C’è un problema di parità di genere tra i candidati commissari europei
Finora gli stati membri hanno ignorato la richiesta di Ursula von der Leyen di indicare un uomo e una donna per ciascuna posizione
Il 30 agosto scadrà per gli stati membri dell’Unione Europea il termine per comunicare alla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen il nome del commissario o della commissaria che intendono sottoporre per la prossima legislatura. Ogni paese membro ha diritto a esprimere un commissario, cioè un membro della Commissione europea. Al momento sono 21 gli stati che l’hanno fatto, ma solo 5 di loro hanno proposto una donna, ignorando la richiesta di von der Leyen di presentare due nomi: quello di uomo e quello di una donna, in modo che la prossima Commissione europea abbia un numero pari di commissari e commissarie.
La Commissione europea è l’organo esecutivo dell’Unione, una specie di governo con competenze più ridotte con 27 commissari (inclusa la presidente), paragonabili a dei ministri, che hanno deleghe specifiche e conseguenti portafogli e prerogative. Ogni stato membro, tranne quello da cui proviene il o la presidente della Commissione, sottopone il nome del proprio commissario: a quel punto la presidente della Commissione tratta con i governi nazionali per stabilire se quel nome gli o le va bene, e quale competenza assegnarle o assegnargli. In autunno i candidati e le candidate vengono ascoltati dal Parlamento Europeo in una serie di audizioni, al termine delle quali il Parlamento vota in blocco la nomina della nuova Commissione. Se tutto fila liscio l’intero processo dovrebbe concludersi a novembre.
Per velocizzare queste procedure già a luglio von der Leyen, che rappresenta la Germania, aveva scritto ai capi di governo di tutti gli altri stati europei chiedendo di sottoporle per la nomina a commissario due nomi ciascuno, un uomo e una donna. Finora però nessun paese ha seguito questa indicazione. Tutti peraltro hanno presentato un solo nome, come peraltro prevedono i trattati europei (la proposta di von der Leyen aveva un carattere informale). Questo sta mettendo von der Leyen in grande difficoltà: 16 di loro hanno proposto un uomo e solo 5 hanno proposto una donna: Croazia, Estonia, Finlandia, Spagna e Svezia. Mancano ancora 5 stati, fra cui l’Italia, ma si prevede che anche loro candideranno uomini.
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Se così fosse la Commissione sarebbe composta per quattro quinti da uomini, contrariamente alle volontà di von der Leyen, che ha sempre dato una certa importanza alla parità di rappresentazione nel suo mandato da presidente. Nel 2019 nel suo discorso di insediamento aveva fatto notare che «dal 1958, ci sono stati 183 commissari; solo 35 erano donne, meno del 20 per cento»: «rappresentiamo metà della nostra popolazione. Vogliamo la nostra parte». Dopo aver convinto diversi governi, fra cui Svezia e Portogallo a presentare una candidata donna, era infine riuscita a comporre una Commissione di 14 uomini e 13 donne, lei inclusa.
Quest’anno però non è andata nello stesso modo. Molti hanno spiegato che i governi si sono sentiti liberi di ignorare la richiesta di von der Leyen per diverse ragioni.
Alcuni paesi hanno scelto di ricandidare il loro commissario uscente, allineandosi peraltro a una certa continuità politica con la Commissione uscente auspicata dalla von der Leyen. La Francia per esempio ha riproposto Thierry Breton, influente commissario europeo al Mercato interno e ai servizi, con l’auspicio che gli venga assegnato l’incarico molto importante di commissario per la Difesa e una vicepresidenza esecutiva, una delle cariche più importanti della Commissione dopo quella di presidente.
Altri paesi hanno detto di aver semplicemente proposto la persona che reputavano migliore e più qualificata per un ruolo così importante. Il primo ministro irlandese, il taoiseach Simon Harris, ha detto che pur prendendo «estremamente sul serio» la parità di genere ha scelto di candidare per questo motivo solo il suo ministro delle Finanze Michael McGrath, che a giugno ha lasciato il suo incarico proprio per ricoprire il ruolo di commissario. In altri paesi questa scelta è stata piuttosto condizionata dal fatto che le donne che ricoprono incarichi di alto livello in politica sono ancora pochissime.
Anche l’Italia, che comunque non ha ancora presentato ufficialmente il suo candidato, sembra aver fatto lo stesso ragionamento. Il governo Meloni dovrebbe proporre infatti, salvo sorprese dell’ultimo minuto, Raffaele Fitto, attuale ministro per gli Affari europei, le Politiche di coesione e il PNRR. A metà luglio oltre al suo nome, nell’ottica di avere due proposte, era stato fatto quello di Elisabetta Belloni, direttrice del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, cioè il dipartimento che coordina e dirige i servizi segreti interni e esterni.
La candidatura di Belloni, anche se informale, era stata però quasi subito accantonata dopo che era diventato piuttosto chiaro che fra i principali portafogli a cui avrebbe potuto aspirare l’Italia c’era quello del commissario per la Programmazione finanziaria e il bilancio, per cui Fitto sarebbe particolarmente adatto per la sua esperienza nella gestione dei fondi europei. Oltre a questo, Fitto e von der Leyen si conoscono da tempo e hanno un rapporto solido, cosa che l’Italia spera potrebbe avvantaggiarla al momento della scelta dei vicepresidenti.
Infine alcuni hanno fatto notare che nella prossima legislatura i tre principali incarichi dell’Unione Europea, ossia quello di presidente della Commissione, quello di presidente del Parlamento e quello di Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la sicurezza (che rientra fra i commissari) sono ricoperti da tre donne: rispettivamente Ursula von der Leyen, la maltese Roberta Metsola, anche lei riconfermata, e l’ex prima ministra estone Kaja Kallas.
La situazione potrebbe ancora cambiare: dopo essere presentati dagli stati membri i 26 candidati commissari devono essere valutati singolarmente e poi votati in gruppo dal Parlamento europeo, che terrà le prime audizioni in autunno. Il regolamento del Parlamento europeo dice espressamente che gli eurodeputati devono prestare «particolare attenzione» alla parità di genere quando si tratta di valutare i candidati commissari, e questo argomento potrebbe essere usato per respingere alcune candidature di uomini, specialmente quelle più deboli. Lo stesso Parlamento però a luglio non ha seguito le sue stesse linee guida sulla parità di genere quando ha nominato le nuove commissioni parlamentari e le delegazioni, e non è chiaro quanto sia disposto a seguirle per le nomine della Commissione.
Von der Leyen non ha ancora commentato la situazione, ma è possibile che per cambiarla sfrutti i suoi poteri sull’assegnazione dei portafogli e delle vicepresidenze: una volta che gli stati hanno presentato le loro candidature e prima che queste vengano approvate dal Parlamento spetta alla presidente della Commissione assegnare a ciascuno la sua competenza.
Secondo Politico è possibile che von der Leyen cercherà di convincere alcuni governi a cambiare la loro candidatura, promettendo loro un portafoglio maggiore nel caso in cui decidessero di candidare una donna. Allo stesso tempo l’assegnazione dei portafogli dipende anche dall’importanza dello stato membro e dall’esperienza di ciascun candidato, cosa che riduce notevolmente il suo spazio di manovra.
Un’altra possibilità è che vengano usate allo stesso modo le nomine alle vicepresidenze esecutive, dato che von der Leyen ha molta libertà su quante crearne e a chi farle ricoprire. Secondo quanto emerso dai negoziati in corso però von der Leyen avrebbe già promesso le tre vicepresidenze esecutive, ossia le più importanti, a ciascuna delle tre famiglie politiche che hanno appoggiato la sua riconferma: i Liberali saranno quasi sicuramente rappresentati dal francese Thierry Breton e i Socialisti dalla spagnola Teresa Ribera, mentre il Partito Popolare Europeo, di cui von der Leyen fa parte, potrebbe essere rappresentato dal lettone Valdis Dombrovskis, già vicepresidente esecutivo nella scorsa legislatura e a lungo commissario europeo per il Commercio.
Se questo sarà lo schema ne resterebbe esclusa l’Italia, che rivendicava una vicepresidenza esecutiva per Fitto a prescindere dalle maggioranze e dalle affiliazioni politiche europee. Fitto fa parte di Fratelli d’Italia, che al parlamento siede all’opposizione con il gruppo di partiti di destra ed estrema destra dei Conservatori e dei Riformisti Europei (ECR). Non è mai successo che una vicepresidenza esecutiva andasse a un commissario di un partito che non faceva parte della maggioranza. Meloni sembra ancora intenzionata a ottenerlo per via del buon rapporto che aveva saputo costruire nell’ultimo anno e mezzo con von der Leyen: un rapporto che però dopo le elezioni si è piuttosto incrinato.
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