazioni italiane di Ferrara hanno avviato un progetto per raccogliere e sistematizzare testimonianze di profilazione razziale avvenute in Italia. Si chiama Progetto YAYA e sul suo sito si possono trovare vari racconti: un ragazzo nero ha raccontato che nel 2018 fu fermato da due militari che gli chiesero i documenti mentre tornava in bicicletta dopo la scuola serale. Dopo avergli controllato i documenti gli dissero: «Sei a posto. Ti abbiamo fermato perché pensavamo che tu fossi come gli altri».

Un’altra persona ha raccontato di essere stata fermata nel 2019 mentre stava andando in palestra: «all’improvviso vidi due poliziotti che venero dalle mie spalle poi mi chiesero di fornire il documento […] dopo aver fatto controllo prima che mi dessero indietro i miei documenti mi chiesero nuovamente dove fossi diretto con uno sguardo protervo e io gli risposi bene e finalmente mi lasciarono andare».