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  • Sabato 19 ottobre 2024

Le ultime settimane sulla chiatta Bibby Stockholm

È attraccata nel sud dell'Inghilterra e ospita centinaia di migranti: a novembre verrà sgomberata, ma intanto mostra i tanti problemi del sistema d’accoglienza britannico

di Matteo Castellucci

La chiatta Bibby Stockholm nel porto inglese di Portland
La chiatta Bibby Stockholm nel porto inglese di Portland (Peter Flude/Guardian/eyevine)

Sull’isola di Portland, nel sud dell’Inghilterra, c’è una prigione di epoca vittoriana. Alcuni degli edifici originari, in pietra, sono in rovina, mentre il carcere moderno si trova più in basso ed è ancora attivo. Da lì il panorama si apre verso la baia di Weymouth e le coste verdeggianti della contea del Dorset; o verso il mare, il canale della Manica. È anche uno degli unici punti da cui si può vedere la Bibby Stockholm, la chiatta su cui si trovano tuttora più di 400 richiedenti asilo, tutti maschi. Gli abitanti della zona e i migranti la chiamano semplicemente “the barge” – “la chiatta” o “il barcone”.

La Bibby Stockholm vista dalla cima dell'isola di Portland

La Bibby Stockholm (al centro, davanti alla nave rossa) vista dalla cima dell’isola di Portland (Matteo Castellucci/il Post)

Ha attraccato nell’agosto del 2023, nell’ultimo anno dell’ultimo governo dei Conservatori. Quello nuovo, entrato in carica lo scorso luglio e guidato dal Partito Laburista, ha subito deciso che dal prossimo gennaio non verrà più usata. Non si sa dove finiranno i richiedenti asilo, ma solo che andranno lontano dal Dorset. Il sito dell’Home Office, il ministero dell’Interno britannico, lo scrive nella stessa pagina in cui spiega come assiste le persone migranti e specifica che «è improbabile» che possano vivere «a Londra o nell’Inghilterra sud-orientale», la capitale e la zona più benestante del Regno Unito. Lo sgombero della chiatta inizierà a fine novembre e durerà qualche settimana.

Fortuneswell, il 5 ottobre

Fortuneswell, il 5 ottobre (Matteo Castellucci/il Post)

Dalla terraferma la Bibby Stockholm non si vede. Non la si vede dal ponte che collega l’isola a Weymouth e neppure da Fortuneswell, il paesino turistico con le casette costruite per le Olimpiadi di Londra del 2012, quando in queste acque si disputarono le regate di vela. La chiatta si può avvistare solo dall’alto perché è ancorata nella parte più lontana del porto, nascosta dietro una banchina dove ormeggiano altre navi. È distante da tutto e la zona è chiusa da un posto di blocco: i richiedenti asilo possono uscire dal porto solo a bordo di autobus speciali, diversi da quelli di linea.

È una sorta di segregazione. «Ci sentiamo come prigionieri» è la frase più frequente e la prima che viene in mente ai richiedenti asilo incontrati dal Post, quando raccontano come sia vivere sulla chiatta. I controlli di sicurezza sono molto invasivi: all’inizio, dice uno di loro, dovevano sottoporvisi anche solo per andare in cortile, poi sono stati spostati all’esterno della struttura. Ogni volta che scendono o ritornano sulla chiatta i migranti vengono identificati, perquisiti e tutti i loro effetti personali vengono passati in un macchinario a raggi X.

Non è consentito portare a bordo cibo da fuori, spiega un altro richiedente asilo, e non ci sono accorgimenti per chi per motivi religiosi non può mangiare alcuni alimenti. Il bollitore per il tè è quasi sempre rotto. Nei momenti di massimo afflusso sulla Bibby Stockholm ci sono state 500 persone, il doppio di quando la chiatta era usata per ospitare i lavoratori della compagnia petrolifera britannica Petrofac alle isole Shetland, in Scozia. I migranti ricordano una situazione di sovraffollamento, per esempio con code di più di un’ora per ricevere il cibo in mensa.

La mappa dei tre piani all'interno della chiatta (dal sito della della compagnia navale che la possiede, la Bibby Line)

La mappa dei tre piani all’interno della chiatta (dal sito internet della compagnia navale che la possiede, la Bibby Line)

«Se avessi saputo che il processo era così lungo, non sarei mai venuto», racconta un migrante pakistano. Nel community centre di Fortuneswell i volontari del Portland Global Friendship Group, il gruppo locale che fin dall’inizio si è mobilitato per aiutare i richiedenti asilo, stanno distribuendo vecchie valigie a chi dovrà trasferirsi in altre zone del Regno Unito. «Spesso non c’è neppure il tempo di salutarsi», dice una volontaria.

L'interno del community centre di Fortuneswell, il 4 ottobre

L’interno del community centre di Fortuneswell, il 4 ottobre (Matteo Castellucci/il Post)

«La realtà è che il sistema [d’accoglienza] è rotto: gli è stato consentito di rompersi e in alcuni aspetti è stato rotto apposta. L’intero sistema è abusante», spiega al telefono Maddie Harris, la direttrice della ong Humans for Rights Network. I volontari di Portland hanno compensato l’assenza di fondi pubblici, a cui non hanno avuto accesso, finanziandosi da soli con poco più di 8mila sterline (quasi 10mila euro) in un anno: tra le altre cose, hanno organizzato lezioni di inglese per i migranti e comprato schede SIM per i loro cellulari. «Gruppi locali, enti di beneficenza, chiese… siamo tutti in ginocchio», dice Harris.

Zarith Hanipah è un ex giornalista malese che collabora con la ong IMIX. Prima che la sua richiesta d’asilo venisse accettata, era stato messo in una struttura nel Cheshire (nel nord-ovest dell’Inghilterra) in mezzo al niente, a un’ora e quaranta minuti di cammino «dalla civiltà». Il Royal College of Psychiatrists (l’associazione di categoria degli psichiatri) ha scritto che il funzionamento del sistema rischia di «traumatizzare di nuovo» persone che hanno già sofferto.

Le valige raccolte dai volontari del Portland Global Friendship Group

Le valigie raccolte dai volontari del Portland Global Friendship Group (Matteo Castellucci/il Post)

Anche Hanipah dice che il sistema è stato concepito così «per spezzarti. E quando succede la prima cosa che il personale dell’Home Office ti chiede è se vuoi tornare nel tuo paese». Il rimpatrio è incoraggiato. Al contrario, è molto difficile che una persona migrante possa ricevere assistenza legale sul suo caso, se non viene aiutata da una ong.

I tempi sono un grosso pezzo del problema.

Secondo gli ultimi dati disponibili, a fine marzo scorso nel Regno Unito quasi 118mila persone attendevano una risposta (la prima o quella definitiva) alla loro domanda d’asilo, due terzi delle quali da più di sei mesi. Nel frattempo non possono lavorare e ricevono un sussidio settimanale da poco meno di 9 sterline (meno di 11 euro), peraltro abbassato dal governo dei Conservatori. Eppure per metà delle 10 nazionalità di provenienza più frequenti si registra un tasso d’approvazione superiore all’80 per cento; anche le domande d’asilo dei migranti arrivati via mare dalla Manica vengono accolte in due terzi dei casi.

Significa che alla fine la maggior parte delle persone ottiene la protezione umanitaria, perché ne aveva diritto, ma rimane comunque intrappolata nel sistema. Succede in parte perché il sistema è inefficiente e le richieste d’asilo sono quasi triplicate tra il 2021 e il 2023. In parte, secondo le ong, per precise ragioni politiche: il governo dei Conservatori aveva strumentalizzato l’immigrazione e, in questa interpretazione, un sistema disfunzionale – che prolunga i tempi più del necessario e quindi dilaziona il numero di rifugiati a cui viene riconosciuto lo status – poteva essere sfruttato per presentarsi come severi nella gestione dei flussi migratori.

Secondo Harris e i volontari di Portland, l’approccio dei Laburisti non è tanto diverso da quello dei Conservatori (anche se i primi hanno abrogato il contestato piano per trasferire i migranti in Ruanda). Il primo ministro Keir Starmer ha promesso di «distruggere le gang [di trafficanti]» e ha creato una nuova Border Force, con poteri antiterrorismo, all’interno dell’Agenzia nazionale anticrimine (che non è partita benissimo). A metà settembre, poi, Starmer è andato a Roma a chiedere consigli alla presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, elogiando i controversi accordi fatti dall’Italia con i paesi di origine e transito dei migranti e mostrandosi particolarmente interessato a quello con l’Albania.

– Leggi anche: Abbiamo normalizzato gli accordi per fermare le partenze dei migranti?

Un sistema rotto, come quello britannico, è anche più dispendioso. Per esempio gli autobus speciali che portano i richiedenti asilo fuori dal porto di Portland sono stati noleggiati apposta, mentre in altre zone del paese il servizio pubblico è carente. Il National Audit Office (l’equivalente della Corte dei Conti) ha calcolato che la Bibby Stockholm sia costata ogni mese all’incirca 6mila sterline (più di 7mila euro) per persona, ossia 2mila sterline (2,4mila euro) in più di quanto in media si sarebbe speso ospitando i migranti in albergo. L’interruzione del contratto d’affitto della chiatta farà risparmiare allo stato almeno 20 milioni di sterline (quasi 24 milioni di euro) nel 2025.

«È stata una trovata politica», spiega Sally Davidson, una delle attiviste del Portland Global Friendship Group. L’espressione in inglese di Davidson rende meglio l’idea: political stunt, dove stunt ha la stessa radice di stuntman e racchiude in una parola sola “bravata”, “acrobazia” e “trovata pubblicitaria”.

I Conservatori lo hanno fatto sulla pelle dei richiedenti asilo. Nell’ultima fase dei loro 14 anni al governo, durati dal 2010 al 2024, hanno proposto soluzioni populiste come quella della chiatta, contestate dalle associazioni per la difesa dei diritti umani. Un’altra era stata alloggiare i richiedenti asilo nell’ex base aeronautica di Wethersfield, poi evacuata per rischi di contaminazione radiologica e la presenza di ordigni inesplosi.

Attorno alla chiatta c’è stata inoltre parecchia disinformazione.

La tv di destra GB News aveva mandato spesso le sue troupe sull’isola a fare servizi allarmistici. Su internet sono circolate falsità: che qualche abitante era stato rapito, che i migranti avevano preso a calci un cane. Tutto ciò ha alimentato casi di razzismo. «Mi ha scioccato, perché non pensavo che quei sentimenti esistessero nella nostra comunità», dice Laney White, la coordinatrice del Portland Global Friendship Group.

Il volontariato dei richiedenti asilo, al museo locale o in attività per sistemare i giardini dei residenti, ha fatto cambiare idea a diverse persone che all’inizio si erano preoccupate.

In estate anche a Weymouth c’era stata una marcia contro i migranti, aizzata dall’estrema destra e dai suoi attivisti online (due persone erano state arrestate per gli scontri con la polizia e sono state poi condannate a 14 mesi di detenzione). Il Portland Global Friendship Group aveva organizzato una contromanifestazione pacifica, perché fosse evidente che quello sparuto corteo xenofobo non era rappresentativo degli abitanti di Portland.

Alle elezioni dello scorso luglio più di 4 milioni di persone in tutto il Regno Unito votarono per Reform UK, il partito sovranista di Nigel Farage che ha un programma di contrasto all’immigrazione e viene inseguito a destra da Kemi Badenoch e Robert Jenrick, i due candidati finalisti alle primarie dei Conservatori. «Ciò che sta accadendo può essere problematico per le persone appena arrivate qui», spiega Ali Ghaderi, attore iraniano e cofondatore della Babylon Migrants Project: «Potrebbero pensare di essere sfuggite alla persecuzione nel loro paese e di essere al sicuro nel Regno Unito, e invece sono attaccate di nuovo».

La costa di Osmington, vicino a Portland, il 5 ottobre

La costa di Osmington, vicino a Portland, il 5 ottobre (Matteo Castellucci/il Post)

Progetti come quello di Ghaderi e dei volontari di Portland provano ad alleviare il senso di isolamento e solitudine che il sistema aggrava, invece di prevenire. Un sabato pomeriggio d’ottobre i volontari portano un gruppo di richiedenti asilo a fare una camminata sulla costa di Osmington, vicino a Portland. C’è il sole. Per loro è un piccolo momento d’evasione lungo i sentieri della campagna inglese. Quelli che partecipano ad attività come questa, o si sono uniti alle squadre locali di vela, di boxe e di cricket che spesso hanno fatto collette per loro, sono però una minoranza.

Nonostante l’insistenza e l’entusiasmo di alcuni compagni, tanti richiedenti asilo non scendono mai dalla chiatta. White racconta che in un primo momento l’allora medico di bordo aveva prescritto sonniferi e ansiolitici in modo piuttosto indiscriminato. I migranti erano stati fatti scendere dalla Bibby Stockholm quando nell’acqua che bevevano erano state trovate tracce di legionella e lo scorso 12 dicembre un migrante albanese di 27 anni era stato trovato morto, probabilmente si era suicidato. Il gruppo di White è riuscito a far trasferire una giovane persona trans che si identifica come una donna, ma era stata messa sulla chiatta di soli uomini.

Il gruppo di richiedenti asilo durante la camminata organizzata dal Portland Global Friendship Group, il 5 ottobre a Osmington

Un gruppo di richiedenti asilo durante la camminata organizzata dal Portland Global Friendship Group, il 5 ottobre a Osmington (Matteo Castellucci/il Post)

«Non facciamo niente di speciale, cerchiamo solo di rendere più facile per loro questa parte del viaggio», dice l’ex professore Tony Walter, che guida la camminata. Spiega che lo spirito era aiutare le persone della Bibby Stockholm, considerandole «vicini di casa». Nell’inglese regionale di Portland c’è un termine, kimberlin, che viene usato per descrivere chi vive sull’isola senza esserci nato (ce n’è uno pure per i turisti), e chissà se si applica anche alle persone migranti sulla chiatta.

«Siamo passeggeri senza una destinazione», dice scherzando uno dei richiedenti asilo durante il ritorno in macchina dal giro a Osmington. Pochi giorni fa è stato in ospedale, aveva dolori al petto. Oggi si compiace dell’immagine che ha trovato, la ripete due volte: «Passeggeri senza una destinazione». Gli altri ridono e annuiscono, sembra loro che descriva bene la situazione in cui si trovano, ormai da troppi mesi.

– Leggi anche: La chiatta che ospita i richiedenti asilo nel Regno Unito ha una storia complicata