Giorgia Meloni stima molto Gennaro Sangiuliano
È tra i motivi per cui la presidente del Consiglio finora non lo ha costretto a dimettersi, nonostante gli imbarazzi causati dal caso Boccia: ma ci sono anche ragioni politiche
Nei giorni difficili delle trattative per la formazione del nuovo governo, dopo la vittoria elettorale alle politiche del 25 settembre, la futura presidente del Consiglio Giorgia Meloni escluse in maniera categorica di poter concedere il ministero della Cultura a Forza Italia, come Silvio Berlusconi le chiedeva. Per quel ruolo, infatti, Meloni disse di avere «un nome enorme, incontestabile»: quello di Gennaro Sangiuliano. Per capire come mai Meloni abbia finora rifiutato le sue dimissioni – nonostante il grosso imbarazzo che Sangiuliano sta provocando all’intero governo per via del caso legato a Maria Rosaria Boccia – bisogna partire da qui: dalla grande stima che lei ha da tempo nei confronti del suo ministro della Cultura.
Ovviamente ci sono anche ragioni più strettamente politiche. Nelle prossime settimane Meloni dovrà redistribuire le importanti deleghe sul Sud, le politiche di coesione e il PNRR che finora aveva gestito Raffaele Fitto, il ministro per gli Affari europei che è stato indicato dal governo come commissario europeo, e che dovrà dunque lasciare il suo attuale ruolo (Meloni l’ha definita «una scelta dolorosa»). Inoltre, è probabile che le indagini che riguardano la ministra del Turismo Daniela Santanchè abbiano significativi sviluppi nel giro di un mese o due, e dunque si potrebbe rendere necessario sostituire anche lei. Una terza sostituzione, quella appunto di Sangiuliano, potrebbe rendere inevitabile un rimpasto, cioè una ridefinizione generale degli incarichi e degli assetti di governo, fino a formare un “Meloni bis”, come si dice.
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È uno scenario che Meloni da tempo dice di voler evitare a ogni costo, fondamentalmente per due ragioni. La prima è che ci tiene a mantenere la promessa più volte ripetuta, e cioè di concludere la legislatura con un unico governo che resti in carica per cinque anni, che sarebbe un fatto senza precedenti nella storia repubblicana. La seconda, più importante, è che un rimpasto costringerebbe Meloni a impelagarsi in nuove trattative con gli alleati, i quali – soprattutto Matteo Salvini – avanzerebbero richieste e pretese, e tutto ciò potrebbe compromettere la stabilità della coalizione aprendo una crisi. Peraltro tra i parlamentari di Fratelli d’Italia, quando si parla dell’argomento, circola sempre diffidenza nei confronti del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: secondo loro potrebbe fare in modo di complicare e allungare le trattative per formare un nuovo governo.
Ma oltre a queste motivazioni più politiche, c’è appunto una questione di stima personale. Da sempre Meloni considera Sangiuliano «uno dei nostri», a prescindere dai vari riposizionamenti che negli anni in cui era un importante giornalista della Rai Sangiuliano ha fatto per accreditarsi coi partiti in maggiore ascesa, diversi a seconda della stagione politica. Di lui Meloni ha spesso detto privatamente di ammirare lo spessore intellettuale, di aver letto con grande trasporto alcuni dei molti saggi di cui è autore. In particolare, Meloni apprezza la sua caparbietà nel volere affermare le ragioni del pensiero della destra conservatrice senza timore reverenziale verso quello che in Fratelli d’Italia considerano il «pensiero unico»: una presunta e dominante matrice culturale di sinistra che indirizzerebbe la maggior parte del dibattito sui media, nelle istituzioni e nelle università.
Napoletano di Soccavo, nato nel 1962, Sangiuliano è stato in effetti fin da ragazzo attivo nella destra napoletana, e durante i suoi anni all’Università Federico II, dove poi ha preso la laurea in Giurisprudenza con una tesi sul conservatorismo giuridico, ha militato nel FUAN (il Fronte Universitario d’Azione Nazionale, la principale organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, il partito neofascista guidato da Giorgio Almirante). La sua fascinazione per il mondo della destra, a quanto si racconta, ebbe inizio in famiglia: rimasto orfano del padre piuttosto giovane, Sangiuliano fu molto legato a sua madre, di origini molisane, che tra le altre cose faceva la governante nella casa di Francesco Pontone, ex senatore dell’MSI e leader della destra napoletana, a cui il ministro della Cultura ha spesso riconosciuto omaggi e gratitudine.
Nel corso degli anni, però, ha cercato sponde anche in altri partiti più moderati, nel Partito Liberale Italiano prima e in Forza Italia poi. Fu direttore del quotidiano Roma di Napoli dal 1999 al 2001 e più tardi cronista e vicedirettore di Libero, nel 2003 venne assunto in Rai, dove si occupò inizialmente dei telegiornali regionali, prima di passare al Tg1, di cui è stato a lungo vicedirettore. Infine, nel 2018, divenne direttore del Tg2.
A trattare per una sua promozione, in realtà, fu Matteo Salvini, all’epoca vicepresidente del Consiglio nel governo “gialloverde”, sostenuto da Lega e M5S di Giuseppe Conte. Inizialmente Salvini lo propose come direttore del Tg1, rivendicando per sé e per il proprio partito quell’incarico. Sangiuliano in passato aveva espresso profonde critiche verso i progetti dell’autonomia e del federalismo cari alla Lega (ci aveva scritto anche un libro, nel 2012: L’inutile federalismo), ma poi aveva ottenuto credito nel partito di Salvini grazie alle sue posizioni sovraniste, e in particolare grazie a una monografia piuttosto elogiativa su Donald Trump del 2017, che Salvini ci tenne a presentare insieme all’autore (come era già accaduto nel 2015 con la biografia di Putin e come sarebbe poi accaduto nel 2019 con quella su Xi Jinping, scritte sempre da Sangiuliano). Alla fine, però, il Movimento 5 Stelle ottenne di assegnare la direzione del Tg1 a Giuseppe Carboni, gradito a Conte e a Luigi Di Maio, e così a Sangiuliano fu affidato il Tg2.
“Il servizio del #Tg2 sullo scontro Italia Francia con ironie, insulti, semplificazioni, unilateralità è degno di Tele Maduro: sembra scritto direttamente da Dibba. Emilio Fede era la BBC”. @StefanoCeccanti pic.twitter.com/ZT9DcIpwBO
— Partito Democratico 🇮🇹 🇪🇺 (@pdnetwork) February 8, 2019
Il suo telegiornale fu presto oggetto di polemiche per la sua tendenza a dare molto spazio alle ragioni del sovranismo e della destra antieuropeista, spesso con servizi notevoli contro gli avversari del governo di Conte e contro i giornalisti, anche della Rai, critici nei suoi confronti (tra i vari, restano abbastanza memorabili quello contro Emmanuel Macron e quello contro Fabio Fazio). A partire dal 2021, però, Sangiuliano iniziò ad avvicinarsi a Meloni, esprimendo peraltro apprezzamento per la sua scelta di stare all’opposizione del governo di Mario Draghi da sola. Nell’aprile del 2022 intervenne come oratore alla convention di Fratelli d’Italia a Milano: è piuttosto irrituale che il direttore di un telegiornale pubblico prenda parte a un evento di quel genere, e qualche giorno dopo Sangiuliano fu sanzionato dalla Rai con una lettera di richiamo per avere disatteso gli accordi presi, secondo cui avrebbe dovuto partecipare in qualità di «moderatore a un dibattito», e non di relatore dal palco.
Pochi mesi dopo, quando Meloni formò il suo governo, chiamò Sangiuliano a farne parte come ministro della Cultura, senza che lui si fosse dimesso dalla direzione del Tg2.
In questo sforzo di ribaltare «l’egemonia culturale», come lui stesso la definisce, in effetti Sangiuliano si è impegnato a fondo, anche con affermazioni temerarie o del tutto infondate. Intervenendo alla convention di Milano, disse di essere un convinto conservatore e spiegò che «il conservatorismo nasce in Svizzera, quando nella Perly Monty Society si ritrovarono persone come von Hayek (…) e von Mises», confondendo però la «Perly Monty Society», che non esiste, con la «Mont Pelerin Society», un’organizzazione effettivamente fondata a Ginevra nel 1947 da intellettuali di varia cultura che però si riconoscevano nelle comuni idee liberali, non esattamente conservatrici. Sempre sullo stesso tema, nel gennaio del 2023, da ministro della Cultura Sangiuliano disse che a suo avviso il fondatore del pensiero di destra in Italia fu Dante Alighieri.
Ma la fiducia di Meloni nei confronti di Sangiuliano non è mai venuta meno: né dopo le burrascose litigate coi suoi collaboratori e col suo sottosegretario al ministero della Cultura, Vittorio Sgarbi, né dopo le sue molte gaffe (durante la cerimonia di premiazione del Premio Strega nel luglio del 2023, o quando confuse Londra con New York nell’aprile del 2024, durante un festival letterario a Taormina nel luglio 2024, e in vari altri casi).
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