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  • Martedì 30 luglio 2024

Donald Trump e J.D. Vance sono “weird”?

«Strani» è il termine che Kamala Harris e i suoi alleati stanno usando spesso per riferirsi ai candidati Repubblicani: per ora funziona, tra qualche scetticismo

Donald Trump e J.D. Vance (Anna Moneymaker/Getty Images)
Donald Trump e J.D. Vance (Anna Moneymaker/Getty Images)

Da qualche giorno Kamala Harris e altri esponenti del Partito Democratico statunitense stanno usando sempre più spesso la parola “weird” per riferirsi a Donald Trump, al suo candidato alla vicepresidenza J.D. Vance e in generale a molte delle idee sostenute dal movimento MAGA, la sigla usata per riferirsi ai sostenitori Trump e alla componente più conservatrice del Partito Repubblicano. È un termine piuttosto inusuale nel mondo della politica: letteralmente significa “strano”, ma in questo contesto ha un’accezione negativa e anche un po’ ironica, tanto che potrebbe essere tradotto liberamente con “strambo” o “fuori luogo”, a seconda delle circostanze. È una strategia comunicativa molto diversa rispetto a quella adottata fino a poco tempo fa dal presidente Joe Biden, e per ora sembra stia funzionando bene, soprattutto sui social.

Il primo a usare questo termine per riferirsi a Trump è stato il governatore del Minnesota Tim Walz, che è considerato uno dei possibili candidati alla vicepresidenza di Harris. La settimana scorsa, in un’intervista con MSNBC, Walz aveva detto che Trump e Vance sono «tipi strani» («weird people»), e ha utilizzato lo stesso termine in varie altre occasioni negli ultimi giorni. Qualche giorno fa l’account X dell’Associazione dei governatori Democratici, presieduta proprio da Walz, aveva scritto: «100 giorni per non fare eleggere questi tipi strani», usando il termine «weirdos».

Ultimamente anche la campagna elettorale di Harris ha iniziato a usare spesso questa parola, per ora soprattutto nella comunicazione sui social. Per esempio, su X il profilo ufficiale del suo comitato elettorale, Kamala HQ, ha pubblicato un montaggio con varie scene prese dai comizi di Vance, in cui il candidato Repubblicano alla vicepresidenza sembra un po’ impacciato e ride da solo alle sue battute. Il video è accompagnato dalla frase: «Comincia a essere strano…» («It’s getting weird…»).

In inglese “weird” non ha necessariamente una connotazione negativa, e anzi è stato usato anche come etichetta per correnti artistiche come il new weird in letteratura o il New Weird America nella musica – che rivendicavano la stranezza come modalità espressiva. “Weirdo”, nel senso di tizio strambo, può avere anche un’accezione affettuosa, e indicare qualcuno di molto eccentrico e originale.

Non è però il caso di Trump e Vance, per come intendono “weird” i Democratici: in questo contesto, è una parola connotata negativamente, che indica qualcuno di strano in un modo preoccupante e un po’ ridicolo, come può esserlo un fanatico religioso o una persona talmente bigotta da risultare repressa. “Weird”, in questo significato, significa anche viscido e inquietante, una sfumatura applicata soprattutto in riferimento all’ossessione dei Repubblicani conservatori per il corpo delle donne e per l’aborto, così come in relazione alla quantità di retorica che riservano alla demonizzazione delle persone e all’identità trans.

La parola “weird” è stata utilizzata anche da Harris stessa. Sabato, durante un evento di raccolta fondi in Massachusetts, ha detto che le «bugie spudorate» che Trump e i suoi sostenitori stanno diffondendo sul suo conto sono «plain weird», ossia «davvero strane». Harris faceva riferimento ad alcune affermazioni fatte da Trump e da Vance, che tra le altre cose la accusano di essere troppo indulgente con i criminali e incapace di gestire il fenomeno dell’immigrazione irregolare. Nel 2021 Vance l’aveva anche definita una «gattara senza figli» (Harris non ha figli ma è la matrigna dei due figli che il marito Doug Emhoff ebbe con la sua precedente compagna).

Oltre che a Trump e a Vance in particolare, il termine viene ormai usato dai Democratici e da molti utenti sui social anche in riferimento ad altri candidati Repubblicani vicini a Trump e in generale ad alcune idee sostenute dalla componente più conservatrice del partito, ritenute appunto «strane». È diventato insomma un modo rapido ed efficace di definire parte del Partito Repubblicano e dei suoi sostenitori.

Se ormai siamo abbastanza abituati a toni di questo genere (e anche peggiori) da parte di Trump e dei suoi alleati, risulta abbastanza evidente la differenza tra l’impostazione della campagna elettorale di Harris e quella del precedente candidato dei Democratici, il presidente Joe Biden. Nonostante i ripetuti attacchi anche personali ricevuti da Trump, Biden ha sempre mantenuto un tono pacato e istituzionale. Gran parte della sua comunicazione si basava sulla presentazione di Trump come una minaccia alla democrazia e un pericolo per il paese, un’argomentazione che ha contribuito a rendere cupa e quasi catastrofica la sua campagna elettorale. Al contrario, finora la comunicazione di Harris si sta facendo notare soprattutto per il suo tono spigliato e sfacciato, che sembra stare funzionando molto bene soprattutto sui social.

Harris sta cercando di presentarsi come una politica vicina all’elettorato, anche quello più giovane o meno istruito. Il suo stile di comunicazione, più semplice e meno istituzionale, ha probabilmente l’obiettivo di dare a chi ascolta la possibilità di comprendere e magari identificarsi più facilmente in ciò che dice. Fa sicuramente parte di questa strategia lo stile di comunicazione del comitato Kamala HQ, che è pensato per un elettorato giovane e punta molto sui meme.

Alcuni osservatori però vedono anche dei rischi in questa strategia. Per esempio il noto analista politico Thomas Friedman ha scritto sul New York Times un editoriale in cui critica fermamente la scelta di far ruotare tutta la campagna elettorale attorno al termine “weird”: «Non riesco a pensare a un approccio più sciocco, bambinesco, insensato e controproducente per il Partito Democratico», ha scritto. Secondo Friedman, se i Democratici vogliono vincere devono conquistare la classe operaia bianca, quella che si sente «denigrata e umiliata dalla élite Democratica istruita e liberale». Questa fetta di elettorato «odia le persone che odiano Trump più di quanto le interessino le politiche di Trump». Con questa strategia, secondo Friedman, rischiano di farli sentire denigrati a loro volta, e quindi di allontanarli.