Manlio Cerroni, proprietario della discarica di Malagrotta, è stato condannato per disastro ambientale

Era accusato di non aver messo in sicurezza il sito dove per 40 anni vennero buttati i rifiuti di Roma

Uno degli impianti della discarica di Malagrotta
Uno degli impianti della discarica di Malagrotta (AP Photo/Andrew Medichini)
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Il tribunale di Roma ha condannato in primo grado l’imprenditore Manlio Cerroni, 97 anni, proprietario della discarica di Malagrotta, e il suo collaboratore Francesco Rando, 87 anni: entrambi erano accusati di disastro ambientale per l’inquinamento causato dalla discarica. Cerroni è stato condannato a 6 anni e 4 mesi di carcere, Rando a 3 anni, pene molto inferiori rispetto alle richieste della procura, di 17 anni di carcere per Cerroni e 11 per Rando. Oltre alla pena detentiva, i giudici hanno stabilito i risarcimenti delle parti civili, tra cui il Comune di Roma e la Regione Lazio, per un totale di 500mila euro.

La discarica di Malagrotta, la più grande d’Europa, si trova nella zona della Valle Galeria, a ovest di Roma, non lontano da Fiumicino. È un’enorme collina di spazzatura alta 90 metri e che si estende per quasi 2,5 chilometri quadrati. Fu chiusa nel 2013, dopo diversi sequestri e indagini: la discarica non rispettava le norme europee, che già all’epoca vietavano di buttare in discarica rifiuti non trattati. Per questo avrebbe dovuto chiudere nel 2007, ma rimase aperta anche negli anni successivi per far fronte all’emergenza rifiuti di Roma.

Ogni giorno per quarant’anni aveva ricevuto oltre 4.000 tonnellate di rifiuti indifferenziati di Roma e di alcuni comuni del Lazio. Avere una discarica di questo tipo, dove buttare qualsiasi cosa senza trattare i rifiuti, fu per anni una soluzione che consentì di risparmiare molti soldi alle amministrazioni comunali, ma che causò notevoli problemi ambientali.

Manlio Cerroni nel 2008

Manlio Cerroni nel 2008 (Roberto Monaldo/LaPresse)

L’acqua piovana filtrando nel terreno e nei rifiuti accumulati crea il percolato, un liquido inquinante che contamina il terreno e che è necessario contenere perché può fuoriuscire e finire nei fiumi. Il Rio Galeria e il Rio Santa Maria Nuova scorrono vicino all’area della discarica, il secondo poi diventa affluente del primo, che sfocia nel mare. Lungo il corso del fiume ci sono campi, allevamenti di bovini, persino un maneggio. Anche più di dieci anni dopo la chiusura di Malagrotta, le persone che abitano nella zona segnalano forti odori, miasmi, depositi di polvere nera su finestre e balconi, e lamentano una diffusione superiore al normale di malattie, secondo loro collegate alla vicinanza degli impianti e della discarica.

– Leggi anche: Malagrotta è ancora un problema ambientale

Manlio Cerroni era stato accusato già nel 2014 per la gestione della discarica, ma era stato assolto nel 2018. Poi era stato nuovamente rinviato a giudizio nel 2022 in un’altra inchiesta, che ha portato alla condanna di giovedì. I magistrati gli hanno contestato di non aver messo in sicurezza la discarica, come era stato ordinato dal comune di Roma, e per questo di aver favorito l’inquinamento causando un disastro ambientale. La sua azienda, la E. Giovi, dal 2018 è in amministrazione giudiziaria, quel provvedimento che viene deciso quando una parte del patrimonio di una società viene sequestrato.

L’avvocato Alessandro Diddi, che ha difeso Cerroni nel processo di primo grado, ha annunciato che verrà fatto un ricorso in appello. La difesa sostiene che la procura non sia riuscita a individuare da quale punto sarebbe uscito il percolato. «Va sottolineato che secondo l’accusa sostenuta dalla procura Cerroni e Rando avrebbero avvelenato le acque anteponendo il lucro personale alla tutela dell’ambiente e della sanità pubblica, ipotesi invece scartata dalla Corte che non ha infatti comminato la pena richiesta dai pm a 17 anni», ha detto Diddi. «In ogni caso ricorreremo perché non accettiamo che Cerroni, anche colposamente, possa aver inquinato l’ambiente».