Ius sanguinis, ius soli, ius culturae e ius scholae

Come viene concessa in Italia la cittadinanza e quali sono i principali modelli, ora che come ogni volta se ne riparla dopo la fine delle Olimpiadi

(ANSA/NICOLA FOSSELLA)
(ANSA/NICOLA FOSSELLA)
Caricamento player

Come dopo la fine delle Olimpiadi di Tokyo del 2021, le Olimpiadi di Parigi hanno riportato nelle discussioni politiche e pubbliche il tema di come in Italia viene concessa la cittadinanza. In parlamento il centrosinistra ha già presentato varie proposte di legge per modificarne i meccanismi di accesso, ma in passato tutti i tentativi di rivederli sono falliti e non sembra che in questo caso le possibilità siano maggiori.

L’Italia è uno dei paesi con i requisiti più severi per ottenere la cittadinanza, mentre tutti i principali paesi europei la concedono più rapidamente. L’ultima legge, introdotta nel 1992, prevede tre modalità per l’acquisizione della cittadinanza italiana: per naturalizzazione, per matrimonio e per nascita. Nel primo caso la cittadinanza può essere concessa alla maggiore età e dopo dieci anni di residenza legale e ininterrotta sul territorio nazionale; nel secondo caso viene concessa a una persona straniera che ne sposi una con la cittadinanza italiana, dopo una residenza di due anni dal matrimonio. È invece cittadino per nascita chi è nato da padre o madre che siano già cittadini italiani: la legge si basa dunque sul principio dello “ius sanguinis”, espressione latina che significa “diritto di sangue”.

In base al principio dello “ius sanguinis” se il minore è nato in Italia ma i genitori non sono cittadini italiani il figlio non ottiene la cittadinanza italiana e può diventare cittadino italiano solo dopo aver compiuto 18 anni, se entro un anno dal compimento dei 18 anni dichiara di voler avere la cittadinanza italiana e fino a quel momento ha risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”.

Questa legge è da tempo considerata carente: le procedure non solo impiegano anni prima di arrivare a un esito, ma escludono per molti anni dalla cittadinanza e dai suoi benefici decine di migliaia di bambini e ragazzi nati e cresciuti in Italia legando la loro condizione a quella dei genitori che, nel frattempo, può subire delle modifiche.

L’altro grande principio che regola la cittadinanza è lo “ius soli” ed è legato non al sangue, ma al territorio in cui si nasce: prevede che chi nasce nel territorio di un certo stato ottenga in automatico la cittadinanza, indipendentemente da quella dei genitori. È il modello usato negli Stati Uniti.

In Italia nessuna proposta di legge ha mai preso in esame lo “ius soli” puro. Nel 2015 venne fatta una proposta su un cosiddetto “ius soli temperato”: prevedeva che un bambino nato in Italia diventasse automaticamente italiano se almeno uno dei due genitori si trovava legalmente in Italia da almeno 5 anni. Se il genitore in possesso di permesso di soggiorno non proveniva dall’Unione Europea doveva rispondere ad altri tre requisiti: avere un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale, disporre di un alloggio, superare un test di conoscenza della lingua italiana. Quella proposta venne approvata alla Camera, ma non diventò mai legge perché dopo essere rimasta bloccata per due anni al Senato mancò il numero legale per la votazione, alla fine del 2017: erano assenti tutto il Movimento 5 Stelle, tutta la destra e anche un pezzo del Partito Democratico. Dopodiché la legislatura finì.

La proposta del 2015 oltre che uno “ius soli temperato” prevedeva anche una seconda condizione per ottenere la cittadinanza: il cosiddetto “ius culturae”, che passava attraverso il sistema scolastico italiano. In base allo “ius culturae” avrebbero potuto chiedere la cittadinanza italiana i minori stranieri nati in Italia o arrivati entro i 12 anni che avessero frequentato le scuole italiane per almeno cinque anni e superato con successo almeno un ciclo scolastico (cioè le scuole elementari o medie). I ragazzi nati all’estero ma arrivati in Italia fra i 12 e i 18 anni avrebbero potuto ottenere la cittadinanza dopo aver abitato in Italia per almeno sei anni e avere superato un ciclo scolastico.

Una proposta di legge fatta nel 2022 legava la cittadinanza italiana di un minore sempre al sistema scolastico, ma aveva parametri leggermente differenti rispetto allo “ius culturae” e venne per questo chiamata “ius scholae”: prevedeva che potesse diventare cittadino italiano il minore straniero nato in Italia o arrivato entro i 12 anni di età che avesse completato almeno cinque anni di scuola in Italia in uno o più cicli scolastici. Nonostante un ampio sostegno, la proposta non andò avanti dopo il cambio di legislatura, a settembre di quell’anno.

Ogni anno il ministero dell’Istruzione diffonde dati e osservazioni sugli studenti che frequentano le scuole in Italia e che non hanno la cittadinanza. Il rapporto con i dati dell’anno scolastico 2022-2023 è stato pubblicato qualche giorno fa.

Nell’anno scolastico 2022-2023 c’è stato un incremento del numero totale di studenti con cittadinanza non italiana presenti nelle scuole nazionali: erano 914.860, il 4,9 per cento in più rispetto all’anno precedente. In termini percentuali gli alunni con cittadinanza non italiana sono l’11,2 per cento. Tale aumento non compensa il calo degli studenti con cittadinanza italiana, per cui è diminuito il totale degli studenti di quasi 103 mila unità (-1,2 per cento).

Sono circa 200 i paesi di origine degli studenti con cittadinanza non italiana. La maggior parte, ovvero il 44,42 per cento, è di origine europea; seguono gli studenti di provenienza africana (27,25 per cento) e asiatica (20,27 per cento). Gli studenti di origine rumena, albanese e marocchina rappresentano oltre il 40 per cento degli alunni con cittadinanza non italiana.

La distribuzione territoriale è molto netta: le regioni settentrionali hanno una maggiore concentrazione di studenti stranieri, mentre al Sud la concentrazione è decisamente più bassa. Ci sono differenze notevoli, tra gli studenti italiani e quelli di origine straniera, anche per quanto riguarda la regolarità del percorso scolastico: nell’anno scolastico 2022-2023 tra gli studenti italiani il 7,9 per cento aveva anni di ritardo (quindi era stato bocciato almeno una volta), mentre tra gli studenti senza cittadinanza italiana quelli con anni di ritardo erano il 26,4 per cento. Il divario più grande lo si vede alle superiori, dove queste percentuali salgono rispettivamente a 16 per cento per gli italiani e 48 per cento per quelli senza cittadinanza italiana. Più di un quarto degli studenti senza cittadinanza italiana, inoltre, non completa il percorso di istruzione secondaria. L’abbandono scolastico riguarda maggiormente i ragazzi rispetto alle ragazze.

Un altro dato interessante del rapporto è quello degli studenti stranieri che però sono nati in Italia. Nel quinquennio tra l’anno scolastico 2018-2019 e il 2022-2023 il numero degli studenti con cittadinanza non italiana nati in Italia è passato da oltre 553mila a quasi 599mila. Il 65,4 per cento degli studenti stranieri quindi è nato in Italia e non ha la cittadinanza.