Perché molti locali espongono orsi di pezza giganti

È una moda partita da Parigi e che si è affermata soprattutto durante la pandemia, più o meno spontaneamente in tutto il mondo

Philippe Labourel, "il papà degli orsacchiotti", trasporta un grosso orso sulle spalle per le vie di Parigi (AP Photo/Francois Mori)
Philippe Labourel, "il papà degli orsacchiotti", trasporta un grosso orso sulle spalle per le vie di Parigi (AP Photo/Francois Mori)

Da qualche anno camminando per il centro di Parigi d’estate è facile imbattersi in una serie di grossi orsi di peluche, spesso alti un metro e mezzo, a volte di più. Stanno seduti sulle sedie posate sul marciapiedi a bere finti bicchieri di vino; accolgono i clienti all’entrata dei ristoranti; la sera dopo la chiusura dei locali vengono piazzati vicino alle vetrate, come a osservare la gente che passa. Nel quartiere dei Gobelins – nel tredicesimo arrondissement, poco lontano dal Jardin des Plantes nel sud-est del centro città – c’è anche un edificio, il Grand Hôtel des Gobelins, sui cui balconi ogni tanto ne vengono appesi molti, fino a una trentina.

Gli orsi di pezza però non si vedono solo a Parigi: da alcuni anni sono comparsi in molte città europee e non solo, perlopiù fuori da locali e negozi dei centri città, specialmente quelli più turistici: per imitazione, esercenti in tutto il mondo hanno deciso che sono un modo per attirare più clienti, e per questo hanno cominciato a esporli fuori dalle proprie attività. È una moda originata dalla pandemia, ma alimentata specialmente dalla necessità dei negozi di diventare in qualche modo “instagrammabili”: e un orso peluche è uno dei modi più semplici per riuscirci, almeno in una certa misura.

A Parigi la moda degli orsi giganti è cominciata nel 2018, quando Philippe Labourel, il proprietario di una libreria nel quartiere dei Gobelins, collezionista di orsacchiotti, cominciò a prestarli gratuitamente a qualsiasi locale e negozio ne volesse uno nella sua zona, in modo da rallegrare un po’ il quartiere.  Labourel, che si fa chiamare «il papà degli orsetti dei Gobelins», ha spiegato di aver cominciato a prestare i primi orsi perché «voleva risvegliare un po’ il quartiere e far sorridere le persone». «Se metti un orso nel tuo negozio, la gente rimane stupita. Lo metti in una posa un po’ teatrale, loro si fermano a parlare, vi conoscete», ha raccontato. «Io ho cominciato a disporli un po’ così, a caso, senza spiegazioni, per mantenere un po’ il mistero. E lì ho visto la curiosità e la creatività delle persone».

Oggi Labourel gestisce una pagina Instagram dove pubblica tutte le fotografie dei posti strani in cui appaiono le centinaia di orsi che ha prestato a locali, negozi ma anche a singole persone, in Francia ma anche in Canada e in Giappone. Negli ultimi anni uno dei suoi orsi giganti è stato esposto agli Archivi nazionali francesi. Un altro è stato caricato su uno dei carri del Gay Pride della capitale, che si tiene ogni anno tra i mesi di giugno e luglio. Nel gennaio del 2019 il sindaco del tredicesimo arrondissement Jérôme Coumet ha addirittura acconsentito a “sposarne” due: all’evento hanno partecipato più di duemila persone, e tra i primi banchi sono stati fatti sedere altri grandi orsi. Durante le recenti Olimpiadi, poi, sono stati esposti in modo piuttosto creativo.

Molti locali, non solo a Parigi, si sono però riforniti di grossi orsi soltanto dal 2020, in concomitanza con le restrizioni ordinate dai governi per limitare la diffusione del coronavirus. Labourel ha prestato decine di peluche giganti a ristoranti e bar di Parigi – tra cui il famoso Aux Deux Magots, sulla piazzetta di Saint-Germain-des-Prés – per far sì che i gestori potessero piazzarli ai tavoli, occupando posti che altrimenti sarebbero rimasti vuoti per rispettare le indicazioni sul distanziamento sociale tra i clienti dei locali. La stessa cosa è successa a Nizza, Città del Messico, Londra, New York, Seul, Dubai, persino a Bari.

Per esempio la catena di café Lilo Brunch, che ha tre locali tra Barcellona e Madrid, racconta che nel loro primo locale avevano già alcuni orsi, lasciati lì dopo un “baby shower” (una festa per celebrare l’imminente nascita di un bambino insieme alla futura mamma) particolarmente lussuosa. «Nel periodo della pandemia, quando le persone dovevano per forza sedersi una distante dall’altra, abbiamo usato gli orsi per far sì che nessuno si sentisse solo», spiegano i gestori sul sito.

Lo stesso è successo a Städlin, un bar di Trastevere, a Roma, oggi noto per le decine di panda da un metro e venti che ne occupano frequentemente i tavolini. I pupazzetti erano stati forniti da loro prima della pandemia in piccola quantità dalla marca di bevande Schweppes, che all’epoca sponsorizzava il locale. «Poi c’è stato il problema del Covid-19 e abbiamo cominciato a richiederne una quantità incredibile, da inserire per aiutare con il distanziamento sociale», spiega la gestrice. Da allora, anche dopo la fine delle restrizioni, i gestori del locale puntano sui panda per le proprie campagne di marketing.

A molti locali in giro per il mondo, oggi, gli orsi giganti servono per distinguersi dagli altri bar e ristoranti della zona e farsi ricordare. Alcuni hanno pensato l’intero arredo in modo da farlo girare attorno al tema degli orsetti, per attirare famiglie, turisti e persone amanti delle atmosfere un po’ bambinesche, infantili, carine. C’è un “teddy bear cafe” ad Alanya, in Turchia, e uno a Toronto, in Canada. Ma ce ne sono anche a Petaling Jaya, in Malesia, a Shanghai in Cina, a Singapore, a Perth in Australia. A Seul, in Corea del Sud, ce ne sono ben tre di diversi.

Girolamo D’Alonzo, fondatore della catena di pasticcerie Jerome Café, con varie sedi a Bari, dice di aver comprato il primo grande orso per il suo locale nel 2018, dopo che una bambina ne portò uno – piccolo – nel locale attirando la curiosità di altri clienti. Durante la pandemia da coronavirus, sempre con l’idea di rendere meno pesante l’idea del distanziamento sociale, ne comprò molti altri da piazzare sulle sedie. Funzionò molto bene: da allora, dice D’Alonzo, questi quaranta orsi alti un metro e ottanta «sono protagonisti della nostra attività, anche se prima sarebbe sembrato incredibile. Abbiamo investito in un format un po’ azzardato, anche con questa pasticceria tutta rosa, e ha funzionato». Loro li lavano e sterilizzano una volta alla settimana in una lavanderia specializzata, anche perché incoraggiano bambini e adulti ad abbracciarli e baciarli.

A volte, però, gli orsi sono piazzati nei locali semplicemente perché i gestori se ne sono trovati uno sotto mano una volta. Allo Special Hamburger, nella zona di Porta Venezia a Milano, a lungo ce n’è stato uno alto un metro e venti, seduto fuori ai tavolini. «Me lo regalarono anni fa, e siccome il locale era pieno decisi di metterlo fuori. Vidi subito che la gente rispondeva in maniera positiva, e quindi decisi di lasciarlo lì», racconta il gestore, Alessandro Cafro.

«Dava un sorriso a chiunque, i bambini lo abbracciavano, la gente voleva sedersi al tavolo con lui. Hanno provato a rubarlo più volte, e finora erano sempre stati fermati dai vicini che riconoscevano l’orso e obbligavano i ladri a riportarlo». A metà agosto, racconta Cafro, una cinquecento celeste si è fermata davanti all’hamburgeria, è sceso un ragazzo che si è preso l’orso in spalla, l’ha caricato in macchina ed è ripartito di corsa.

A quanto pare, quella dei furti è una cosa che succede spesso: è successo anche con vari panda di Städlin, nonostante la stazza notevole, e alla pizzeria Mamma Rosa di San Benedetto del Tronto, che ha al suo interno una quindicina di grossi orsi di peluche. «Mi sarei aspettato la richiesta di riscatto il giorno dopo, ma non è arrivato niente. Probabilmente lo ricomprerò», dice Cafro.

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