Gabriel Attal è l’unico macronista uscito bene dalle elezioni francesi?
L'attuale primo ministro, dimissionario, ha trovato un buon equilibrio tra la critica al presidente Macron e l'impegno a fermare l'estrema destra
La situazione in Renaissance, il partito politico centrista fondato nel 2016 dal presidente francese Emmanuel Macron, è piuttosto complicata. Nonostante alle legislative convocate con anticipo la coalizione di Macron sia arrivata seconda per numero di seggi, solo dopo il Nuovo Fronte Popolare (la coalizione di sinistra), alcuni suoi importanti esponenti, ministri o leader di partiti alleati hanno preso le distanze dal presidente, sono usciti indeboliti dal voto o stanno sostenendo posizioni che minacciano la tenuta di quell’area politica. Secondo Le Monde, l’unico che non ha subìto un calo di popolarità è stato il primo ministro dimissionario Gabriel Attal.
Qualche giorno fa Gilles Le Gendre, storico deputato di Renaissance, non rieletto, ha detto: «Il macronismo come forza di trasformazione del paese è finito. Dal 2022 in poi le cose sono andate in pezzi (…) e la decisione di sciogliere l’Assemblea Nazionale ha portato a reazioni a catena di cui non abbiamo ancora visto la fine».
Secondo Le Gendre, il principale problema è che dentro il campo presidenziale è venuto meno uno dei principi che avevano portato inizialmente al successo Macron: quello del dépassement, cioè il superamento delle divisioni tra destra e sinistra in nome dei valori della Repubblica. Al suo posto hanno cominciato a riemergere dentro a Renaissance le divisioni interne e politiche tra chi effettivamente guarda più alla destra e chi non si sta dimostrando ostile alla sinistra.
Uno dei nomi di Renaissance più citati a questo proposito è per esempio quello di Bruno Le Maire, che da tempo sta cercando di imporsi come possibile successore di Macron alle prossime elezioni presidenziali, previste nel 2027, alle quali Macron non potrà candidarsi avendo già fatto due mandati consecutivi.
Dal 2017 Le Maire è ministro dell’Economia e delle Finanze e ha svolto questo incarico sotto i governi guidati da Édouard Philippe, Jean Castex, Élisabeth Borne e Gabriel Attal. Ex esponente del partito dei Repubblicani e ex ministro del governo di destra di Nicolas Sarkozy, nella sua carriera Le Maire non è mai riuscito a diventare dirigente del suo partito di provenienza. Nel 2016 prese così le distanze dalla destra e cominciò a lavorare con Macron, a cui, da lì in poi e fino a poco tempo fa, si è sempre dimostrato molto fedele.
Nelle ultime settimane Le Maire ha però preso le distanze da Macron, rendendo di conseguenza complicata una sua futura candidatura alle presidenziali. Poco dopo lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale e la convocazione di elezioni anticipate, Le Maire aveva detto che lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale era stata «la decisione di un solo uomo».
Le Maire, oltre a criticare in maniera esplicita il leader del suo partito, ha anche ricevuto molte critiche da chi sosteneva la necessità di creare un fronte repubblicano unito per fermare l’ascesa dell’estrema destra: si era infatti detto contrario all’inclusione in questo fronte di La France Insoumise, il partito di sinistra di Jean-Luc Mélenchon, cioè la forza politica che al ballottaggio delle legislative ha poi ottenuto più voti all’interno della coalizione Nuovo Fronte Popolare. Le Monde ha scritto che è stato Le Maire ad aver «buttato a mare» il principio del dépassement.
Un altro politico che di recente ha preso le distanze dal campo presidenziale è Édouard Philippe, ex primo ministro e presidente di Horizons, partito centrista alleato di Macron. Macron «ha ucciso la maggioranza», ha detto Philippe dopo lo scioglimento dell’Assemblea Nazionale e la convocazione di elezioni anticipate. La sera dei ballottaggi, ha aggiunto che il presidente aveva trascinato il paese in una «grande incertezza politica», esponendolo a «pericoli enormi».
Philippe, che come Le Maire non ha mai nascosto le proprie ambizioni presidenziali e che si è dimostrato molto ostile sia alla sinistra radicale che all’estrema destra, è stato anche al centro di un caso politico molto discusso negli ultimi giorni in Francia, reso noto dal quotidiano di sinistra Libération: alla fine del 2023 Philippe ha partecipato a una cena nell’appartamento di Thierry Solère, consigliere di Emmanuel Macron, a cui era presente Marine Le Pen.
Durante un’intervista televisiva Philippe ha confermato di aver cenato con Le Pen nel dicembre scorso: «Sì, è vero, abbiamo cenato insieme perché ci conosciamo poco, e in occasione di quella cena, che è stata cordiale, abbiamo constatato di avere disaccordi molto profondi su molti temi». Il giornalista Gilles Bouleau, che stava intervistando Philippe, ha a quel punto replicato: «E avevate bisogno di cenare insieme per constatarlo?», mettendolo in difficoltà. L’incontro di Philippe è stato molto criticato, sia dalla sinistra sia da diversi esponenti dello stesso campo presidenziale.
Frédéric Dabi, direttore dell’istituto di ricerca francese IFOP, pensa che non sarà la vicenda dell’incontro con Marine Le Pen a rovinare Philippe, ma l’episodio ha comunque compromesso la sua immagine politica, soprattutto in vista dell’ipotesi di una sua futura candidatura alle presidenziali. Inoltre non gli sta permettendo di capitalizzare il consenso ottenuto alle legislative in cui Horizons ha avuto buoni risultati, riuscendo a eleggere 25 deputati sui 30 uscenti (i sondaggi inizialmente avevano previsto un risultato molto più deludente).
Sabato mattina dentro Renaissance ci saranno le votazioni per scegliere il capogruppo alla nuova Assemblea Nazionale. Ad ambire al ruolo c’era soprattutto il ministro dell’Interno Gérald Darmanin, ex componente del partito dei Repubblicani e ex ministro del governo di destra di Nicolas Sarkozy. Anche lui però sembra essere uscito indebolito dalle vicende politiche delle ultime settimane, e in particolare dall’ambiguità che ha mostrato buona parte del campo centrista sulla strategia da adottare per contrastare l’estrema destra di Le Pen.
Darmanin è stato infatti rieletto deputato anche grazie al voto di elettori e elettrici della sinistra ottenuto sulla base della strategia della “desistenza” (l’idea è che al ballottaggio i voti dei partiti che si opponevano al Rassemblement National convergessero sul deputato arrivato secondo, e non si disperdessero in più candidati: è spiegata qui). Ora però lo stesso Darmanin minaccia di sostenere una mozione di sfiducia, chiunque la presenti, contro un governo che includa anche ministri di La France Insoumise o del partito ecologista (come detto, le forze più a sinistra del Nuovo Fronte Popolare).
Il favorito per il ruolo di capogruppo, a cui si è ufficialmente candidato stamattina, è invece il primo ministro dimissionario Gabriel Attal. Darmanin e Attal, precisa Le Monde, hanno due linee politiche molto diverse e in conflitto tra loro. Il primo guarda sopratutto a destra, mentre Attal resta fedele al principio macronista del dépassement e alla strategia della desistenza. Mercoledì Attal ha detto che rimarrà dentro Renaissance qualunque sia il risultato delle elezioni interne, mentre Gérald Darmanin, la cui reazione i deputati seguivano attentamente, è rimasto in silenzio.
Secondo quanto emerso da commenti e analisi post-elettorali, Attal sembra insomma essere l’unica personalità di rilievo del campo presidenziale ad aver avuto un percorso politico recente giudicato coerente, che sia stato accolto in maniera favorevole dall’opinione pubblica ma anche da alcune forze della sinistra. Jean-Christophe Cambadélis, ex primo segretario del Partito Socialista, ha detto per esempio: «Attal appare oggi nel blocco centrale come una forza di resistenza alla destra». Dabi, direttore dell’istituto di ricerca francese IFOP, ha detto di vedere nel primo ministro dimissionario il «grande vincitore del campo presidenziale» perché «ha capitalizzato il fatto di essersi riuscito a distinguere da Macron, senza però arrivare a una rottura».