I Conservatori britannici sono ottimisti, nonostante tutto
Lo hanno dimostrato alla convention del partito, terminata oggi a Birmingham: ma per tornare competitivi dovranno svecchiarsi, risolvere alcune contraddizioni e liberarsi del passato
di Matteo Castellucci
Mercoledì si è conclusa la convention del Partito Conservatore britannico, che era iniziata domenica a Birmingham. È stata un evento atipico da più punti di vista: di solito tutto è costruito attorno alla figura del leader del partito, mentre quest’anno era pensata per selezionarne uno nuovo tra quattro candidati: Tom Tugendhat, Kemi Badenoch, James Cleverly e Robert Jenrick. Soprattutto, in nessun momento è sembrata la convention di un partito che pochi mesi fa ha straperso le elezioni. Si è anzi parlato moltissimo di futuro: i Conservatori credono – o vogliono credere – che il peggio sia passato.
Questi quattro giorni sembravano, nelle intenzioni, una terapia di gruppo. Le discussioni di molti panel si possono riassumere in “Perché abbiamo perso”, “Come possiamo tornare a vincere” oppure entrambi gli aspetti. L’atmosfera è stata ottimistica, a volte festosa e si è svolta in un generale clima di distensione. Una situazione molto diversa rispetto alla convention del Partito Laburista, che si è tenuta la settimana scorsa a Liverpool ed è girata intorno ai primi problemi del governo e al calo nei consensi del primo ministro Keir Starmer.
«Questa sconfitta era nell’aria da tre anni, i Conservatori l’hanno vista arrivare», dice Rachel Cunliffe, giornalista della rivista New Statesman. Il partito è infatti in crisi da tempo e la situazione è peggiorata ulteriormente a partire dal cosiddetto Partygate, lo scandalo per le feste nei palazzi governativi durante la fase peggiore della pandemia di Covid-19.
Le ragioni della sconfitta alle elezioni dello scorso luglio sono varie, ma secondo i tesserati del partito i punti più problematici sono la litigiosità dei politici (16 per cento) e l’insufficiente contrasto all’immigrazione (12 per cento). Su quest’ultimo punto, ultimamente alcuni esponenti Conservatori stanno proponendo di ritirare il Regno Unito dalla Corte europea per i diritti dell’uomo, cosa che darebbe a un eventuale futuro governo conservatore più libertà nell’approvare leggi restrittive.
Alla convention Jenrick, uno dei quattro candidati al ruolo di leader del partito, ha presentato la questione con gli stessi termini usati per Brexit, quindi come una scelta tra Leave e Remain, ossia uscire o rimanere nella Corte. Gli altri tre candidati non hanno escluso l’uscita «se necessario», e comunque tutti propongono di fissare un numero massimo di richiedenti asilo accolti nel paese ogni anno.
Un’altra cosa su cui gli aspiranti leader sono d’accordo è che il partito deve tornare appetibile per i giovani. Secondo le analisi, alle scorse elezioni è salita a 63 anni l’età a cui è più probabile che una persona voti i Conservatori invece dei Laburisti. Gli ultimi governi conservatori si sono concentrati sul gratificare gli elettori di riferimento (i pensionati) senza attrarne di nuovi. «Dobbiamo ripensare come interagiamo con gli attivisti e come affrontiamo le nostre politiche, per fare in modo che siano adatte al 2024 e non al 1954», dice Olivia Lever, la presidente di un think tank dell’ala giovanile del partito.
Quando parlano dei problemi dei giovani, i quattro candidati puntano soprattutto sulle politiche per la casa. Un altro tema sentito in questa fascia anagrafica è l’ambiente, ricorda Fin McCarron del Conservative Environment Network (CNE). Durante il suo governo Boris Johnson aveva approvato una serie di misure per raggiungere il net zero, cioè l’azzeramento delle emissioni inquinanti nette, entro il 2050. Il piano era però stato ridimensionato dal suo successore, Rishi Sunak.
«Non conta arrivare primi se mandi in bancarotta il paese», ha detto Badenoch (una dei candidati alla leadership) durante la convention, aggiungendo di essere «scettica non sul cambiamento climatico, ma sul net zero». Jenrick ha idee simili. Domenica David Frost, l’ex negoziatore britannico di Brexit ancora influente nel partito, ha sostenuto che «bisogna distinguere ambiente e net zero», criticando la «protervia tecnocratica».
Sul tema tra i Conservatori ci sono sensibilità diverse, se non contraddizioni. Alla convention «ci sono troppe voci che rifiutano il consenso scientifico globale sul cambiamento climatico, anche tra i candidati leader. Il partito ha perso il contatto con la maggioranza degli elettori», dice Sienna Somers dell’organizzazione ambientalista Friends of the Earth. Allo stand del CNE una votazione, avvenuta accumulando alcune pigne in due tubi trasparenti, ha stabilito che l’ecologia è «una missione» dei Conservatori: il network ci ha provato in tutti i modi, presentandola ai panel come un «asset elettorale» oppure un modo per «fermare le barche» dei migranti.
Il riposizionamento sulle politiche per il clima (rispetto ai tempi di Johnson) fa parte del tentativo di non indispettire chi ha votato Reform UK, il partito sovranista di Nigel Farage, perché deluso dai Conservatori. Secondo McCarron, del CNE, questo approccio è però controproducente: «Agli elettori interessa solo l’immigrazione, non certo l’ambiente, e non li riconquisti assumendo una linea scettica» sul cambiamento climatico. I candidati leader hanno tutti descritto Farage come un avversario o un nemico, anche se si sono ben guardati dall’estendere le critiche a chi a luglio ha preferito Reform UK a loro.
Una ragione di questa tattica è che negli ultimi anni nel Regno Unito l’elettorato ha mostrato una volatilità (cioè una minore fedeltà a un solo partito) maggiore del passato. Un’altra è che alle ultime elezioni un quinto dei seggi è stato assegnato con un distacco pari o inferiore al 5 per cento. «Nel 2015 i Conservatori vinsero, quasi 4 milioni di persone votarono l’UKIP e più o meno lo stesso numero ha votato quest’anno Reform UK, che ne è il successore. È la dimostrazione che i Conservatori possono vincere le elezioni anche se quattro milioni di britannici votano un partito guidato da Farage», dice Tom Harwood, giornalista della rete televisiva GB News.
«Dobbiamo riscoprire cosa significa essere Conservatori nel ventunesimo secolo, smettere di essere lugubri», dice Albie Amankona, vicepresidente di LGBT+ Conservatives. Nel partito ci sono sono margini di miglioramento sulla rappresentanza di genere: dei 121 deputati eletti a luglio, 92 sono maschi. Alle donne sono toccati i collegi in cui il partito era sicuro di perdere, o quasi. «La questione non riguarda solo il parlamento, ma le donne coinvolte a ogni livello del partito e della politica. Siamo il 52 per cento della popolazione, ma finora non siamo state rappresentate in quanto tali», spiega Eve Burt, presidente della Conservative Women’s Organisation.
Per tornare competitivo il Partito Conservatore dovrebbe fare i conti con il suo passato. Intanto, nei discorsi sul palco e pure nel merchandising del partito è onnipresente Margaret Thatcher, che però divenne leader dei Conservatori cinquant’anni fa. Per esempio Jenrick ha rivelato che «Thatcher» è il secondo nome di una delle sue tre figlie, nata nel 2013, l’anno in cui morì l’ex prima ministra. In questi giorni il suo principale biografo, Charles Moore, ha raccontato che Thatcher sarebbe andata forte su TikTok, ma pure che «imparare la sua lezione non è la stessa cosa che copiarla, bisogna studiarne i successi e i fallimenti».
Mercoledì Thatcher è stata citata durante gli appelli finali dei candidati. Cleverly, l’unico che ha parlato da un podio, ha detto che il partito deve smettere di «guardare nello specchietto retrovisore». Tutti e quattro hanno ribadito che vogliono rendere di nuovo gli elettori fieri di votarli, che vanno recuperati i voti persi lungo tutto lo spettro politico – ed erosi i consensi dei Laburisti a sinistra, dei Libdem al centro e di Reform UK a destra – e ripristinare la fiducia nella competenza del partito, compromessa in 14 anni al governo. «Per vincere serve onestà: ci stiamo concentrando troppo sulle personalità, non abbastanza sui princìpi, troppo sul cambiare ma non abbastanza sul come», ha riconosciuto Tugendhat, un altro candidato al ruolo di leader.
A Birmingham i Conservatori si sono detti che le cose miglioreranno, perché non possono andare peggio di così. Ma non è vero: ci sono le elezioni amministrative e poi, nel 2026, si vota in Scozia e Galles. Chi vincerà le primarie sarà certamente il nuovo o la nuova leader dell’opposizione, ma non necessariamente sarà anche il o la candidata a primo ministro alle prossime elezioni, che dovrebbero tenersi nel 2029. Dipenderà da cosa sarà diventato, nel frattempo, il Partito Conservatore, che è così affezionato alla sua storia, ma per ripeterla dovrà provare a reinventarsi.
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