L’ultima guerra del soldato Bandit

«All’inizio della guerra si era arruolato per sostenere la causa dell’Ucraina aggredita dalle truppe russe, ma ora dice di combattere soltanto per i suoi commilitoni. Essendo un combattente straniero, ha un contratto di sei mesi che può non rinnovare, a differenza dei soldati di nazionalità ucraina. “A Kupiansk ho perso quasi tutta la mia vecchia squadra”, dice. “O sono morti o sono stati feriti gravemente. Non è facile superare tutto questo, ma non posso abbandonare i miei compagni. In guerra devi mettere in conto che non tutti ce la faranno. Ormai ho imparato a conviverci. Sono venticinque anni che faccio questo lavoro”»

Il soldato Bandit con il passamontagna prima del combattimento (Foto Edoardo Marangon)
Il soldato Bandit con il passamontagna prima del combattimento (Foto Edoardo Marangon)
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Bandit si è arruolato nell’esercito ucraino poche settimane dopo l’inizio dell’invasione russa, nel marzo 2022. Con Edoardo Marangon, il fotografo delle immagini di questo articolo, lo avevamo incontrato per la prima volta nel novembre 2023 vicino alla città di Kupiansk, dove la sua unità, il 40° Battaglione separato di fanteria aggregato alle 3° Brigata corazzata, era stata dislocata a difesa della linea ucraina. Bandit ha quasi cinquant’anni e viene dall’Europa orientale, è un foreign fighter, un combattente straniero inquadrato nell’esercito regolare ucraino. Per mantenere segreta la sua identità ci permette di utilizzare solamente il suo nome di battaglia e di fotografarlo con il volto coperto.

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Dai primi giorni di aprile 2024 il suo reparto è stato aggregato alla 41° Brigata di fanteria meccanizzata e dislocato nell’area intorno alla città di Chasiv Yar, la cui difesa è di fondamentale importanza strategica. Se Chasiv Yar dovesse cadere, le forze ucraine sarebbero infatti costrette a ritirarsi anche da Kramatorsk e Konstantinivka, perdendo la parte dell’oblast di Donetsk che ancora controllano. Nel tentativo di arrestare l’avanzata delle truppe russe, gli ucraini hanno perciò trasferito qui numerosi reparti da altre zone del fronte. Chasiv Yar, arroccata sulla collina che domina la regione, è il cardine della linea difensiva.

Incontriamo Bandit vicino a Kramatorsk e lo seguiamo in macchina fino al suo alloggio, situato in un villaggio a pochi chilometri da Chasiv Yar. Il suo pick-up si ferma di fronte a una dacia, la tipica casa estiva ucraina, circondata da un piccolo cortile. All’interno ci offre una tazza di caffè. L’abitazione è stata donata all’esercito ucraino dal proprietario, trasferitosi in un luogo più sicuro. «Le case nei villaggi a ridosso del fronte di solito vengono requisite dall’esercito. Però si possono trovare case in luoghi più sicuri, relativamente lontani da quelli che vengono continuamente bombardati», spiega Bandit in un ottimo inglese, «qualche volta i proprietari lasciano le loro case ai militari. È il loro modo di dare sostegno all’esercito. Altre volte invece viene richiesto un affitto che può arrivare fino a 9.000 grivnie al mese (circa 210 euro)». Il bagno si trova nel cortile, all’interno di un capanno.

Foto Edoardo Marangon

La casa ha un impianto elettrico funzionante, ma non acqua corrente, un problema che i soldati hanno risolto procurandosi numerose taniche d’acqua che usano per lavare le stoviglie e sostituendo le tubazioni mancanti con un mastello posto sotto il lavandino principale. L’acqua per la doccia è attinta da una cisterna posizionata sulla cima del capanno all’esterno, che viene riempita regolarmente dagli abitanti della casa, anche raccogliendo acqua piovana. In inverno l’acqua viene scaldata, per fare una doccia calda. Bandit ci guida in un breve tour della casa, che divide con altri due commilitoni. Due stanze sono occupate dalle brande su cui dormono i soldati, mentre il loro equipaggiamento è appoggiato a terra, di fianco al letto, o sul mobilio. L’ultima camera è usata come ripostiglio e lungo le pareti sono accatastate scatole e casse di vestiti, uniformi e attrezzature belliche di vario tipo. Quasi tutte le finestre sono coperte con teli in sostituzione dei vetri andati in frantumi per i bombardamenti.

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Le munizioni sono conservate in un piccolo magazzino sul retro. «Quando ripareremo le finestre, questa casa potrà essere usata anche in inverno. Ma a quel punto temo che ci avranno già trasferito». Bandit risponde alle nostre domande con un tono di voce basso e cortese, ma nei suoi occhi è rimasta tutta la stanchezza accumulata nei giorni precedenti. È tornato dal fronte quella stessa mattina dopo un combattimento durato trentasei ore di fila. I soldati russi hanno attaccato le postazioni ucraine alle spalle, passando da vecchi oleodotti in disuso. L’unità di Bandit ha respinto gli assalti, ma ha avuto perdite. Prima di incontrarci, ha avuto appena il tempo di farsi una doccia e riposarsi qualche ora: «Di solito si passano un paio di giorni sulla linea zero del fronte, quella dove le fanterie entrano in contatto, dopodiché si hanno due giorni di riposo. Ma non è sempre così. I russi ci hanno attaccato e abbiamo dovuto mantenere le posizioni difensive fino a che la situazione non si è stabilizzata e altre unità hanno potuto darci il cambio».

Foto Edoardo Marangon

Bandit è un pathfinder, un soldato specializzato nel trovare la via più sicura verso le posizioni sul fronte. Il suo compito è accompagnare la sua unità fino alle postazioni evitando che cadano in imboscate o prendano la direzione sbagliata. Ha accumulato una notevole esperienza militare nel corso degli anni. «Ho servito nell’esercito bulgaro, serbo, omanita e ora in quello ucraino. Ho frequentato la scuola militare nel mio paese e mi sono diplomato come sergente maggiore. Purtroppo l’esercito ucraino non ha riconosciuto il mio grado e sono stato arruolato come soldato. Ho ottenuto la promozione a sergente solo qualche mese fa. Essendo straniero, questo è il grado più alto che posso raggiungere nell’esercito regolare». Bandit non si è arruolato per la paga, sostiene che ha sempre combattuto soltanto le guerre che riteneva giuste. Quando l’Ucraina è stata invasa ha deciso di prendere le armi e dare il proprio contributo. «Lo stipendio medio di un soldato è di 20.000 grivnie al mese (circa 500 euro) a cui si aggiunge un bonus mensile di 100.000 grivnie (circa 2.500 euro) se si passano almeno tre settimane al fronte. Per i graduati lo stipendio base è leggermente più alto».

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Se all’inizio della guerra Bandit si era arruolato per sostenere la causa dell’Ucraina aggredita dalle truppe russe, ora dice di combattere soltanto per i suoi commilitoni. Essendo un combattente straniero, il suo contratto ha infatti una durata di soli sei mesi, al termine dei quali potrà decidere di non rinnovarlo e tornare a casa, a differenza dei soldati di nazionalità ucraina. Dice che a rimanere lo spinge l’idea di proteggerli e di riportare a casa anche loro. «A Kupiansk ho perso quasi tutta la mia vecchia squadra. O sono morti o sono stati feriti gravemente. Non è facile superare tutto questo, ma non posso abbandonare i miei compagni», dice, «in guerra devi mettere in conto che non tutti ce la faranno. Ormai ho imparato a conviverci. Sono venticinque anni che faccio questo lavoro». Nelle sue pause “civili” tra una guerra e l’altra, Bandit ha lavorato come saldatore, ma ogni volta che si è presentata l’occasione di combattere per ciò che considerava giusto, è partito.

Foto Edoardo Marangon

Quando chiediamo a Bandit della situazione a Chasiv Yar, si fa scuro. La definisce un “tritacarne” e un “inferno”, dove non è nemmeno possibile uscire dalla propria posizione senza essere preso di mira dall’artiglieria e dai droni russi. Della città sono rimaste soltanto macerie, mentre i soldati sono rintanati nelle trincee e nelle cantine. «Ci sono ancora alcuni civili, circa 500 ma non ci fidiamo di loro», racconta, «la maggior parte aspetta solamente che la città venga presa dai russi». Il problema più grande riguarda l’evacuazione dei feriti. Le ambulanze e i mezzi blindati faticano a muoversi nelle strade coperte dalle rovine e sotto il costante fuoco delle truppe russe. Di conseguenza l’unico modo per mettere in salvo i feriti è trasportarli a piedi fino al punto di evacuazione più vicino, che a volte dista anche tre chilometri.

«Trasportare i feriti è sempre un rischio. Sono necessarie almeno cinque persone che viaggiano in gruppo, e offrono un facile bersaglio per i droni o l’artiglieria. Se però il ferito non può camminare da solo, non ci sono alternative». Bandit continua a controllare il telefono. Da un momento all’altro potrebbe ricevere un messaggio o una chiamata da parte dei suoi superiori. Anche se dopo un turno di tre giorni a ogni soldato ne spettano almeno altrettanti di riposo, la difficile situazione del fronte intorno a Chasiv Yar costringe i militari ucraini a tenersi sempre preparati a tornare sulla linea zero.

L’attrezzatura di Bandit è sempre pronta, di fianco al suo letto, come il fucile, appoggiato al muro vicino alla testiera. «Ho quasi cinquant’anni e il mio fisico non sopporta più questi ritmi. Per recuperare mi servirebbero più giorni, ma non c’è tempo». Nei momenti di relativa calma, Bandit si occupa anche di addestrare le nuove reclute giunte al fronte. Con l’entrata in vigore della nuova legge sulla mobilitazione il 18 maggio 2024, l’età di leva per i cittadini ucraini è stata abbassata da 27 a 25 anni, per aumentare il numero di persone reclutabili dalle forze armate. «Molti soldati vengono qui dopo un addestramento di appena un mese. Alcuni non sono pronti. Io provo ad aiutarli e insegnargli quello che so. Una volta arrivati nelle trincee non si torna indietro fino a che il turno non finisce. Se non si è preparati si rischia la vita, ma si mettono anche in pericolo i compagni».

Foto Edoardo Marangon

Bandit ha deciso che, in ogni caso, quella in Ucraina sarà la sua ultima guerra. Dopo due anni passati tra Kupiansk e il Donbass, sta iniziando a pensare di non rinnovare il suo contratto. «Da quando mi sono arruolato sono tornato a casa solamente una volta, per due settimane». Non prova nostalgia, ma sente che si sta avvicinando il momento di riprendere in mano la sua vita. «Quando parti per la guerra, è come se mettessi la tua vita in pausa. Purtroppo, quando torni, scopri che non è così. Il mondo è andato avanti senza di te». A casa lo aspettano due figlie. Una ha sedici anni, l’altra frequenta l’università. Possiede inoltre un bar e un negozio da barbiere, attività gestite da una sua cara amica che considera come una sorella. Bandit afferma che non può continuare a discutere e provare a risolvere i suoi problemi famigliari e lavorativi solamente per telefono. Ha bisogno di essere presente, soprattutto nella vita delle sue figlie che lo hanno visto partire innumerevoli volte. Tuttavia è riluttante a lasciare i suoi compagni, con cui ha creato un legame molto forte. «Voglio solo assicurarmi che i ragazzi della mia squadra finiscano in buone mani. A quel punto, potrei essere pronto a posare il fucile e dire basta. Non ho ancora preso una decisione definitiva».

Mentre parliamo il telefono squilla, Bandit guarda lo schermo quasi con noncuranza, quindi si alza con calma e inizia a prepararsi senza smettere di parlare con noi. È stato richiamato in posizione. Indossa il suo equipaggiamento e controlla che tutto sia in ordine e pronto. Si allaccia sbuffando il giubbotto antiproiettili colmo di caricatori, infila la pistola nella fondina e imbraccia il fucile, con movimenti meccanici e precisi, seguendo una routine ripetuta centinaia di volte. Non sembra più la stessa persona con cui stavamo parlando fino a poco prima. Ora è un soldato pronto alla battaglia, irriconoscibile, con un passamontagna in faccia. Solo la voce è rimasta la stessa, calma e gentile, senza note di preoccupazione o paura anche se da lì a poco potrebbe ritrovarsi in trincea, sotto il fuoco dell’artiglieria russa. Per lui si tratta della normalità, per quanto assurda e terribile possa sembrare. Mentre camminiamo verso le macchine, lo salutiamo e gli auguriamo buona fortuna. Lui ricambia con la mano, poi monta sul suo pick-up e si dirige verso il punto di raduno.

Foto Edoardo Marangon

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Emanuele Bussa
Emanuele Bussa

È nato a Vercelli, lavora a un progetto di ricerca sull'evoluzione del giornalismo di guerra nel contesto della guerra civile siriana, per un dottorato in media e comunicazioni alla Bournemouth University. Da settembre 2023 collabora con Edoardo Marangon, fotoreporter vincitore del premio Eyeshot Open Call 2023, alla sua terza esperienza sul fronte ucraino.

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