Nella Striscia di Gaza la scuola non è cominciata nemmeno quest’anno
Organizzazioni internazionali e insegnanti palestinesi stanno attivando vari progetti educativi informali, che però non compensano la mancanza di un sistema centralizzato
Lunedì scorso nella Striscia di Gaza sarebbe dovuto cominciare l’anno scolastico: da mesi però le scuole sono chiuse a causa della guerra e le lezioni rimarranno ferme per il secondo anno di fila. Nel frattempo molti bambini hanno iniziato a lavorare per aiutare le famiglie, e gli studenti universitari hanno dovuto rinunciare a borse di studio o scambi culturali già confermati. Per sopperire almeno in parte alla mancanza delle lezioni, alcune organizzazioni umanitarie che operano nella Striscia stanno attivando vari progetti educativi informali, e gli insegnanti hanno iniziato spontaneamente a tenere dei corsi nelle proprie case o nelle tende dei campi profughi.
Secondo l’UNICEF il 9 settembre scorso nella Striscia di Gaza 45mila bambini di 6 anni avrebbero dovuto iniziare le scuole elementari, e altri 625mila avrebbero dovuto frequentare le classi successive. In seguito all’attacco di Hamas dello scorso 7 ottobre e alla successiva risposta militare di Israele, molte scuole nella Striscia sono state chiuse e convertite in rifugi per i quasi due milioni di sfollati palestinesi che hanno lasciato le loro case per sfuggire ai continui bombardamenti e attacchi dell’esercito israeliano.
Education Cluster, un gruppo di lavoro che riunisce varie organizzazioni umanitarie tra cui l’UNICEF e Save the Children, ha detto che oltre il 90 per cento degli edifici scolastici a Gaza è stato danneggiato dai bombardamenti: quasi tutti risultano inagibili, e potrebbero volerci anni per ricostruirli. Molte scuole erano gestite dall’UNRWA, l’Agenzia delle Nazioni Unite che assiste i profughi palestinesi.
Lo scorso 10 agosto, per esempio, un bombardamento israeliano su una scuola-rifugio nel nord della Striscia aveva ucciso quasi cento persone. Israele sostiene che gli edifici attaccati siano usati come centri operativi dai miliziani di Hamas e del Jihad Islamico, il secondo gruppo armato più grande della Striscia. Hamas ha sempre negato di usare edifici civili per le proprie operazioni.
In mancanza delle lezioni, molti bambini palestinesi si stanno dando da fare per aiutare come possono le proprie famiglie: rimangono in coda per ore ai centri di distribuzione del cibo e dell’acqua potabile, oppure si mettono a lavorare per guadagnare qualcosa. Mo’men Qudeh ha raccontato all’Associated Press che prima della guerra i suoi cinque figli andavano molto bene a scuola, mentre ora sono costretti a vivere in una tenda posizionata in un cimitero a Khan Yunis, nella parte meridionale della Striscia. Ogni giorno scavano tra le macerie per raccogliere materiali edili da rivendere, e guadagnano l’equivalente di 3,60 euro, quando va bene.
Negli ultimi 11 mesi sono stati attivati vari progetti educativi nella Striscia. Lo scorso agosto per esempio è partito il programma “Back to Learning” (“tornare a imparare”), gestito da varie organizzazioni umanitarie tra cui l’UNRWA e l’UNICEF. Inizialmente dovrebbe mettere a disposizione dei bambini spazi per giocare e stare insieme facendo attività sportive, artistiche e musicali. Nella seconda fase dovrebbero essere avviati corsi informali per imparare a scrivere, leggere e contare. A Gaza però portare avanti iniziative di lungo periodo è estremamente difficile, a causa dei continui bombardamenti e dei ripetuti ordini di evacuazione diramati dell’esercito israeliano.
Nel frattempo, alcuni insegnanti hanno iniziato a fare delle lezioni informali. «Le famiglie vogliono che i loro figli imparino a leggere e scrivere invece di sprecare tempo a casa, dato che la guerra non finirà presto», ha detto al Wall Street Journal Wafaa Ali, che fa lezioni di arabo, inglese e matematica a casa sua, nella città di Gaza. Oula Al Ghoul tiene invece dei corsi in una tenda nel campo profughi di Deir al Balah, nella parte centrale della Striscia, per i bambini che dovrebbero frequentare la prima elementare. «I bambini vogliono imparare, e anche i genitori vengono a informarsi sui progressi dei loro figli nella scrittura», ha detto a CNN.
Sono però iniziative improvvisate, che per quanto utili non riescono a compensare la mancanza di un sistema educativo centralizzato: mancano i libri, le penne, i quaderni e tutti gli strumenti che sarebbero necessari per imparare.
Nella Striscia sono chiuse anche le università. Molti studenti hanno dovuto interrompere bruscamente il loro percorso di studi, rinunciando per esempio all’opportunità di fare scambi con altri paesi. Tra questi c’è Yara al Shawa, una studente della città di Gaza di 22 anni che aveva vinto una borsa di studio per frequentare un master in diritti umani in Qatar. A causa della guerra è rimasta bloccata nella Striscia, e insieme ai suoi fratelli ha iniziato a lavorare per sostenere la sua famiglia. «La guerra ha rubato il nostro futuro. Quelli che prima ci sembravano sogni realizzabili, per me diventare un’avvocata e per mio fratello finire la scuola, ora sembrano fantasie», ha detto al Guardian.
La guerra sta avendo conseguenze negative anche sull’istruzione in Cisgiordania, dove dallo scorso ottobre gli scontri tra israeliani e palestinesi sono diventati sempre più frequenti e violenti. Secondo i dati del ministero dell’Istruzione locale, ogni giorno negli ultimi 11 mesi almeno qualche scuola è rimasta chiusa, e in generale molti bambini hanno smesso di frequentare le lezioni per la paura di attacchi o restrizioni alla circolazione.