Il Premio Nobel per l’Economia Daron Acemoglu in cinque meme

Uno dei tre vincitori di quest'anno è una sorta di mito negli ambienti accademici, non solo per la rilevanza dei suoi studi

Daron Acemoglu ad Atene il 14 ottobre (REUTERS/Alkis Konstantinidis)
Daron Acemoglu ad Atene il 14 ottobre (REUTERS/Alkis Konstantinidis)
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Il Premio Nobel per l’Economia di quest’anno è stato assegnato a tre economisti, tra cui Daron Acemoglu, un economista di culto negli ambienti accademici. Le ragioni della sua fama riguardano la rilevanza dei suoi studi sulle cause alla base dello sviluppo dei paesi – motivo per cui ha vinto il Nobel – ma anche il fatto che sia solito improvvisare conferenze impreviste o che sia uno degli studiosi più prolifici di sempre, tra le altre cose. Su Acemoglu esiste un numero insolitamente alto di meme, vista la sua professione associata a questioni complicate e noiose.

La cosa su cui più si scherza è la mole di suoi studi e ricerche: Acemoglu ha 57 anni, a 33 anni è diventato professore ordinario al MIT di Boston, una delle più prestigiose università al mondo, ed è l’economista con più pubblicazioni degli ultimi dieci anni nel database IDEAS RePEc, il più grande aggregatore di studi di economia consultabili gratuitamente. Un suo studio del 2001 – scritto con Simon Johnson e James A. Robinson, gli altri due vincitori del Nobel – è il 45esimo più citato al mondo.

Un suo co-autore si è lamentato scherzosamente: «Sa scrivere più velocemente di quanto io sappia metabolizzare la sua ricerca». Un altro economista ha detto che la sua straordinaria produttività può essere spiegata solo con l’esistenza di un gemello.

La legge dei grandi numeri può essere rinominata come legge delle citazioni di Acemoglu

Il suo lavoro è un punto di riferimento per tutta l’economia dello sviluppo, perché ha dimostrato il ruolo fondamentale che le istituzioni hanno nel formare i presupposti per la prosperità degli Stati, cosa che spiega gran parte della differenza tra il blocco dei paesi avanzati e quello dei paesi in via di sviluppo.

Acemoglu ricorda spesso che istituzioni solide servono praticamente per ogni aspetto della vita, dal generare sviluppo a garantire giustizia sociale, dal promuovere la lotta alla corruzione fino a governare le innovazioni più rivoluzionarie. Ultimamente si è molto esposto sul tema dell’intelligenza artificiale: la ritiene un’innovazione necessaria e che non si può fermare, e anche in questo caso sostiene che per fare in modo che non sia un problema serviranno istituzioni salde per controllarla. Insomma, le istituzioni sono una po’ una fissa per Acemoglu.

(X)

L’importanza del lavoro di Acemoglu e dei suoi co-autori sta nel fatto che non solo ha mostrato che le istituzioni sono più carenti nei paesi più poveri, ma anche che i paesi sono più poveri perché le istituzioni sono più carenti. Hanno cioè dimostrato il nesso causale tra i due fenomeni, e non solo la correlazione.

In economia, ma in generale in qualsiasi disciplina comporti l’uso della statistica, il lavoro più interessante – e anche il più difficile – è proprio spiegare non tanto che due fenomeni esistono insieme, cioè sono correlati, ma dimostrare che uno sia conseguenza dell’altro: un principio che viene ripetuto fino allo sfinimento agli studenti di economia è «Correlation does not imply causation», cioè che l’esistenza di una correlazione non implica necessariamente che ci sia un rapporto di causalità.

«Una correlazione di Acemoglu implica una causalità» (X)

Parte della notorietà di Acemoglu deriva poi dai libri che ha scritto anche per il pubblico generalista, che lo hanno fatto conoscere anche fuori dagli ambienti piuttosto nerd dell’economia. Nel 2012 ha pubblicato con James A. Robinson Perché le nazioni falliscono, un saggio che rimase per mesi nelle classifiche dei libri più venduti: venne letto da giornalisti, politologi, imprenditori, politici, ma anche persone che nella vita fanno tutt’altro.

Tratta delle origini delle disuguaglianze tra paesi. Nel libro gli autori riconoscono quelle che fino ad allora la teoria economica riteneva senza dubbio disuguaglianze consolidate – quelle geografiche, culturali e sociali – e per spiegarle ci aggiungono i risultati dei loro studi sull’importanza delle istituzioni nel garantire un corretto processo di sviluppo. Del saggio si parlò moltissimo e fu per certi versi quasi profetico per quello che stava accadendo in quegli anni. Fu pubblicato nel pieno della cosiddetta crisi dei debiti sovrani, quella crisi economica che colpì alcuni paesi dell’area dell’euro: era cioè un momento in cui si parlava concretamente della possibilità che il progetto della moneta unica fallisse, e che fallissero alcuni stati particolarmente a rischio, come Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda e Italia.

Sebbene Perché le nazioni falliscono parli quasi esclusivamente della debolezza di Stati lontani e che siamo abituati a ritenere a rischio di default, in quegli anni ci si rese conto quanto contasse avere istituzioni forti e una politica rispettabile per evitare un tracollo finanziario.

«Le nazioni falliscono, Daron Acemoglu no»: in pratica Acemoglu per gli economisti e per gli appassionati del tema è una specie di Chuck Norris (X)

Per l’enorme importanza e influenza del suo lavoro, qualunque cosa dica è considerata fondamentale.

Ogni volta che si siede, conta come conferenza (X)