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  • Lunedì 16 settembre 2024

Il governo dei Paesi Bassi vuole approvare il piano «più duro di sempre» sui migranti

Prevede la cancellazione dei permessi di soggiorno a tempo indeterminato e una stretta sui ricongiungimenti familiari: ma per essere approvato serviranno parecchi passaggi

Alcuni richiedenti asilo arrivano in un centro di Ter Apel, nei Paesi Bassi (Pierre Crom/Getty Images)
Alcuni richiedenti asilo arrivano in un centro di Ter Apel, nei Paesi Bassi (Pierre Crom/Getty Images)
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La scorsa settimana all’Aja, sede del parlamento dei Paesi Bassi, il nuovo governo del paese guidato dal primo ministro Dick Schoof e sostenuto perlopiù da partiti di destra ed estrema destra ha presentato una delle principali misure del proprio programma: una serie di misure che la ministra per la migrazione Marjolein Faber ha descritto come «le più restrittive di sempre» contro migranti e richiedenti asilo, sia quelli che già vivono nei Paesi Bassi sia quelli che intendono arrivarci.

La premessa del piano è che il governo dichiari lo stato di emergenza sull’accoglienza dei migranti, cosa che gli permetterebbe di approvare diverse misure senza passare dal parlamento. Il governo Schoof inoltre intende esercitare la clausola di opt-out (cioè di non partecipazione) rispetto alle norme dell’Unione Europea in materia di migrazione e asilo.

In estrema sintesi il piano prevede un inasprimento dei controlli alle frontiere, di cancellare la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno a tempo indeterminato, di accelerare le espulsioni e di limitare il ricongiungimento familiare, che diventerebbe impossibile soprattutto per i figli maggiorenni di persone migranti. L’obiettivo è anche quello di modificare le leggi sugli alloggi per impedire ai richiedenti asilo con permesso di soggiorno di ottenere l’accesso prioritario alle case popolari. Il governo auspica anche di concludere degli accordi con i paesi d’origine delle persone migranti affinché le autorità locali impediscano con la forza ai migranti di partire, sulla scia degli accordi con Turchia, Libia e Tunisia.

La ministra Faber fa parte del Partito per la Libertà (PVV), il partito di estrema destra guidato da Geert Wilders, che controlla circa un quarto dei parlamentari alla Camera. Per attivare lo stato di emergenza – che solitamente serve per gestire conflitti, disastri naturali o gravi crisi sanitarie – serve un voto a maggioranza di entrambe le camere degli Stati Generali, cioè il parlamento bicamerale dei Paesi Bassi.

Alla Camera il governo ha una maggioranza solida: 88 seggi su 150. Se verrà approvata la richiesta di stato di emergenza passerà al Senato, dove i partiti della coalizione di governo sono piuttosto lontani dai numeri necessari, dato che controllano 30 seggi su 75. Nel caso in cui le due Camere approvino lo stato di emergenza, il governo potrà adottare delle misure in autonomia senza più coinvolgerle. L’intero procedimento comunque potrebbe richiedere mesi.

Se anche il piano verrà approvato, quasi sicuramente subirà dei ricorsi da parte delle associazioni che si occupano di migranti, ma anche di singole persone che saranno in qualche modo interessate dalle misure.

Il governo Schoof ha poi confermato l’intenzione di chiedere «al più presto» di poter esercitare la clausola di opt-out rispetto alle norme dell’Unione in materia di migrazioni e asilo, cioè di esclusione dalle norme previste dagli accordi europei. La richiesta dovrebbe essere inviata a Bruxelles questa settimana, ha detto venerdì scorso lo stesso Schoof.

Ci sono comunque diversi dubbi sul fatto che il governo riesca effettivamente a dichiarare lo stato di emergenza e ottenere un opt-out dall’Unione Europea. Subito dopo le dichiarazioni di Schoof un portavoce della Commissione Europea ha detto che tutti gli stati membri sono vincolati dalle norme esistenti e che qualsiasi deroga dovrebbe essere negoziata prima, e non dopo la sua approvazione (l’insieme delle leggi europee in materia di migrazione e asilo è ormai molto stratificato).

– Leggi anche: La decisione della Germania di aumentare i controlli di frontiera sta creando scompiglio

Diversi esperti legali hanno poi dei dubbi sul fatto che l’attuale numero di arrivi di migranti e richiedenti asilo possa rappresentare un motivo sufficiente per dichiarare una crisi, e quindi chiedere di attivare lo stato di emergenza. Gli ultimi dati dicono che a luglio c’è stato un calo netto calo delle richieste di asilo: sono state 2.600, circa la metà del dato più alto degli ultimi anni registrato ad ottobre del 2023 (circa cinquemila). Nel 2023 furono concessi circa 27mila permessi di soggiorno temporanei, 2.500 in meno rispetto all’anno precedente.

Alcuni giuristi e i partiti dell’opposizione hanno criticato il piano del governo concentrandosi soprattutto sul piano formale. La docente di diritto pubblico all’Università di Utrecht Viola Bex-Reimert ha detto a Le Monde che non ha molto senso escludere il parlamento dalla gestione di una questione politica, senza che ci siano i criteri per definirlo un’emergenza.

Faber, che in passato ha parlato di messa al bando del Corano, di chiusura di tutte le moschee e di «eliminazione dell’Islam», dovrà convincere almeno altri due partiti della coalizione di governo a seguirla: il Nuovo Contratto Sociale (NSC, sostenitore di politiche di sinistra in economia e di destra sull’immigrazione e sull’interruzione volontaria di gravidanza) e soprattutto il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia dell’ex primo ministro Mark Rutte (VVD, conservatore e liberale). Nel 2022 quest’ultimo si rifiutò di adottare alcune misure di emergenza mentre i centri di accoglienza erano sovraffollati, sostenendo che non ci fossero sufficienti basi giuridiche per avviarle. Mercoledì 18 e giovedì 19 settembre il governo dovrà spiegare e difendere davanti ai deputati i propri piani sull’immigrazione.

Nel frattempo il dibattito sul piano del governo ha assunto una dimensione molto concreta per via di una vicenda molto seguita dai giornali dei Paesi Bassi, e non solo. Riguarda l’ordine di espulsione ricevuto da Mikael Matosyan, un bambino di 11 anni di origine armena. Matosyan è nato nei Paesi Bassi, frequenta da sempre la scuola ad Amsterdam, non è mai stato in Armenia: eppure potrebbe essere presto “rimpatriato” con la madre proprio in Armenia. La storia è piuttosto complessa e la battaglia legale per far ottenere a Mikael Matosyan il diritto d’asilo è stata molto lunga. Il 31 luglio il Consiglio di Stato ha deciso definitivamente di non concederglielo. L’opposizione e le associazioni per i diritti umani temono che in caso di approvazione del piano del governo casi simili a quello di Matosyan si moltiplicheranno.

Di fronte alla mobilitazione di una parte dell’opinione pubblica e delle opposizioni la ministra Faber ha detto di non potere intervenire, poiché secondo la sua interpretazione potrebbe farlo solo il direttore del suo stesso ministero. Diversi giuristi hanno però contestato questa posizione citando vari precedenti di minori nati nei Paesi Bassi che hanno ricevuto un permesso di soggiorno a seguito di un intervento ministeriale, in quanto la loro situazione era stata giudicata «sensibile» dal punto di vista umanitario.