Il rito delle interviste al papa in aereo
È una ricorrenza che alimenta il ciclo delle notizie in modi spesso simili, e facendo passare in secondo piano la ragione del viaggio
Come accade dopo ogni viaggio apostolico, anche domenica e lunedì i giornali italiani hanno dato ampio spazio all’intervista data da papa Francesco sul volo di ritorno dal Belgio, dove era appena stato. Parlando con i giornalisti, Francesco ha definito i medici che praticano l’aborto dei sicari, un concetto già espresso in passato, peraltro con le stesse identiche parole: eppure molti giornali hanno deciso di riproporre il titolo con una certa evidenza.
Questa attenzione dipende per lo più dal fatto che durante i viaggi in aereo Francesco ha abituato i vaticanisti (così vengono chiamati i giornalisti che si occupano del Vaticano) a rispondere in modo diretto, all’apparenza senza filtri, al punto da diventare un format con una sua ritualità. In volo Francesco pare sentirsi più libero di scegliere parole, concetti o similitudini che non userebbe in una situazione più abbottonata, come un discorso in Vaticano, e di conseguenza i giornalisti sono portati a osare di più. Le domande sono ambiziose perché c’è la possibilità di ottenere risposte soddisfacenti. In gergo si dice che “il titolo è assicurato”.
Tuttavia il risultato è che spesso le conferenze stampa del papa sull’aereo di ritorno da un viaggio apostolico finiscono per oscurare il viaggio apostolico stesso.
Anche se dagli articoli e dai video sembra che il dialogo tra il papa e i giornalisti sia estemporaneo e spontaneo, in realtà anche l’intervista in volo deve sottostare ad alcune regole, così come l’intero viaggio apostolico.
L’organizzazione è affidata alla sala stampa del Vaticano, che poco dopo l’annuncio del viaggio riceve le richieste di accredito. In totale ogni viaggio è seguito da un centinaio di persone, tra cui una settantina di giornalisti. Ci sono poi i gendarmi e le guardie svizzere, i sacerdoti che si occupano della liturgia durante le celebrazioni previste nel viaggio e l’entourage del papa. Per alcune mete giornalisticamente interessanti vengono presentate molte richieste, di conseguenza la sala stampa è costretta a escludere qualcuno.
Le persone accreditate devono seguire tutte le tappe, dal decollo fino all’atterraggio. Devono anche dormire negli alberghi scelti dall’organizzazione vaticana, quasi sempre di categoria 5 stelle. I costi dell’intera trasferta devono sostenerli i giornali: il recente viaggio in Asia e Oceania, lungo 12 giorni, è costato a ogni giornale circa 10mila euro («e anche stavolta il viaggio al Papa l’abbiamo pagato noi», è una delle battute che ciclicamente circolano tra i vaticanisti).
Il volo di andata viene fatto solitamente con un aereo di ITA Airways, mentre il volo di ritorno spetta alla principale compagnia aerea del paese visitato, e lo stesso vale per gli eventuali viaggi interni. Pochi minuti dopo il decollo il papa saluta i vaticanisti: fino a un anno e mezzo fa passava di posto in posto per una stretta di mano e una breve battuta, da quando fatica a camminare è solito sedersi a un posto, raggiunto dai giornalisti uno per volta. Alcuni gli portano regali, libri o quadri. Non è questa l’occasione per farlo parlare, anche se negli ultimi anni è capitato che in uno di questi scambi più personali il papa desse qualche notizia. La conferenza stampa, quella dove vengono fatte le domande più importanti, è sempre fissata nel volo di ritorno.
Gli unici posti assegnati sul volo sono quelli dei fotografi e degli operatori, per esigenze legate alle inquadrature e alle foto. I giornalisti si mettono invece dove capita, anche se alcuni hanno dei posti più o meno riservati, un privilegio dovuto per lo più all’anzianità di servizio, ma anche per altri motivi non sempre chiari.
Tutte le comunicazioni ufficiali della sala stampa ai giornalisti accreditati – discorsi, annunci, programmi di giornata – vengono diffuse in una chat di Telegram. Anche se il Vaticano non è un’istituzione nota per la sua trasparenza, negli ultimi anni i rapporti tra la sala stampa e i vaticanisti sono migliorati – per non dire normalizzati – grazie anche al lavoro dell’AIGAV, l’Associazione internazionale dei giornalisti accreditati in Vaticano, una sorta di sindacato dei vaticanisti. Anche durante i viaggi apostolici, i rappresentanti dell’AIGAV (ora la presidenza è vacante) cercano di accordarsi con i responsabili della comunicazione vaticana su diversi aspetti pratici come le modalità di diffusione delle informazioni.
Molte delle regole relative alla conferenza stampa sul volo di ritorno sono state introdotte negli ultimi tre anni, quando l’AIGAV è stata presieduta da Loup Besmond de Senneville, vaticanista del quotidiano francese di ispirazione cattolica La Croix. Tra le altre cose, Besmond de Senneville ha ottenuto di non dover anticipare al responsabile della sala stampa vaticana le domande rivolte al papa dai vaticanisti sul volo, una regola che poi ha in parte contribuito a generare il “format”.
In realtà le prime interviste libere sul volo di ritorno da un viaggio apostolico avvennero durante il pontificato di Benedetto XVI. Inizialmente le conferenze stampa avvenivano con modalità che un esperto vaticanista non esita a definire «selvagge»: chi aveva il microfono poteva parlare, motivo per cui c’era una specie di lotta per accaparrarselo al momento giusto. In seguito le regole cambiarono e tutto divenne più rigido e controllato. I giornalisti davano le domande al portavoce della sala stampa vaticana, all’epoca padre Federico Lombardi, che selezionava e leggeva le domande.
Con Francesco le modalità sono cambiate. Ogni giornalista può chiedere quello che vuole, anche se la sala stampa vaticana esorta quasi sempre – invano – a fare domande relative al viaggio apostolico appena concluso. Siccome rispondere a decine di domande sarebbe troppo lungo, i vaticanisti sono organizzati in gruppi linguistici. Le prime due domande sono riservate a due giornalisti originari del paese appena visitato, poi tocca a inglesi, italiani, francesi, spagnoli e infine al gruppo tedesco-polacco.
Ogni gruppo ha regole interne. Gli inglesi, per esempio, decidono tra di loro chi farà la domanda e la persona prescelta può scegliere anche il tema. Gli italiani invece si riuniscono più volte per scegliere sia chi farà la domanda, sia il tema. Non ci sono regole precise sui turni, che dipendono più o meno da quanto tempo una testata giornalistica non fa una domanda al papa.
Anche se in teoria le domande sono libere, spesso i vaticanisti hanno la sensazione che il papa riesca a conoscere in qualche modo il tema delle domande perché magari qualcuno gliele anticipa di nascosto. Ma le risposte sono sempre molto libere, come dimostrano i resoconti di quasi tutti i suoi viaggi: negli anni Francesco ha parlato di moltissimi argomenti in questa particolare situazione.
Per i giornalisti è anche l’occasione di fare domande “vere” al papa, nel senso che non ci sono accordi preventivi legati a interviste singole, e in alcuni casi anche di incalzarlo su temi delicati. Nel 2018, durante il viaggio di ritorno dal Cile, la giornalista dell’agenzia di stampa Associated Press Nicole Winfield ribattè più volte al papa per ottenere alcune risposte più puntuali in merito alle critiche ricevute da Sean Patrick O‘Malley, importante cardinale e arcivescovo di Boston.
A metà settembre, durante il volo di ritorno dal viaggio in Asia e Oceania, i giornalisti hanno chiesto al Papa un giudizio sui bombardamenti di Israele nella Striscia di Gaza, perché era la prima occasione di fargli una domanda diretta dopo gli attacchi del 7 ottobre 2023. Sapevano che dalla risposta sarebbe arrivato un titolo, cosa che è effettivamente successa.