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  • Mercoledì 14 agosto 2024

I nuovi negoziati per una tregua a Gaza sono molto urgenti e molto complicati

Iniziano giovedì in Qatar: potrebbero influenzare la ritorsione iraniana contro Israele, ma Hamas ha detto che non parteciperà

Una manifestante contro la guerra a luglio a Tel Aviv, con un cartello con scritto: "Fermate questa guerra sanguinosa"
Una manifestante contro la guerra a luglio a Tel Aviv (AP Photo/Leo Correa)
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I negoziati per un cessate il fuoco nella Striscia di Gaza vanno avanti da mesi senza ottenere grossi risultati, ma quelli che cominceranno giovedì a Doha, in Qatar, si terranno in un contesto di rinnovata urgenza. In questi giorni ci si aspetta che l’Iran attacchi in qualche modo Israele come ritorsione per l’omicidio mirato sul proprio territorio del leader di Hamas Ismail Haniyeh: l’aspettativa dei negoziatori è che un accordo per il cessate il fuoco possa ritardare o quanto meno mitigare l’attacco iraniano, evitando rischi di ulteriori ritorsioni e guerre regionali.

Al tempo stesso, tuttavia, le trattative di giovedì potrebbero essere ancora più complicate delle fasi precedenti: secondo un suo esponente, Hamas ha deciso di non partecipare alla fase negoziale a Doha, accusando Israele di non essere interessato a raggiungere un accordo.

I negoziati di giovedì si terranno in un formato ormai familiare. Israele e Hamas non negoziano direttamente, e usano paesi mediatori per portare avanti la discussione e trasmettere alle parti le varie proposte e posizioni: i mediatori sono, dall’inizio dei negoziati, Stati Uniti, Egitto e Qatar. Gli Stati Uniti rappresentano maggiormente gli interessi di Israele, mentre Egitto e Qatar quelli di Hamas. In questo caso, tuttavia, la probabile assenza di Hamas potrebbe rendere più complicate – se non del tutto inutili – le trattative.

Profughi palestinesi fuori da Khan Yunis l'11 agosto

Profughi palestinesi fuori da Khan Yunis l’11 agosto (AP Photo/Abdel Kareem Hana)

Il ritiro temporaneo di Hamas è stato annunciato da Ahmad Abdul Hadi, un funzionario di Hamas in Libano, che ha detto che i negoziatori del gruppo non andranno a Doha giovedì perché il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu «non è interessato a raggiungere un accordo che ponga completamente fine all’aggressione, ma sta ingannando ed eludendo e vuole prolungare la guerra, e perfino espanderla a livello regionale». Abdul Hadi ha detto tuttavia che, sebbene Hamas non parteciperà alla fase negoziale, è disposta a dialogare in seguito sulla base delle eventuali nuove proposte che emergeranno dalle trattative a Doha.

L’annuncio dell’assenza di Hamas va preso con qualche cautela, sia perché da qui a giovedì gli esponenti del gruppo possono essere ancora convinti a partecipare (è quello che sta tentando di fare il Qatar) sia perché, dopo l’uccisione di Ismail Haniyeh, che era il capo politico di Hamas e il suo principale negoziatore, è molto difficile capire come vengono prese le decisioni all’interno dell’organizzazione e quale esponente del gruppo abbia davvero autorità per parlare a nome degli altri.

Dopo l’uccisione di Haniyeh, il leader di Hamas è diventato Yahya Sinwar, intransigente capo militare che si trova nascosto nei tunnel sotto alla Striscia di Gaza, e non è del tutto chiaro in che modo i suoi ordini arrivino fuori. È anche possibile che Hamas non voglia presentare un team di negoziatori perché con Haniyeh ucciso e Sinwar nei tunnel è complicato trovare qualcuno che abbia abbastanza autorità per trattare a nome di tutto il gruppo.

Yahya Sinwar, il leader di Hamas nella Striscia di Gaza, in una foto del 2022

Yahya Sinwar in una foto del 2022 (AP Photo/Adel Hana, File)

Nonostante questi ostacoli, i negoziati stanno andando avanti soprattutto su pressione degli Stati Uniti: il presidente Joe Biden, ora che si è ritirato dalle elezioni presidenziali di novembre ed è più libero di negoziare senza temere ripercussioni sul voto, ha fatto del raggiungimento di una tregua a Gaza una delle sue priorità.

A questo si aggiunge l’urgenza di impedire o quanto meno moderare l’atteso attacco iraniano contro Israele, in risposta all’uccisione di Haniyeh e di un dirigente di Hezbollah (gruppo libanese alleato dell’Iran) a fine luglio. L’intelligence americana e quella israeliana temono che, come ha detto lunedì John Kirby, il portavoce della Casa Bianca che si occupa della sicurezza, l’attacco «possa avvenire questa settimana».

Al tempo stesso, alcuni funzionari iraniani che hanno chiesto di rimanere anonimi hanno detto a Reuters che, se fosse trovato un accordo per il cessate il fuoco a Gaza, l’Iran potrebbe convincersi a evitare nuove tensioni, o comunque a moderare di molto la propria risposta. Anche Biden, parlando con i giornalisti martedì, ha detto che si aspetta che un accordo di tregua a Gaza possa contribuire a ridurre le tensioni regionali ed evitare un attacco da parte dell’Iran.

Un attacco iraniano contro Israele è particolarmente temuto sia per i suoi possibili effetti diretti, sia perché un’eventuale controrisposta israeliana potrebbe portare a un ciclo di ritorsioni ed eventualmente a una guerra più ampia.

La folla durante i funerali di Ismail Haniyeh a Teheran

I funerali di Ismail Haniyeh a Teheran (AP Photo/Vahid Salemi)

Nonostante questo, le possibilità di raggiungere un accordo questa settimana sono basse. Hamas si trova con una leadership frammentata e più intransigente di quanto non fosse prima dell’uccisione di Haniyeh.

Anche il governo israeliano, a meno di sorprese, non sembra particolarmente intenzionato a sforzarsi per stabilire un cessate il fuoco. Questa settimana il New York Times ha avuto accesso a nuovi documenti che mostrano come, durante gli ultimi negoziati di giugno (che si sono tenuti a Roma), il governo israeliano avesse aggiunto all’improvviso nuove e rigide condizioni alle trattative che avevano allontanato l’accordo. In particolare, aveva chiesto di mantenere il controllo del confine tra la Striscia di Gaza e l’Egitto e aveva imposto nuove onerose condizioni al rientro dei civili nel nord della Striscia.