In Donbass gli ucraini perdono terreno, ma dicono di non avere mai ucciso così tanti russi
Gli Stati Uniti e gli stessi soldati ucraini al fronte raccontano di perdite nemiche senza precedenti nei ventisei mesi di invasione
di Daniele Raineri
Una squadra di soldati ucraini impegnata nella battaglia vicino a Selydove, nell’Ucraina orientale, spiega al Post che in questi giorni è costretta ad arretrare di continuo, assieme a tutta la prima linea, perché le truppe russe sono molto più numerose e danno l’impressione di avere riserve illimitate di uomini dietro di loro. Gli ucraini, insomma, stanno perdendo, almeno in questa area del fronte. Al contempo raccontano di non avere mai ucciso così tanti soldati russi come negli ultimi due mesi.
I combattimenti a Selydove contro l’avanzata della Russia nella regione del Donbass sono fra i più brutali in corso in Ucraina e hanno lo scopo di proteggere Pokrovsk, una città che in tempo di pace aveva sessantamila abitanti e ormai è a soli dieci chilometri dalla linea del fronte, che l’esercito russo ormai da settimane sta spostando sempre più avanti nel territorio ucraino. Trovarsi a questa distanza vuol dire essere già a portata di tiro dell’artiglieria russa e subire bombardamenti tutti i giorni. La maggioranza degli abitanti di Pokrovsk fino all’anno scorso pensava di vivere al sicuro dall’invasione perché la linea del fronte era rimasta ferma per due anni. Non è più così. La linea del fronte si muove, anche se con lentezza, e in queste settimane si sposta verso di loro.
A febbraio i russi hanno occupato Avdiivka, a inizio ottobre sono arrivati a Vuhledar e poi hanno raggiunto Selydove, dove per adesso non sono entrati: è qui, però, il punto del fronte orientale dove i combattimenti sono più intensi. I civili ucraini hanno evacuato le loro case a decine di migliaia e sono scappati per non finire in mezzo alla guerra.
Il mezzo di collegamento con la postazione nascosta della squadra di artiglieri ucraini è un’auto con due soldati a bordo. Uno guida attraverso i campi e le stoppie d’ottobre il più velocemente possibile. È da tanto che non piove, il terreno asciutto permette un’andatura sostenuta ed è un bene perché il viaggio è esposto agli attacchi dei droni russi. Il pilota segue un percorso che conosce soltanto lui e a tratti va a zig-zag, un po’ da una parte e un po’ dall’altra, sempre senza rallentare.
Sul petto ha una patch in velcro con un paio di manette che lo identifica come il master, l’elemento dominante in una relazione sadomaso. Dice che i sottomessi «sono quelli dall’altra parte del fronte», cioè i russi. Per qualche giro di donazioni che non c’è il tempo di ricostruire guida un veicolo inglese, con il volante a destra.
Il secondo soldato stringe in mano un rilevatore che segnala la presenza di droni nel raggio di un chilometro e mezzo: non è tantissimo, considerato che volano a più di cento chilometri l’ora, ma è meglio di niente. Il rilevatore scopre dalla frequenza di trasmissione di che tipo di drone si tratta e comincia a emettere un beep regolare. Suona due volte durante lo spostamento e non è una sorpresa. Sarebbe sorprendente se questo cielo non fosse solcato da droni in ogni direzione.
La posizione è a X chilometri dai soldati della Russia, dove X è un numero fra uno e cinque che gli ucraini hanno chiesto di non specificare per non dare informazioni utili ai russi. Manovrano un cannone Oto Melara di produzione italiana che risale agli anni Ottanta, ricevono via radio le coordinate da colpire, sparano. Il proiettile arriva vicino a un gruppo di russi nel fitto di un macchione di alberi in mezzo ai campi. Nello stesso macchione ci sono soldati ucraini acquattati a duecento metri: sono loro ad avere chiesto questa cannonata per fermare l’avanzata dei nemici, e per il momento sembra funzionare. Sapevano del colpo dei compagni in arrivo, si sono tenuti bassi. Di interventi così ce ne sono decine ogni giorno. Da tutt’attorno alla postazione partono altri colpi di cannone da squadre nascoste che obbediscono ad altre richieste radio.
Il capo di questa squadra ha cinquant’anni, due cuffie incollate alla testa, il suo nome in codice è Stariy, «Vecchio». Quando parla del cannone Oto Melara coniuga i verbi al femminile perché assieme alla sua squadra lo ha battezzato «tesoro» e quindi dice cose come «lei sta facendo molto bene a dispetto degli anni» e «lei fa spesso centro». A pochi passi c’è una montagnola di bossoli vuoti: sono i colpi sparati. Non c’è più l’emergenza della scarsità di munizioni che per molti mesi aveva costretto gli ucraini a centellinare gli spari. Adesso i proiettili ci sono, ma Stariy aggiunge: «non quanti ne hanno i russi».
Gli ucraini si ritirano così nel Donbass meridionale, con una sequenza di arretramenti di pochi chilometri organizzati in modo da infliggere ai soldati russi perdite molto alte. In generale chi attacca muore di più rispetto a chi si difende. È la strategia cosiddetta dell’istrice: i russi sono costretti a sacrifici così grandi per prendere ogni singolo centro abitato e ogni chilometro di terreno, perdendo centinaia di soldati e mezzi, che in teoria prima o poi si dovrebbero stancare. Per ora non ha funzionato.
Ad agosto i soldati ucraini hanno tentato un grande diversivo e hanno invaso la regione di Kursk in Russia, in modo che il governo russo fosse costretto a rallentare l’offensiva nel Donbass e a richiamare in patria una parte delle sue divisioni per affrontare la nuova situazione centinaia di chilometri più a nord. Nemmeno questa scommessa però ha funzionato. L’esercito russo non ha distratto molte truppe e continua a guadagnare chilometri nell’Ucraina dell’est, al costo di moltissimi morti al giorno. Già in altre occasioni l’esercito russo si era dimostrato disposto a mandare a morire centinaia e migliaia di propri soldati: fu eclatante durante la battaglia per conquistare Bakhmut, nella primavera del 2023.
Secondo i dati dell’analista Pasi Paroinen citati dal New York Times, ad agosto e settembre del 2024 i soldati russi hanno conquistato settecento chilometri quadrati di territorio. Per prendere tutto il Donbass mancano loro altri diecimila chilometri quadrati. Il presidente russo Vladimir Putin ha fatto capire che occupare tutta la regione del Donbass è l’obiettivo minimo dell’invasione.
Se le forze di occupazione occupassero Pokrovsk otterrebbero il controllo di alcune strade e di un’autostrada che oggi i militari ucraini usano per spostare truppe e mezzi da una parte all’altra del Donbass. Per i russi muoversi diventerebbe più facile e per gli ucraini, che già sono in inferiorità numerica, diventerebbe una faccenda complicata perché sarebbero costretti a fare giri più larghi.
L’altra metà della squadra di artiglieri è quella che sorveglia l’area dall’alto con i droni e dice dove sparare. Il nome in codice dell’ufficiale di 32 anni che la comanda è «Decker». Durante le comunicazioni radio nell’esercito ucraino nessuno si fa chiamare con il suo vero nome e questa precauzione vale anche per le interviste con i giornali. Ha davanti un computer portatile e lo schermo diviso in tanti piccoli quadrati mostra un pezzo di campo di battaglia attraverso le telecamere di undici droni in volo.
Decker sostiene che i suoi uomini in media uccidano venti soldati russi al giorno (il numero si riferisce a una singola squadra d’artiglieria). Il conteggio dei morti è fatto con le registrazioni dei video. «Se ci dicono di sparare a un gruppo di sei soldati russi e dopo il colpo tre restano a terra e non si muovono più, quelli sono i morti che contiamo. Il conteggio non include i feriti, nessuno li conta», spiega, ma l’esperienza dice che per ogni morto ci sono due feriti.
Non c’è modo per i giornalisti di verificare se questi numeri siano reali. Bisognerebbe ottenere i video dei droni oppure andare sul campo ogni giorno a contare i cadaveri. Con humor nero gli artiglieri ucraini raccontano che spesso succede di uccidere i soldati russi che erano stati mandati a raccogliere i corpi per metterli nei sacchi di plastica, le body bag. «Così vedi due cadaveri nelle body bag e due nuovi accanto».
Pochi giorni fa il dipartimento della Difesa statunitense, che ha le sue fonti d’informazione, ha dichiarato che questo settembre è stato il mese nel quale sono morti più soldati russi dall’inizio dell’invasione in Ucraina nel febbraio 2022. BBC News conta gli annunci di morte che vede pubblicati sui social in Russia. A fine settembre ha aggiornato il conteggio a settantamila, e avvertito: «c’è da credere che il numero reale sia considerevolmente più alto».
I soldati russi attaccano a gruppi di venti per sei-sette volte ogni giorno, fino a quando arriva il buio. Non più di venti uomini perché altrimenti cominciano a essere un bersaglio grosso, che attira gli HIMARS, i missili guidati forniti dagli Stati Uniti. Sfruttano finché possono le macchie di vegetazione per muoversi senza essere scoperti. Di notte stanno fermi perché gli ucraini hanno i visori notturni, e se provassero ad avanzare sarebbero visti anche meglio che di giorno.
Decker dice che nelle ultime due settimane i soldati ucraini sono stati costretti ad arretrare di tre chilometri e mezzo e che questa ritirata arriva dopo altre ritirate. La sua squadra ha già cambiato posizione otto volte a causa dell’avanzata russa e delle loro cannonate di risposta. Adesso i suoi uomini tengono sotto tiro un settore del fronte che è largo tre chilometri e profondo dieci.
Spiega che concentrano «il lavoro» sui soldati russi a piedi, e che «lavorano» sui corazzati soltanto quando sono fermi perché non ha senso sparare con un calibro piccolo quando sono in movimento. «Abbiamo una buona posizione qui, copriamo bene il settore. Possiamo falciare tutta l’avanzata. Il calibro 105 non è grande, ma le schegge volano fino a cento metri. La fanteria russa avanza allo scoperto, non ci sono trincee e gli alberi non sono grandi. In pratica sono soltanto cespugli, non c’è nulla che offra loro protezione».