Quanto sarà conservatore il governo del nuovo presidente riformista iraniano?
Sembra parecchio: Masoud Pezeshkian ha presentato la lista dei suoi ministri al parlamento, che però ha deluso chi si aspettava un cambio più netto
Dopo aver vinto a sorpresa le elezioni in Iran di inizio luglio, il presidente del paese Masoud Pezeshkian ha presentato domenica il suo governo. Pezeshkian è un riformista, e fa parte cioè della corrente più moderata e aperta del regime iraniano. Anche per questo c’erano notevoli aspettative sul nuovo governo, che Pezeshkian ha proposto ma dovrà ancora essere confermato nei prossimi giorni dal parlamento.
Molti speravano avrebbe incluso donne, rappresentanti delle minoranze e soprattutto politici moderati, più aperti alle relazioni con l’Occidente e meno bellicosi di quelli dei governi degli ultimi vent’anni, guidati da conservatori (in Iran esistono varie formazioni politiche, ma non dei veri e propri partiti: tutte fanno riferimento grossomodo a tre grandi correnti di pensiero, i riformisti, i moderati e i conservatori). Le aspettative sono state rispettate soltanto per metà, a causa della posizione delicatissima in cui si trova Pezeshkian, sia in Iran sia nel contesto delle relazioni internazionali del paese.
Effettivamente Pezeshkian ha scelto come ministro degli Esteri un noto moderato, e per la seconda volta dalla rivoluzione islamica del 1979 una donna è stata scelta come ministra. Al tempo stesso, tuttavia, nel governo sono rimasti vari esponenti dell’esecutivo precedente, anche in posizioni di rilievo, e non c’è stata quasi nessuna inclusività nei confronti delle minoranze. La delusione è stata tale che Javad Zarif, un noto e moderato ex ministro degli Esteri, che aveva sostenuto Pezeshkian nel corso di tutta la campagna elettorale ed era stato fondamentale per la vittoria, si è dimesso dall’incarico che il nuovo presidente gli aveva dato soltanto pochi giorni fa, in protesta con la composizione del nuovo governo.
I problemi di Pezeshkian derivano dalla condizione piuttosto precaria in cui si trova il suo governo. Pezeshkian è un moderato e un riformista, che in campagna elettorale aveva promesso di ridurre le forme di oppressione delle donne, alleggerire la censura di internet e aumentare la rappresentanza femminile, delle minoranze etniche e dei giovani nel governo. Al tempo stesso, tuttavia, il nuovo presidente deve mantenere i rapporti con la Guida Suprema Ali Khamenei (la principale autorità politica e religiosa del paese, la cui influenza va molto oltre quella del presidente stesso), che ha un orientamento ultraconservatore, e con un parlamento che è ancora dominato da ultraconservatori. Il parlamento, peraltro, deve ancora approvare le nomine fatte da Pezeshkian, e ha il potere di rifiutarle: il voto sulle nomine si terrà il 17 agosto.
A questo si aggiunge la situazione internazionale, che per l’Iran è delicatissima. Pezeshkian è diventato presidente in un momento molto critico: il giorno dopo la sua inaugurazione Israele ha ucciso (con ogni probabilità) il capo politico di Hamas Ismail Haniyeh, mentre si trovava a Teheran per assistere proprio all’inaugurazione del nuovo presidente. Questo (assieme ad altre uccisioni mirate israeliane e a varie provocazioni da entrambe le parti) ha provocato una gran tensione: da giorni ci si aspetta un attacco iraniano contro Israele in risposta all’omicidio di Haniyeh.
Questo rende ovviamente complicato per Pezeshkian nominare un governo moderato e favorevole a una maggiore apertura internazionale.
Queste forze in competizione hanno raggiunto quello che tutto sommato è un grosso compromesso. Pezeshkian ha nominato come ministro degli Esteri Abbas Araghchi, un diplomatico di lungo corso che era stato il capo negoziatore iraniano durante le trattative per raggiungere l’accordo nucleare con l’Occidente, nel 2015. Quell’accordo prevedeva la rimozione delle sanzioni occidentali in cambio di maggiori controlli internazionali sul programma nucleare iraniano, ed era ritenuto il primo passo di una maggiore apertura dell’Iran all’Occidente, prima che nel 2018 l’allora presidente Donald Trump ritirasse unilateralmente gli Stati Uniti dall’intesa, di fatto affossandola.
Abbas Araghchi è ritenuto un moderato, favorevole alla riapertura dei rapporti con l’Occidente, che per questo negli ultimi anni era stato messo da parte dai conservatori al potere. La politica estera iraniana sotto la sua guida potrebbe essere più aperta, ma molto dipenderà da come si risolverà, se si risolverà, la situazione critica con Israele.
Pezeshkian ha nominato anche Farzaneh Sadegh, una nota architetta, come ministra delle Strade e della pianificazione urbana: è la seconda ministra iraniana dal 1979 (la prima fu la ministra della Salute Marzieh Vahid-Dastjerdi nel 2009).
Al tempo stesso, tuttavia, nel governo non sono stati inclusi musulmani sunniti (che in Iran sono una minoranza), i giovani sono pochissimi e anche la presenza dei moderati come Araghchi è temperata dal fatto che molti ministri del vecchio governo ultraconservatore hanno mantenuto il loro posto, anche in incarichi estremamente importanti come il ministero dell’Intelligence. Anche il capo dell’Agenzia atomica iraniana, che gestisce il programma nucleare e ha un peso in eventuali nuovi negoziati con l’Occidente, è rimasto lo stesso.