Un miliardario vuole passeggiare nello Spazio

Jared Isaacman sta per partire con la missione Polaris Dawn, senza astronauti professionisti a bordo, verso il punto più distante dalla Terra mai raggiunto dagli esseri umani negli ultimi 50 anni

di Emanuele Menietti

(SpaceX)
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Jared Isaacman ha 41 anni, è statunitense, ha messo insieme una fortuna con Shift4 Payments, la sua società per gestire i pagamenti elettronici, e tra qualche giorno sarà il miliardario a essersi allontanato di più dalla Terra da quando esistono i miliardari. Nei prossimi giorni Isaacman partirà per un viaggio oltre l’orbita terrestre insieme a tre compagni di viaggio con la missione Polaris Dawn, che ha in buona parte finanziato lui stesso in collaborazione con SpaceX, la società spaziale di Elon Musk, un altro miliardario.

La capsula spaziale Crew Dragon si spingerà dove non si erano più avventurati gli esseri umani dopo le missioni Apollo, quelle per raggiungere la Luna, e se tutto procederà secondo i piani renderà possibile la prima “passeggiata spaziale” interamente gestita da privati. Al di là dei due primati, la missione servirà per sperimentare numerose attrezzature sviluppate negli ultimi anni da SpaceX, al lavoro per preparare nuove missioni lunari con equipaggio e per portare un giorno i primi astronauti su Marte, almeno nelle intenzioni molto ottimistiche di Musk. Il lancio era previsto per mercoledì mattina, ma è stato rinviato di un paio di giorni a causa delle condizioni meteo.

Per Isaacman non sarà comunque la prima volta nello Spazio. Nel settembre del 2021 aveva già raggiunto l’orbita con la missione Inspiration4, sempre gestita da SpaceX e in compagnia di altre tre persone, nessuna delle quali faceva l’astronauta di professione per conto dei governi e di istituzioni pubbliche, come è quasi sempre avvenuto dagli albori delle esplorazioni spaziali oltre 60 anni fa. Come era accaduto con Inspiration4, anche per Polaris Dawn né Isaacman né SpaceX hanno fatto sapere i costi dell’iniziativa, comunque nell’ordine di decine di milioni di dollari, senza contare i costi per lo sviluppo di alcune nuove tecnologie da parte di SpaceX.

La società spaziale ha infatti lavorato negli ultimi anni allo sviluppo di tute spaziali che possano essere utilizzate per le attività extraveicolari (EVA, quelle che informalmente vengono chiamate “passeggiate spaziali”). A oggi solamente alcuni astronauti della NASA, dell’Agenzia spaziale europea (ESA) e di quelle del Canada, della Russia e della Cina hanno effettuato un’EVA, per esempio per la costruzione e la manutenzione delle stazioni orbitali costruite nel tempo intorno alla Terra, superando grandi difficoltà tecniche e gestendo i molti rischi che derivano dal trovarsi nel vuoto pressoché totale dello Spazio. Le tute per farlo sono in sostanza delle piccole astronavi da indossare, ce ne sono poche e sono estremamente costose, ma SpaceX come altre aziende private vuole cambiare le cose.

Gli astronauti Robert L. Curbeam Jr. e Christer Fuglesang durante un’attività extraveicolare per l’assemblaggio di un modulo della Stazione Spaziale Internazionale nel 2006 (NASA.gov)

La società sta sviluppando e sperimentando una nuova generazione di tute più leggere e pratiche da usare rispetto a quelle tipicamente impiegate dalla NASA, quando gli astronauti fanno per esempio manutenzione all’esterno della Stazione Spaziale Internazionale (ISS). I gruppi di ricerca e sviluppo di SpaceX sono quindi partiti dalle tute che utilizzano gli astronauti a bordo della sua capsula spaziale Crew Dragon, quando viaggiano verso e dalla ISS, per renderle ancora più resistenti e adatte al loro impiego all’esterno della capsula stessa.

SpaceX aveva svelato ufficialmente di essere al lavoro sulle tute per le EVA all’inizio dello scorso maggio e da allora ha fornito qualche informazione in più, anche se mancano ancora numerosi dettagli che saranno probabilmente svelati almeno in parte durante Polaris Dawn. Le nuove tute sono progettate per essere impiegate sia all’interno di Crew Dragon, quando forniscono un’ulteriore protezione agli astronauti durante le turbolente fasi del lancio, sia all’esterno quando la capsula è ormai in orbita. Le tute vengono pressurizzate a seconda delle necessità, in pratica chi le indossa è come se si trovasse all’interno di un palloncino, e per le EVA si raggiungono i 35 kilopascal, equivalenti più o meno alla pressione atmosferica che si sperimenta in cima all’Everest, circa un terzo di quella sul mare.

(SpaceX)

Di solito le EVA richiedono tempi lunghi di preparazione proprio perché gli astronauti devono abituarsi a condizioni di pressione diverse da quelle tipicamente presenti all’interno dei veicoli spaziali (nella tuta la pressione è inferiore per evitare che questa sia troppo gonfia, al punto da ostacolare i movimenti). Sulla ISS chi deve compiere l’attività extraveicolare, per esempio, passa attraverso una camera d’equilibrio (airlock) in modo che ci sia un ambiente intermedio tra la Stazione e lo Spazio. L’astronauta si chiude alle spalle il portellone della ISS e apre un secondo portellone verso l’esterno, in modo che la Stazione continui a essere isolata dall’ambiente spaziale (altrimenti perderebbe ossigeno e pressurizzazione con esiti catastrofici per gli altri occupanti).

Su Crew Dragon non c’è un airlock, quindi tutti i quattro membri di Polaris Dawn dovranno indossare le tute per rimanere isolati dall’esterno. Solo due partecipanti si affacceranno a turno all’esterno della capsula per 15-20 minuti, in modo da effettuare ulteriori test sulla tenuta e le funzionalità delle nuove tute. Nonostante alcune illustrazioni grafiche suggerissero il contrario, non è previsto che i partecipanti all’EVA si allontanino dalla capsula rimanendo collegati con un cavo e un tubo per l’ossigeno. Al termine del test e dopo la chiusura del portellone impiegato per l’EVA, la pressione all’interno di Crew Dragon sarà ripristinata insieme alla giusta concentrazione di ossigeno per permettere ai suoi occupanti di togliere le tute e proseguire la missione.

Una rappresentazione grafica dell’EVA di Polaris Dawn

L’EVA sarà la parte più importante dell’intera missione e ha richiesto anni di preparazione sia per la costruzione delle tute sia per l’addestramento di Isaacman e dei suoi tre compagni di viaggio. Anche se temporaneamente, Crew Dragon perderà buona parte dei propri supporti vitali in una procedura mai sperimentata prima con esseri umani a bordo di quella capsula in orbita. Bill Gerstenmaier, ex responsabile dei voli con esseri umani per la NASA e ora vicepresidente di SpaceX, ha ammesso che: «Una EVA è un’avventura rischiosa, ma – di nuovo – abbiamo fatto tutta la preparazione necessaria. La effettueremo nel modo più sicuro possibile, abbiamo elaborato i giusti protocolli e abbiamo fatto tutti i test per essere pronti».

Oltre a Isaacman a bordo di Crew Dragon ci saranno due impiegati di SpaceX, a conferma della particolare collaborazione tra il miliardario e l’azienda: Sarah Gillis, preparatrice degli astronauti per le missioni solitamente realizzate per conto della NASA, e Anna Menon, a capo delle operazioni spaziali. Il quarto membro dell’equipaggio sarà Scott Poteet, ex pilota dell’aeronautica statunitense e amico di lunga data di Isaacman.

L’equipaggio di Polaris Dawn – Jared Isaacman, Sarah Gillis, Anna Menon e Scott Poteet – e sullo sfondo Crew Dragon collegata al Falcon 9 (SpaceX)

Dopo il lancio da Cape Canaveral (Florida, Stati Uniti) spinta da un razzo Falcon 9, la capsula spaziale sarà collocata in un’orbita il cui punto di maggior distanza (apogeo) dalla Terra sarà di 1.200 chilometri. In seguito, la distanza massima sarà aumentata fino a 1.400 chilometri, rendendo Polaris Dawn la prima missione con un equipaggio ad allontanarsi così tanto dalla Terra dai tempi di Apollo 17, l’ultima missione del programma lunare statunitense che raggiunse la Luna nel 1972, a quasi 400mila chilometri dalla Terra.

Nel farlo, attraverserà la cosiddetta “anomalia del Sud Atlantico”, una zona in cui il campo magnetico terrestre ha un’intensità inferiore rispetto alla media e che per questo rende possibile un maggiore avvicinamento delle particelle cariche altamente energetiche provenienti dal vento solare (fasce di Van Allen). In poche ore l’equipaggio sarà esposto a una dose di radiazioni equivalente a quella che in media ricevono gli astronauti dopo tre mesi di permanenza sulla Stazione spaziale internazionale. Sono dosi comunque minime: anche gli astronauti delle missioni Apollo dovettero fare i conti con le fasce di Van Allen, senza conseguenze per la loro salute.

Dopo una decina di ore, l’orbita sarà ridotta in modo da raggiungere una distanza massima dalla Terra di 700 chilometri ai quali sarà effettuata l’attività extraveicolare. Sarà il test più importante, ma nei cinque giorni della missione sarà eseguita una quarantina di esperimenti, molti dei quali orientati a valutare gli effetti della permanenza nello Spazio sull’organismo – come si fa da anni sulla ISS – e a sperimentare nuove tecnologie che potrebbero essere impiegate in futuro nelle missioni di lunga durata verso la Luna e forse un giorno Marte.

Alcuni esperimenti saranno più creativi di altri, come un test per verificare se si possano effettuare radiografie sfruttando direttamente le radiazioni presenti nell’ambiente spaziale. Poteet si era inoltre sottoposto a un piccolo intervento chirurgico al cranio per farsi installare un dispositivo per misurare la pressione del fluido in cui è immerso il cervello. Le differenti condizioni di gravità fanno sì che i fluidi nel corpo tendano a fluire verso l’alto più di quanto facciano sulla Terra e questo può avere conseguenze di vario tipo. È il motivo per cui gli astronauti nei primi giorni in orbita appaiono spesso paonazzi, proprio per il maggiore afflusso di sangue verso la testa, e si sospetta possa essere una delle cause del lieve schiacciamento dei bulbi oculari che talvolta porta ad alcuni problemi di vista.

Il dispositivo avrebbe dovuto permettere di rilevare le variazioni nel corso dell’intera missione, ma dopo l’intervento si è visto che non funzionava come previsto ed è stato rimosso dalla testa di Poteet. Difficilmente sarebbe accaduto qualcosa di analogo con un esperimento della NASA o dell’ESA, ma SpaceX lavora diversamente e si può prendere qualche rischio in più, come sta ampiamente dimostrando con lo sviluppo della sua enorme astronave Starship.

Polaris Dawn finirà dopo cinque giorni con un tuffo di Crew Dragon al largo della costa della Florida, dove una squadra di recupero si occuperà di riportare sulla terraferma la capsula e i suoi quattro occupanti. Isaacman e SpaceX hanno in programma almeno altre due missioni, ma non hanno ancora fornito informazioni sulle modalità e i tempi che in parte dipenderanno dai risultati ottenuti con questa missione.