La spettacolare traversata tra le Torri gemelle di Philippe Petit
Sono passati cinquant'anni da quando il funambolo francese camminò su un cavo a 400 metri senza protezioni: adesso ne ha quasi 75 e non sembra voler smettere
A molte persone il nome di Philippe Petit potrebbe non dire granché, ma quello che riuscì a fare il 7 agosto del 1974, cinquant’anni fa, è rimasto nella storia. Petit, un giovane funambolo francese, camminò su un cavo lungo 60 metri sospeso a più di 400 metri d’altezza da una torre all’altra del World Trade Center di New York, le Torri gemelle poi distrutte negli attentati terroristici dell’11 settembre del 2001.
Organizzò la sua performance – o come preferiva dire lui coup, colpo – senza alcun permesso e riuscì a completarla nonostante qualche inghippo: si fece arrestare e poi finì sulle prime pagine dei giornali di mezzo mondo. Mercoledì e giovedì, per il cinquantesimo anniversario della sua celeberrima traversata, tornerà a esibirsi in uno spettacolo sempre a New York, questa volta un po’ più tranquillo.
Petit compì la traversata pochi giorni prima del suo 25esimo compleanno. Raccontò di averla pianificata fin da quando ne aveva 18, dopo aver letto un articolo sulle Torri gemelle con un’illustrazione del loro progetto mentre aspettava il suo turno dal dentista a Parigi. «Quando vedo tre arance faccio il giocoliere, quando vedo due torri cammino da una all’altra», disse con un accento marcatamente francese agli agenti di polizia che lo arrestarono subito dopo.
Come si vede nel documentario sulla vicenda Man on Wire del regista britannico James Marsh, che vinse il premio Oscar nel 2009, Petit studiò tutti i dettagli per compiere la traversata. Gli ci vollero sei anni: tra le altre cose affittò un elicottero per scattare foto aeree delle torri, allora ancora in costruzione, ne costruì un modello in scala, e studiò venti e pendenze. Lui e alcuni suoi collaboratori, tra cui il fotografo francese Jean-Louis Blondeau, riuscirono anche a ispezionare le torri dall’interno fingendosi elettricisti e addetti ai lavori.
Ci tornarono di nascosto la notte tra il 6 e il 7 agosto, alcuni nella torre nord, lui e altri nella torre sud, con tutta l’attrezzatura necessaria: 75 metri di cavo d’acciaio, l’occorrente per tenerlo teso tra una torre e l’altra e un’asta che Petit avrebbe usato per mantenere l’equilibrio, il tutto senza autorizzazioni e senza alcuna rete di protezione. Attorno alla mezzanotte Blondeau usò una specie di freccia per riuscire ad agganciare il cavo all’altro edificio, ma finì troppo in basso. Per risolvere la situazione e preparare il tutto ci vollero diverse ore. Erano più o meno le 7:15 del mattino quando Petit cominciò a fare avanti e indietro sul cavo d’acciaio, facendosi notare da chi lo osservava stupito dalle strade di Manhattan.
La sua performance durò circa quarantacinque minuti. Camminò tra una torre e l’altra per otto volte sul cavo teso, lungo più di 60 metri, sotto una leggera pioggia: ma si mise anche a ballare, ci si sdraiò e inginocchiò, salutando chi dal basso lo applaudiva. Nel frattempo la notizia che un funambolo era sospeso a centinaia di metri d’altezza tra le torri del World Trade Center arrivò anche in tv, con giornalisti dai toni increduli. Gli operai al lavoro e persino alcuni agenti di polizia che sarebbero dovuti intervenire cominciarono a incitarlo.
Al termine Petit fu subito arrestato per disturbo della quiete pubblica e per essersi introdotto abusivamente negli edifici, ma dato il successo dell’impresa il procuratore distrettuale di New York fece cadere tutte le accuse contro di lui: lo condannò, per così dire, a esibirsi per un gruppo di bambini a Central Park.
Philippe Petit era nato il 13 agosto del 1949 a sud di Parigi da una famiglia medio borghese. Incuriosito fin da bambino dalla giocoleria e dai giochi di prestigio, camminò per la prima volta su un filo a 16 anni. Raccontò di aver imparato «a fare tutte le cose che si potevano fare» da autodidatta nel giro di un anno; poi si trasferì a Parigi e cominciò a girare come artista di strada, mantenendosi con piccoli furti e con le sue imprese da funambolo.
La prima performance a dargli una certa notorietà era stata la traversata su un cavo che aveva teso tra i due campanili della cattedrale di Notre-Dame nel 1971, sempre organizzata di nascosto (fu arrestato anche in quell’occasione). Due anni dopo era stata la volta dell’Harbour Bridge di Sydney, in Australia, e all’inizio del 1974 andò appunto negli Stati Uniti: con i soldi raccolti dai suoi spettacoli di strada finanziò la sua impresa più famosa, che gli diede una fama mondiale quasi istantanea.
In un articolo di qualche anno dopo, il New Yorker ricordò che Petit rifiutò gli ingaggi pubblicitari proposti dopo la traversata da Burger King e dal marchio di dolcificanti Sweet’N Low, e anche un ruolo in due film di Werner Herzog e Miloš Forman. Cominciò a lavorare con una compagnia di intrattenimento statunitense, la Ringling Bros. Dopo una caduta nel 1975 – la prima e unica della sua carriera – riprese a fare le sue famose traversate, alcune improvvisate, altre in occasione di fiere, festival o per pubblicizzare eventi particolari da Vancouver a Tokyo, da Vienna a Francoforte, da New Orleans a Gerusalemme.
Tra le decine che portò a termine ci furono quella al Lincoln Center di New York nel 1986 per la riapertura della statua della Libertà e quella del 1989 sulla Tour Eiffel per i 200 anni dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, formulata durante la Rivoluzione francese.
Petit ha parlato della sua celebre impresa in numerose interviste nonché nel libro del 2002 Toccare le nuvole, che ha poi ispirato sia Man on Wire sia The Walk, il film del 2015 di Robert Zemeckis con Joseph Gordon-Levitt. In una recente conversazione con l’Observer ha detto di essersi spesso sentito descrivere come un tipo spericolato, uno stuntman, uno che batte i record, un atleta sovrumano: «Ma non sono interessato a niente di tutto ciò. Il mio titolo è ‘artista’ e io scrivo nel cielo».
La camminata sul filo per lui è una metafora della vita e dei rischi che bisogna assumersi, sia in senso filosofico che artistico, ha detto più volte. Una delle sue gioie più grandi è stare per conto suo, dice, «e può darsi che sia per questo che amo il filo. Sono da solo e in pieno controllo, visto che non mi trovo a terra», disse al New Yorker nel 1987. «Ho una vita piena di passione per l’esplorazione di un universo infinito, perciò perché dovrei fermarmi, quando il suolo per me è tutto fuorché stimolante?», ha spiegato in un’intervista data sempre al New Yorker in questi giorni.
Petit vive da anni nello stato di New York e nel giardino di casa ha installato una fune per allenarsi: sostiene di non avere tempo per avere paura o pensare di essere vecchio e non ha nemmeno intenzione di andare in pensione, un concetto che dice di non capire.
Adesso che è passato mezzo secolo dalla sua impresa e che sta per compiere 75 anni, farà una nuova performance nella cattedrale di Saint John the Divine, sempre a Manhattan, dove è uno degli artisti fissi da oltre quattro decenni. Questa volta però non sarà «un puntino nel cielo di New York» come nel 1974, ha puntualizzato parlando con il New York Times: sarà sospeso a circa sei metri d’altezza e non a 400, ma anche stavolta non ci sarà alcuna una rete di protezione, e anche in questo caso la performance dovrebbe comprendere la scena di un arresto, ha detto all’Observer.
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