Quando un secolo fa si pensò di aver captato i marziani

Nell'agosto del 1924 la Terra e Marte furono vicinissimi, e un dirigibile fatto volare per l'occasione ricevette un segnale che molti interpretarono come un volto

di Emanuele Menietti

(Elaborazione grafica di Marte da una foto della NASA)
(Elaborazione grafica di Marte da una foto della NASA)
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Negli ultimi giorni di agosto di un secolo fa, nel cielo sopra Washington, DC molte persone osservarono un dirigibile. Era stato collocato a circa 3mila metri di altitudine sopra allo United States Naval Observatory, una delle più importanti istituzioni scientifiche del paese, per provare a captare un messaggio radio proveniente da Marte in modo da confermare le ipotesi sull’esistenza di una popolazione aliena nel nostro sistema solare.

L’esperimento in un certo senso funzionò: qualcosa fu effettivamente captato, ma nessuno fu in grado di comprenderne la fonte e ancora oggi quella trasmissione rimane per molti un mistero. Ciò che avvenne in quell’estate del 1924 contribuì comunque a rinfocolare una certa curiosità nei confronti di Marte e dei suoi presunti occupanti, condizionando parte del dibattito sulla domanda che ci facciamo praticamente da sempre: siamo soli nell’Universo?

L’idea di realizzare una grande antenna da collegare a un dirigibile per captare messaggi provenienti dallo Spazio era venuta a Charles Francis Jenkins, un inventore ricordato soprattutto per i suoi prototipi per lo sviluppo della televisione, e ad alcuni suoi colleghi. La fine di agosto del 1924 sembrava il momento ideale per farlo: nel loro errare periodico nel cosmo seguendo le proprie rispettive orbite, Marte e la Terra non erano mai stati così vicini dall’estate del 1845 e non lo sarebbero più stati per almeno ottant’anni. Se c’era qualcosa su Marte da scoprire, quello era il momento buono e Jenkins non era stato certo l’unico ad avere quell’intuizione.

Complici le dichiarazioni di alcuni scienziati e di semplici appassionati, che avevano trovato ampio spazio sui giornali soprattutto negli Stati Uniti, si era generata una certa frenesia per quello che era stato definito uno degli eventi astronomici più rilevanti dell’epoca. La Terra e Marte si sarebbero trovati a circa 54,7 milioni di chilometri di distanza rispetto alla media di 225 milioni di chilometri. Molti osservatori organizzarono eventi notturni e iniziative per osservare Marte con i loro telescopi, mentre altri si dedicarono a una delle tecnologie del momento: la radio.

Marte e la Terra alla fine di agosto 1924 (Solar System Scope)

La Marina militare statunitense aveva proposto e ottenuto che tra il 21 e il 24 agosto di quell’anno fosse mantenuto un silenzio radio per cinque minuti ogni ora, in modo da poter intercettare più facilmente eventuali messaggi marziani. L’idea era intrigante, considerato che all’epoca si sapevano pochissime cose su Marte e che mancavano più di trent’anni all’inizio delle esplorazioni spaziali, ma come captare efficacemente un segnale fu oggetto di numerose discussioni e speculazioni.

L’astronomo statunitense David Peck Todd, diventato famoso soprattutto per le sue osservazioni di Venere, pensò che la persona giusta per provarci fosse Jenkins, che con le sue invenzioni aveva ottenuto progressi nelle tecnologie per le comunicazioni radio. Nel suo laboratorio, Jenkins disponeva di una radio SE-950, costruita nel 1918 e pensata come un dispositivo portatile che avrebbero potuto usare i soldati statunitensi per comunicare sui campi di battaglia. La radio non era mai stata testata per questi scopi ed era diventata uno degli strumenti utilizzati da Jenkins per i suoi esperimenti.

Radio SE-950 (Henry Ford Museum)

Sollecitato da Todd, Jenkins ipotizzò insieme ad altri che per captare segnali provenienti da un altro mondo fosse necessaria un’antenna più grande del solito e fu quindi elaborato il piano del dirigibile. L’idea è che fosse parte integrante dell’antenna stessa orientata verso Marte e che inviasse poi un segnale alla SE-950 nel laboratorio di Jenkins in modo da riceverlo, amplificarlo e trasferirlo su carta.

Jenkins insieme ad altri collaboratori aveva infatti costruito una “radio fotocamera” per convertire i segnali radio in impulsi luminosi, che lasciavano poi una traccia su un rullino di carta fotografica. Appena un anno dopo Jenkins avrebbe ottenuto uno dei primissimi brevetti per la trasmissione di immagini e suoni in contemporanea, diventando uno dei pionieri della televisione, ma in quell’estate del 1924 la sua “radio fotocamera” era ancora rudimentale e soprattutto non era detto che i marziani volessero trasmettere qualche immagine.

Qualcosa fece comunque imprimere sulla carta fotografica un’immagine. Tra le 13:00 del 22 agosto e le 17:00 del 23 agosto 1924, l’antenna-dirigibile captò un segnale che fu trasmesso alla radio SE-950 e poi tradotto in una serie di immagini dalla “radio fotocamera”. Era una sorta di spettrogramma (una rappresentazione grafica dell’intensità e della frequenza di un suono nel tempo), ma tale era il desiderio di avere un messaggio da Marte che fu interpretato da molti come la rappresentazione di un viso.

Non è chiaro se esista ancora l’originale di quel segnale tradotto in immagini, ma grazie a diverse copie e citazioni in studi e ricerche successive possiamo ancora oggi vedere come era fatto. Intravedere un viso tra la combinazione di punti e linee più scure richiede una certa dose di immaginazione, ma è importante ricordare che un secolo fa non c’erano le conoscenze scientifiche di oggi, che il mondo era meno connesso e che per diverso tempo si era creduto genuinamente all’esistenza dei marziani, anche a causa di un italiano.

Nella seconda metà dell’Ottocento l’astronomo Giovanni Schiaparelli aveva osservato Marte in un’altra occasione in cui si trovava particolarmente vicino alla Terra. Notò alcune linee sulla superficie del pianeta e ipotizzò che si trattasse di corsi d’acqua naturali, dei “canali” come li definì nei suoi studi. Per un errore di traduzione in inglese i canali divennero “canals”, parola solitamente usata per indicare i canali artificiali, e non “channels” che si usa invece per definire i canali derivanti da fenomeni naturali. Negli anni seguenti l’astronomo statunitense Percival Lowell fu tra i primi a proporre che Marte fosse popolato da una civiltà evoluta, sostenendo che se c’erano effettivamente dei canali artificiali qualcuno doveva pur averli costruiti.

La questione dei canali divenne centrale nel costruire il mito dei marziani e più in generale di mondi lontani dal nostro popolati da altre civiltà. Intorno agli anni Dieci del Novecento quella convinzione era stata ormai smentita grazie a nuove osservazioni, ma l’idea che Marte fosse popolato aveva fatto presa nell’immaginario collettivo e non stupisce quindi che nel 1924 così tante persone fossero alla ricerca di segnali radio marziani. Captarli sarebbe stato difficilissimo, ma valeva la pena provare.

Fu in quel contesto che nella striscia di carta fotosensibile di Jenkins molti videro un volto e che si costruì il mistero intorno al segnale che lo aveva generato. È vero che non sapremo mai per certo che cosa fosse quel segnale, ma è altrettanto vero che disponiamo di spiegazioni convincenti, come ha ricordato al New York Times Kristen Gallerneaux, una delle curatrici dell’Henry Ford Museum dove è conservata la radio SE-950: «Si era alla ricerca di un segnale indirizzato verso di noi dentro una cosa che non era mai stata progettata per essere una rappresentazione visiva riconoscibile. È rumore di fondo. Eppure le persone ci vedono ancora delle cose dentro e pensano che si tratti di un tipo di comunicazione intelligente».

L’antenna sul dirigibile aveva probabilmente captato del rumore di fondo, cioè interferenze dovute ad altre trasmissioni o alle condizioni ambientali, inoltre gli strumenti stessi per captare e amplificare i segnali radio possono produrlo alterando ulteriormente la ricezione. È un problema con cui si confrontano ancora oggi i gruppi di ricerca che usano i radiotelescopi e più banalmente chi ascolta musica alla radio. Un secolo fa gli strumenti di ricezione e ascolto erano meno raffinati e avanzati, di conseguenza è probabile che fossero ancora più soggetti ad alcuni tipi di interferenze.

Una mappa di Marte derivata dagli studi di Schiaparelli (Wikimedia)

L’esperimento di Jenkins e Todd non fu comunque l’unico e in varie altre parti del mondo furono usate strumentazioni radio per provare a captare qualcosa. Nella British Columbia, nel Canada occidentale, si pensò che alcuni segnali radio potessero indicare la volontà da parte di alcuni marziani di provare a comunicare con la Terra. In Inghilterra furono invece captati rumori ritenuti estranei alle normali comunicazioni radio prodotte sulla Terra.

Le presunte rivelazioni alimentarono ulteriormente il confronto già molto acceso sull’esistenza o meno dei marziani, tirando in mezzo anche Jenkins rimasto sorpreso dalle interpretazioni creative di quanto aveva registrato. Preoccupato dalla possibilità che le ipotesi più fantasiose potessero danneggiare la sua reputazione scientifica, qualche giorno dopo le osservazioni pubblicò un articolo nel quale chiariva di non ritenere che «i risultati abbiano a che fare con Marte». Già all’epoca Jenkins scrisse che la spiegazione più probabile per il segnale erano semplici interferenze dovute ad alcune attività terrestri e non marziane.

Charles Francis Jenkins nel 1928 (Courtesy Everett Collection/ Contrasto)

Jenkins e gli altri scienziati e appassionati del 1924 non avevano ancora i mezzi adeguati, ma avevano intuito che un modo per cercare eventuali civiltà aliene fosse mettersi in ascolto. Una decina di anni dopo i loro tentativi nacque formalmente la radioastronomia, cioè lo studio dei corpi celesti attraverso le frequenze radio, con il primo rilevamento da un corpo celeste.

La radioastronomia si è rivelata fondamentale per studiare le stelle e le galassie, i modi in cui evolvono e compongono l’Universo, ma non solo. I radiotelescopi sono stati utilizzati e vengono ancora oggi impiegati per provare a cogliere particolari segnali radio, diversi da quelli che conosciamo e che potrebbero fornire indizi su civiltà lontane che come noi provano a capire se siano effettivamente sole.

Quanto a Marte, negli ultimi decenni abbiamo scoperto molte cose sulla sua storia, trovando indizi sulla possibilità che un tempo avesse ospitato qualche forma di vita. Manca ancora la prova definitiva, ma disponiamo di robot che ogni giorno esplorano la superficie marziana per fotografarla e analizzarla. I loro sono gli unici segnali radio che riceviamo da Marte.