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  • Sabato 7 settembre 2024

Agli studios non interessa più organizzare le interviste durante i festival di cinema

Per tagliare i costi le case di produzione non concedono quasi più le proprie star ai giornalisti, che infatti a Venezia hanno protestato

Il regista tedesco Wim Wenders intervistato a Venezia nel 2008. (Dan Kitwood/Getty Images)
Il regista tedesco Wim Wenders intervistato a Venezia nel 2008. (Dan Kitwood/Getty Images)
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Durante la Mostra del cinema di Venezia un gruppo di giornalisti, freelance e non, ha protestato per un problema legato alle interviste, che negli anni dopo la pandemia è cresciuto fino a portare, quest’anno, a un quasi annullamento di tutta l’attività stampa riguardante i film più grandi e internazionali, con l’eccezione della tradizionale conferenza stampa obbligatoria.

Oltre a un’occasione per mostrare i film, solitamente i grandi festival erano anche un’opportunità per molta attività della stampa, come interviste individuali, interviste di gruppo, interviste radiofoniche e televisive, che potevano essere pubblicate subito (come parte della copertura del festival) oppure conservate e utilizzate nel corso dell’anno successivo, in concomitanza con l’uscita dei film. Negli ultimi anni però, a partire dai grandi film americani le maggiori produzioni hanno iniziato a ridurre gli “slot” (cioè l’unità di tempo riservata a un singolo giornalista o a un gruppo), accorciando sempre di più il tempo dedicato alla stampa, fino quasi ad azzerarlo quest’anno.

A portare a questo cambiamento è stata una contrazione economica nel mondo del cinema. Da un paio d’anni i grandi studios stanno licenziando una gran parte dei loro impiegati e stanno tagliando i costi, poiché gli investimenti sulle piattaforme si sono rivelati meno vantaggiosi del previsto. Da questo viene il desiderio di evitare di trattenere le star qualche giorno in più in località costose come il Lido di Venezia o la città di Cannes (i cui prezzi durante il festival sono notevolmente più alti del solito). Le case di produzione preferiscono evitare di pagare stanze d’hotel, traduttori, operatori e altro personale per le riprese, spostando l’attività a un altro momento e luogo più convenienti.

In certi casi, se un film ha un regista e degli attori poco noti (e quindi meno costosi da ospitare), questi partecipano all’attività stampa, mentre le star più importanti ed esigenti lo faranno più avanti, altrove. Inoltre a partire dal periodo di lockdown tutte le distribuzioni hanno sviluppato un sistema per fare le interviste via Zoom o altre piattaforme di videoconferenza, un’opzione che permette un ulteriore risparmio.

A partire da un gruppo Facebook chiamato International Film Festival Journalists, fondato dall’italiano Marco Consoli, sul quale si scambiano informazioni oltre 700 giornalisti di tutto il mondo assidui frequentatori di festival, quella parte della stampa che lavora molto con le interviste (a differenza di quelli più attivi sulla critica o sul racconto del colore) si è coordinata per avviare una protesta.

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La prima azione è stata l’invio di un comunicato firmato da un centinaio di giornalisti alle grandi testate internazionali del settore (come Variety, Hollywood Reporter, Deadline e Screen International), che lo hanno pubblicato, spiegando come questo fenomeno metta a rischio il loro lavoro e, in un certo senso, danneggi i festival.

Questi giornalisti sostengono che, se la situazione dovesse continuare (e non ci sono segnali di cambiamento spontaneo), una buona parte della stampa non potrebbe più frequentare i festival. I giornalisti dipendenti avrebbero meno motivi per essere inviati, mentre i freelance non guadagnerebbero abbastanza per coprire le spese di trasferta.

La questione è stata sollevata anche con Alberto Barbera, direttore del festival di Venezia, durante la conferenza stampa di apertura e poi in alcune interviste. Barbera ha spiegato di non poter fare molto, perché si tratta di decisioni che riguardano la promozione dei singoli film, prese dalle distribuzioni internazionali a seconda della propria convenienza. Tuttavia ha detto che proverà a discutere della questione con loro.

Il gruppo di giornalisti propone che la partecipazione al festival da parte dei film sia subordinata all’obbligo di svolgere attività stampa durante il festival stesso. Marco Consoli spiega che la questione è emersa a Venezia perché molti, per la prima volta, si sono trovati senza interviste importanti da poter fare, ma anche a Cannes o alla Berlinale la situazione è simile. Secondo Consoli la protesta continuerà in tutti i festival di cinema, a partire dal successivo, quello di San Sebastian, leggermente meno importante ma comunque di rilievo.

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I film con grandi attori presentati a Venezia quest’anno includono Beetlejuice Beetlejuice, Maria, Joker: Folie à Deux, Wolfs, The Order e la serie tv Disclaimer. Complessivamente, questi progetti coinvolgono attori e registi molto noti, come Tim Burton, Jenna Ortega, Joaquin Phoenix, Lady Gaga, Angelina Jolie, Cate Blanchett, Alfonso Cuaron, Brad Pitt, George Clooney e Jude Law. Alcuni di loro hanno partecipato a un junket (come viene chiamato l’evento per la stampa in cui si svolgono diversi tipi di interviste consecutivamente) prima del festival, altrove. Altri lo faranno dopo, quando il film uscirà, mentre altri ancora lo faranno al festival di Londra, considerato più conveniente per strutture e accoglienza. I giornalisti in questione potranno intervistarli in un altro momento se saranno a quei festival oppure, se sarà concesso, via Zoom.

Tuttavia secondo Consoli se non si tornerà alle interviste nei festival una parte dei giornalisti che lavorano per alcune delle testate più importanti, freelance e non, smetterà di partecipare ai festival o vi andrà solo se spesata dal festival stesso (cosa sempre più rara) e per la sola giornata in cui è prevista l’unica intervista concessa, senza frequentare l’intera manifestazione.

Questa minore presenza della stampa che fa interviste secondo lui danneggerebbe il festival in sé, che sul suo essere un evento capace di attirare l’attenzione e quindi di avere una funzione promozionale basa una parte della propria attrattiva per le produzioni. Il danno, dice Consoli, sarebbe specialmente per i piccoli film, per i quali nessuno si muoverebbe appositamente e che fino a oggi hanno beneficiato della presenza della stampa, attratta dai nomi più grandi, per ottenere anche loro degli spazi.