La prima storica “passeggiata spaziale” privata

Per la prima volta due astronauti non professionisti hanno effettuato un'attività extraveicolare nell'ambito della missione Polaris Dawn, aprendo una nuova fase dell'esplorazione dello Spazio da parte dei privati

di Emanuele Menietti

Jared Isaacman durante la sua attività extraveicolare (SpaceX)
Jared Isaacman durante la sua attività extraveicolare (SpaceX)
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Per la prima volta nella storia due astronauti non professionisti hanno effettuato una “passeggiata spaziale” (attività extraveicolare o EVA) gestita da una società privata.

L’iniziativa è stata organizzata nell’ambito della missione Polaris Dawn iniziata martedì 10 settembre, con il lancio da Cape Canaveral in Florida della capsula spaziale Crew Dragon di SpaceX. A bordo della navicella ci sono quattro persone compreso il miliardario Jared Isaacman, che ha finanziato buona parte del viaggio.

Attualmente Crew Dragon si trova in un’orbita ellittica che porta la capsula ad avere una distanza minima dalla Terra di circa 190 chilometri e ad allontanarsi dal nostro pianeta fino a una distanza di 700 chilometri. Nelle prime fasi della missione, Crew Dragon si era spinta fino a 1.400 chilometri, il punto più distante nello Spazio mai raggiunto da un equipaggio in più di 50 anni, cioè dalla fine del programma spaziale Apollo della NASA per raggiungere la Luna (che si trova a quasi 400mila chilometri dalla Terra).

L’EVA è stata effettuata da Isaacman e da Sarah Gillis, un’ingegnera di SpaceX, mentre all’interno della capsula sono rimasti i loro due compagni di viaggio: Scott Poteet, un ex pilota di aerei militari, e Anna Menon, un’altra ingegnera di SpaceX. Per la loro escursione all’esterno della capsula, Isaacman e Gillis hanno indossato tute sperimentali progettate da SpaceX per resistere all’ambiente spaziale. Sono state sviluppate partendo dalle tute solitamente utilizzate dagli astronauti che grazie a Crew Dragon possono raggiungere la Stazione Spaziale Internazionale, nell’ambito degli accordi commerciali tra SpaceX e la NASA.

Le tute non hanno sistemi autonomi di erogazione dell’ossigeno e di mantenimento della pressione, per compensare il vuoto pressoché totale dell’ambiente spaziale. Sono collegate alla capsula attraverso tubi e cavi che permettono il trasferimento dell’ossigeno e dell’azoto, nonché dell’energia necessaria per far funzionare le altre strumentazioni. Dopo circa 40 minuti di preparazione, Isaacman e Gillis sono usciti a turno da un portellone sulla sommità di Crew Dragon e sono rimasti all’esterno della capsula per 15-20 minuti ciascuno. Oltre a essere un’importante prima volta per una missione privata, l’EVA ha lo scopo di verificare la tenuta e l’affidabilità delle tute di SpaceX in vista delle prossime missioni.

Di solito le EVA richiedono tempi lunghi di preparazione proprio perché gli astronauti devono abituarsi a condizioni di pressione diverse da quelle tipicamente presenti all’interno dei veicoli spaziali (nella tuta la pressione è inferiore per evitare che questa sia troppo rigida, al punto da ostacolare i movimenti). Sulla ISS chi deve compiere l’attività extraveicolare, per esempio, passa attraverso una camera d’equilibrio (airlock) in modo che ci sia un ambiente intermedio tra la Stazione e lo Spazio. L’astronauta si chiude alle spalle il portellone della ISS e apre un secondo portellone verso l’esterno, in modo che la Stazione continui a essere isolata dall’ambiente spaziale (altrimenti perderebbe ossigeno e pressurizzazione con esiti catastrofici per gli altri occupanti).

Jared Isaacman poco dopo la sua uscita dalla capsula Crew Dragon (SpaceX)

Su Crew Dragon non c’è un airlock, quindi tutti i quattro membri di Polaris Dawn hanno indossato le tute per rimanere isolati dall’esterno. Al termine del test e dopo la chiusura del portellone impiegato per l’EVA, la pressione all’interno di Crew Dragon è stata ripristinata insieme alla giusta concentrazione di ossigeno per permettere ai suoi occupanti di togliere le tute e proseguire la missione. Fin dall’inizio della missione le condizioni di pressione e la percentuale di azoto erano state progressivamente ridotte, per quanto in modo lieve, per favorire l’acclimatamento in vista dell’EVA, riducendo il rischio di problemi di compensazione per l’equipaggio.

Le attività extraveicolari sono relativamente sicure e gli astronauti delle principali agenzie spaziali ne hanno effettuate centinaia in quasi 70 anni di storia dell’esplorazione dello Spazio. I rischi naturalmente non mancano e riguardano soprattutto la tenuta delle tute e la possibilità di chi le indossa di muoversi senza troppi impedimenti, soprattutto in una situazione di emergenza.

L’attività di oggi ha un importante valore storico perché segna l’inizio di una nuova fase delle esplorazioni spaziali da parte dei privati, finora limitate. L’esito del test non era scontato considerato che le tute di SpaceX non erano mai state sperimentate prima nell’ambiente spaziale, né Crew Dragon in una condizione in cui il suo interno viene esposto all’ambiente spaziale per diversi minuti.

La vista dal casco di Jared Isaacman durante l’EVA (SpaceX)

Per Isaacman non è la prima volta nello Spazio. Nel settembre del 2021 aveva già raggiunto l’orbita con la missione Inspiration4, sempre gestita da SpaceX e in compagnia di altre tre persone, nessuna delle quali faceva l’astronauta di professione per conto dei governi e di istituzioni pubbliche, come è quasi sempre avvenuto dagli albori delle esplorazioni spaziali oltre 60 anni fa. Come era accaduto con Inspiration4, anche per Polaris Dawn né Isaacman né SpaceX hanno fatto sapere i costi dell’iniziativa, comunque nell’ordine di decine di milioni di dollari, senza contare i costi per lo sviluppo di alcune nuove tecnologie da parte di SpaceX.

Fino a oggi solamente alcuni astronauti della NASA, dell’Agenzia spaziale europea (ESA) e di quelle del Canada, della Russia e della Cina avevano effettuato un’EVA, per esempio per la costruzione e la manutenzione delle stazioni orbitali costruite nel tempo intorno alla Terra, superando grandi difficoltà tecniche e gestendo i molti rischi che derivano dal trovarsi nel vuoto pressoché totale dello Spazio. Le tute per farlo sono in sostanza delle piccole astronavi da indossare, ce ne sono poche e sono estremamente costose, ma SpaceX come altre aziende private vuole cambiare le cose.

Polaris Dawn ha una durata di cinque giorni con una quarantina di esperimenti da effettuare a bordo, molti dei quali orientati a valutare gli effetti della permanenza nello Spazio sull’organismo – come si fa da anni sulla ISS – e a sperimentare nuove tecnologie che potrebbero essere impiegate in futuro nelle missioni di lunga durata verso la Luna e forse un giorno Marte. Al termine della missione, Crew Dragon si tufferà al largo della costa della Florida, dove una squadra di recupero si occuperà di riportare sulla terraferma la capsula e i suoi quattro occupanti. Isaacman e SpaceX hanno in programma almeno altre due missioni, ma non hanno ancora fornito informazioni sulle modalità e sui tempi, che in parte dipenderanno dai risultati ottenuti con questa missione.