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  • Martedì 15 ottobre 2024

Le aggressioni dei “difensori delle mucche” contro i musulmani, in India

Sono compiute da gruppi indù su persone sospettate di consumare carne bovina, e c’entrano le politiche del governo di Narendra Modi

Mumbai, India, 28 aprile 2017 (AP Photo/Rajanish Kakade)
Mumbai, India, 28 aprile 2017 (AP Photo/Rajanish Kakade)

Il 24 agosto Aryan Mishra, 19 anni, stava andando in macchina a trovare un amico quando è stato intercettato da un gruppo di uomini armati su una strada a circa 50 chilometri da New Delhi, capitale dell’India. Dopo un inseguimento di 40 chilometri gli uomini armati l’hanno raggiunto e hanno sparato colpendolo al collo e al petto. Aryan Mishra è morto sul colpo. I suoi aggressori sono stati identificati: fanno parte di una milizia indù chiamata “Gau Raksha Dal” (GRD), un movimento che dichiara di voler proteggere le mucche, considerate sacre nell’induismo, e hanno detto di aver scambiato Aryan Mishra per un commerciante musulmano di carne bovina.

Secondo diverse ricerche e inchieste, il numero delle aggressioni e delle uccisioni da parte di questi gruppi indù è aumentato dal 2014, ossia da quando al governo c’è il Bharatiya Janata Party (BJP), il partito nazionalista del primo ministro Narendra Modi che non ha mai fatto mistero della sua intenzione di trasformare l’India in un paese induista dove la minoranza musulmana, che costituisce il 14 per cento della popolazione, ha pochi diritti ed è discriminata.

Alcune organizzazioni per i diritti umani indiane e internazionali, come Human Rights Watch, sostengono che le bande di protezione delle mucche abbiano ucciso almeno 44 persone tra il 2015 e il 2018: tra loro 36 erano musulmane. Secondo un rapporto di Reuters, tra il 2010 e la metà del 2017 ci sono stati 63 attacchi: la maggior parte è avvenuta dopo che Modi è diventato primo ministro. In questi attacchi 28 indiani sono stati uccisi, di cui 24 musulmani, e 124 persone sono state ferite. Secondo un’altra indagine più recente condotta da Armed Conflict Location and Event Data, organizzazione statunitense specializzata nella raccolta, nell’analisi e nella mappatura di dati, queste milizie sono responsabili di più di un’aggressione su cinque compiuta da uomini indù contro persone musulmane in India tra il giugno del 2019 e il marzo del 2024.

Nel grafico “jihad dell’amore” o “jihad del coronavirus” fanno riferimento a delle teorie islamofobe secondo cui i musulmani userebbero diverse strategie per colpire gli indù. La prima espressione fa riferimento a una teoria del complotto secondo cui gli uomini musulmani cercano di convincere le donne indù a convertirsi all’Islam instaurando con loro finte relazioni romantiche. La seconda espressione si riferisce a una teoria secondo cui i venditori musulmani sputerebbero su frutta e verdura con l’unico obiettivo di diffondere malattie. Si tratta di teorie sostenute anche da alcuni politici del BJP.

Il movimento del Gau Raksha Dal ha sezioni in quasi la metà degli stati dell’India, soprattutto nel nord. Il logo raffigura la testa di una mucca circondata da due fucili o da un paio di pugnali. I giovani uomini che ne fanno parte, che aderiscono volontariamente, sono spesso armati di pistole e bastoni e pattugliano le strade organizzandosi su WhatsApp alla ricerca di camion o persone che potrebbero trasportare delle mucche. Hanno colpito singole persone appartenenti alle caste considerate inferiori e che spesso lavorano nei macelli o in esercizi commerciali gestiti da persone musulmane.

Spesso questi gruppi condividono informazioni con la polizia su presunte irregolarità che hanno a che fare con la macellazione delle mucche e, secondo alcuni resoconti riportati da Al Jazeera, capita che si uniscano agli agenti per condurre degli arresti. Nel suo libro del 2021, Modi’s India, il politologo Christophe Jaffrelot ha scritto che le milizie per la protezione delle mucche sono legate al Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), antica e potente organizzazione paramilitare indù, nazionalista e di estrema destra per soli uomini fondata nel 1925 sulla falsariga dei partiti fascisti europei. L’RSS è strettamente legato al BJP, e Modi iniziò proprio in quel gruppo la sua carriera politica.

La mucca è considerata un animale sacro in India, ma non tutti nel paese sono vegetariani: non lo sono i musulmani, i sikh, i cristiani o i dalit (i fuoricasta induisti), per i quali la carne o alcune carni sono una fonte di proteine a basso costo. Nemmeno tutti gli induisti, che costituiscono l’80 per cento della popolazione, sono vegetariani. In tutto il paese il 70 per cento della popolazione mangia abitualmente la carne e solo il 30 per cento delle persone segue una dieta vegetariana: tra queste l’8 per cento è musulmano.

Il RigVeda, il più antico documento di carattere liturgico della letteratura e della civiltà indiana, dice che la carne di mucca veniva consumata dagli indiani. Solo col tempo il vegetarianismo si è diffuso tra gli indù delle caste superiori, soprattutto come segno di purezza religiosa. L’accademico indiano Ravikant Kisana, esperto di caste, ha spiegato che in India «essere vegetariani è una questione di potere» e che il vegetarianismo riguarda non tanto il cibo, il benessere degli animali o l’ambiente, ma «la purezza associata alle caste superiori». È insomma un indicatore della gerarchia delle caste e del rango sociale a cui si appartiene. Nelle città essere vegetariani, o diventarlo, può essere anche garanzia di buona reputazione: «Con l’urbanizzazione i nuovi arrivati ​​abbandonano la carne per acquisire rispettabilità ed evitare pratiche di esclusione sociale», ha spiegato Suryakant Waghmore, sociologo all’Università di Mumbai.

In questo contesto il vegetarianismo è stato strumentalizzato dal BJP e da Modi per portare avanti il proprio progetto di rafforzare il nazionalismo e trasformare l’India da paese laico a paese induista, indebolendo i diritti delle minoranze e colpendo, in particolare, le comunità musulmane. Il BJP, ha raccontato sempre Waghmore, «viene presentato come il partito delle caste superiori, ossessionato dal vegetarianismo. Impone il potere morale di una minoranza all’interno della comunità indù, la maggioranza della quale però non è vegetariana». E utilizza il vegetarianismo per colpire i gruppi minoritari e in particolare le persone musulmane.

Secondo Meenakshi Ganguly, direttore per l’Asia meridionale di Human Rights Watch, molti leader al governo incoraggiano o assecondano l’azione di questi “difensori delle mucche” e molto raramente hanno condannato le aggressioni di cui sono responsabili. Raman Singh, presidente dell’assemblea legislativa dello stato del Chhattisgarh, nell’India centrale, ha promesso ad esempio di «impiccare chi uccide le mucche». In giugno la polizia di Muzaffarnagar, città nello stato settentrionale dell’Uttar Pradesh governata dal BJP, aveva imposto ai ristoranti che si trovavano lungo il percorso di un pellegrinaggio indù di scrivere sulla porta il nome del proprietario e dei loro dipendenti.

L’obiettivo non dichiarato, spiega un reportage di Le Monde, era quello di indicare ai clienti se il locale fosse gestito da musulmani o da indù. La direttiva era stata poi sospesa il 22 luglio dalla Corte Suprema del paese che aveva giudicato legittimo per i proprietari dei ristoranti l’obbligo di esporre il tipo di cibo servito, ma non il nome delle persone che vi lavoravano.

La decisione della Corte era stata però ignorata dalla polizia e dal governo locale che avevano proseguito nel fare pressioni ai ristoratori di Muzaffarnagar, alcuni dei quali avevano infine deciso di vendere l’attività. Nei mesi successivi altri stati o altre città, tutti e tutte governate dal BJP, avevano emesso ordini simili a quello di Muzaffarnagar, nonostante la decisione della Corte Suprema.

Un cartello di protesta contro l’uccisione di un contadino musulmano di 52 anni, Mohammad Akhlaq, accusato di aver mangiato carne di manzo, New Delhi, India, 2 ottobre 2015 (AP Photo/Altaf Qadri, File)

Negli ultimi dieci anni, diversi stati guidati dal BJP hanno cercato di adottare misure per limitare il consumo di carne e punire chi non rispetta le mucche: chiusura delle macellerie in determinati giorni della settimana, aumento delle pene detentive per la macellazione del bestiame, divieto di vendita di prodotti alimentari non vegetariani entro i 100 metri da scuole e templi indù. La maggior parte di queste misure sono state annullate dai tribunali. A livello regionale esiste però una trentina di leggi sul tema tuttora in vigore: nel Gujarat (stato di cui è originario Modi), per esempio, è stato approvato un emendamento che punisce con l’ergastolo il reato di macellazione e trasporto di mucche. Una delle conseguenze di questa legge è che esistono quasi 5 milioni di bovini randagi, che sono stati abbandonati dagli allevatori e che distruggono i raccolti, bloccano le strade e creano incidenti.

Solo tre giorni dopo l’omicidio di Aryan Mishra un lavoratore musulmano di 26 anni, Sabir Malik, è stato picchiato a morte da un gruppo di uomini a Charkhi Dadri, una città nell’Haryana (uno stato nel nord dell’India), perché sospettato di aver consumato della carne di manzo. Quando al primo ministro dell’Haryana, Nayab Singh Saini (del BJP) è stato chiesto un commento sull’omicidio, lui ha risposto: «Chi può fermarli?». Dopodiché ha incolpato la vittima di aver presumibilmente violato le leggi sulla protezione delle mucche.

Secondo diversi giornalisti e analisti della politica indiana attraverso queste prese di posizione il BJP – indebolito in parlamento dal risultato delle elezioni dello scorso giugno e in vista delle prossime elezioni in alcuni stati chiave, tra cui quelli dove si sono verificate le ultime aggressioni – sta cercando di rafforzare la propria base elettorale. Le azioni dei “protettori delle mucche” avrebbero dunque un duplice scopo: consentono al governo di minimizzare questi casi poiché il governo non è direttamente coinvolto e, allo stesso tempo, alimentano la narrazione anti-musulmana per galvanizzare i propri elettori.