Cosa c’entra Maradona con i tassi di interesse

Il suo “gol del secolo” ai Mondiali del 1986 aiuta a spiegare la relazione tra banche centrali e aspettative degli investitori

Diego Maradona durante una partita della nazionale argentina nel 1986 (David Cannon/Allsport/Getty Images/Hulton Archive)
Diego Maradona durante una partita della nazionale argentina nel 1986 (David Cannon/Allsport/Getty Images/Hulton Archive)
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Sfruttare riferimenti culturali molto noti per spiegare complessi concetti economici è uno stratagemma adottato di frequente dagli studiosi: nel 2022, per esempio, alcuni ricercatori usarono la serie tv sudcoreana Squid Game per rendere più comprensibile la teoria dei giochi, una parte della matematica dedicata all’analisi delle azioni di individui in un contesto in cui interagiscono con altri cercando di ottenere il massimo guadagno possibile. Oppure i libri di testo usano spesso l’esempio del naufrago Robinson Crusoe per parlare di economia chiusa, un caso teorico in cui un paese non commercia con nessuno e vive solo di quello che riesce a produrre.

Lo ha fatto anche Mervyn King, governatore della Banca d’Inghilterra dal 2003 al 2013, che nel 2005 in un suo discorso sul lavoro dei banchieri centrali se ne uscì con un paragone che a prima vista non c’entrava niente: il gol di Diego Armando Maradona contro l’Inghilterra ai Mondiali in Messico del 1986, forse il più famoso della storia del calcio, soprannominato il “gol del secolo”. In realtà fu un esempio assai efficace per spiegare come le banche centrali possono influenzare le aspettative degli operatori finanziari anche senza fare niente di concreto, talvolta anche senza intervenire sul principale strumento a loro disposizione, i tassi di interesse. Da allora la teoria ha preso proprio il nome di Maradona (“teoria di Maradona dei tassi di interesse”), ed è risultata particolarmente vera negli ultimi anni.

Per compiere il lungo salto concettuale che va dallo stadio Azteca di Città del Messico all’austero mondo dei banchieri centrali, bisogna ricordare un momento i dettagli dell’azione di Maradona: prese palla a centrocampo, ruotò su se stesso saltando due centrocampisti inglesi, poi nell’ordine dribblò il difensore Terry Butcher, l’altro difensore Terry Fenwick, il portiere Peter Shilton e fece gol prima che un altro difensore avversario, Kenny Sansom, potesse intercettare il pallone. Il tutto nel giro di 11 secondi, in cui Maradona andò verso la porta seguendo una traiettoria tutto sommato dritta e toccando il pallone 12 volte.

Secondo l’ex governatore della Banca d’Inghilterra l’azione di Maradona è «un esempio del potere delle aspettative» che si può applicare alla teoria moderna dei tassi di interesse, quella che spiega la relazione tra la decisione delle banche centrali di muovere il livello dei tassi e l’andamento conseguente dell’economia. King disse:

Maradona ha corso per 60 metri dalla propria metà campo, evitando cinque giocatori prima di tirare la palla dentro la porta dell’Inghilterra. Il fatto davvero notevole, comunque, è che Maradona ha corso praticamente in linea retta. Come puoi evitare cinque giocatori correndo in linea retta? La risposta sta nel fatto che i difensori inglesi hanno reagito a cosa si aspettavano che facesse Maradona. E mentre loro si aspettavano che Maradona andasse a destra o a sinistra, lui è riuscito ad andare dritto. La politica monetaria funziona in modo simile. I tassi di interesse di mercato seguono ciò che ci si aspetta farà la banca centrale.

I tassi di interesse costituiscono il costo di un prestito: li chiedono le banche a chi fa richiesta per un mutuo, li ricevono gli investitori quando comprano certi titoli finanziari in borsa, e li pagano gli Stati a chi presta loro dei soldi. Il loro livello non è deciso arbitrariamente da chi concede il prestito, ma segue l’andamento generale del mercato. Che a sua volta è guidato dalle banche centrali, come la Banca Centrale Europea per il mercato europeo e la Federal Reserve per quello statunitense: i tassi di interesse sono infatti lo strumento principale con cui queste banche tengono sotto controllo l’andamento generale dei prezzi al consumo, quindi dell’inflazione.

Le banche centrali moderne esistono appunto per garantire una crescita moderata e costante dei prezzi. I prezzi non devono aumentare troppo, altrimenti generano le distorsioni e l’impoverimento che abbiamo visto negli ultimi tre anni, ma neanche diminuire o rimanere fermi, perché in quel caso vorrebbe dire che l’economia cresce poco ed è stagnante. La BCE ha il compito di tenere l’inflazione sempre intorno al 2 per cento. Se una banca centrale abbassa i tassi di interesse lo fa per stimolare l’economia, poiché i tassi bassi invogliano a prendere a prestito denaro per investire, comprare case, aprire imprese, consumare di più: e così l’economia cresce.

Quando invece i tassi vengono aumentati l’obiettivo è opposto. Si vuole “raffreddare” un’economia che sta crescendo troppo, e che in gergo viene definita “surriscaldata”. Con tassi più alti investire e consumare diventa meno conveniente, il denaro costa banalmente di più, chiedere un mutuo per comprare una casa è meno conveniente, così come un prestito per comprare un’auto o un finanziamento per aprire una nuova impresa. Il risultato è che spesso consumatori e imprenditori rimandano gli investimenti, provocando così un rallentamento dell’economia e dunque una diminuzione dell’inflazione: si compra meno, si investe meno, e i prezzi iniziano ad aumentare di meno.

Per far sì che queste soluzioni funzionino, una banca centrale deve adottare una comunicazione decisa ed efficace, tale da influire sulle aspettative delle persone. Più le banche sono credibili nelle loro azioni, più il loro intervento avrà effetto: se in un periodo di alta inflazione una banca centrale inizia ad aumentare i tassi ma si mostra indecisa su cosa farà dopo, gli operatori potrebbero pensare che non continuerà ad alzarli e dunque non si interromperanno i meccanismi che portano agli aumenti dei prezzi. Al contrario, se gli operatori sono convinti che la banca centrale continuerà decisa sul percorso di rialzo dei tassi, allora questo tipo di manovra bloccherà tutte le decisioni degli operatori e l’inflazione smetterà di crescere. Ma in tutto questo, cosa farà davvero la banca centrale ha un’importanza relativa: conta di più cosa dice di voler fare.

In gergo la capacità di una banca di influenzare le aspettative sul suo operato si chiama forward guidance, una sorta di indicazione sulle tendenze future. La forward guidance è ormai diventata uno strumento di politica monetaria a tutti gli effetti. Un esempio famosissimo e molto indicativo di come può funzionare è lo storico discorso di luglio del 2012 dell’ex presidente della Banca Centrale Europea Mario Draghi, il «whatever it takes» che interruppe una grave ondata speculativa sui paesi europei. L’esistenza stessa dell’euro era messa a rischio, ma Draghi disse che la BCE era pronta a fare «tutto il necessario per salvare l’euro e, credetemi, sarà sufficiente».

Il messaggio di Draghi fu così efficace che non ci fu mai bisogno di attivare il piano di salvataggio presentato in quel periodo, le Outright Monetary Transactions (OMT), con cui la BCE si impegnava a comprare i titoli di Stato dei paesi più in crisi. Con la sua frase Draghi avvertì i mercati che sarebbe stato disposto a usare gli enormi mezzi della BCE per difendere a ogni costo la tenuta dell’euro ed evitare che eventuali default dei paesi membri potessero mettere in crisi l’unione monetaria. Anche il tono ebbe una sua importanza nel trasmettere il messaggio: in maniera esplicita e chiara fece capire a chi fino ad allora aveva scommesso contro la tenuta dell’euro che da quel momento avrebbe dovuto scommettere contro la BCE e le sue risorse praticamente infinite. E non si può vincere se si scommette contro una banca centrale. Christine Lagarde, che è succeduta a Draghi alla guida della BCE, le ha definite «le parole più potenti nella storia delle banche centrali».

La lezione che insegna il gol di Maradona ai banchieri centrali è stata spesso utile in anni recenti. Solo qualche anno dopo che Mervyn King aveva pronunciato il suo discorso ci furono la crisi finanziaria globale del 2007, la conseguente crisi dei debiti sovrani in Unione Europea e più di recente la pandemia da coronavirus. In quegli anni, per lunghi periodi, le banche centrali hanno tenuto i tassi di riferimento intorno allo zero nel tentativo di stimolare l’economia. I banchieri centrali a un certo punto non avevano più modo di intervenire ancora sui tassi, già ai minimi storici, e molti optarono per una soluzione “alla Maradona”: rassicurarono gli investitori del fatto che non avrebbero aumentato i tassi di riferimento nel breve termine, facendo addirittura scendere alcuni tassi di mercato sotto lo zero.

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