• Mondo
  • Venerdì 5 luglio 2024

In Iran è soprattutto la crisi economica a influenzare il voto

I due candidati presidenti arrivati al ballottaggio hanno due idee opposte su come risollevare l'economia del paese, che va malissimo da anni

Elettori di Massoud Pezeshkian durante un suo comizio a Teheran, il 3 luglio 2024 (AP Photo/Vahid Salemi)
Elettori di Massoud Pezeshkian durante un suo comizio a Teheran, il 3 luglio 2024 (AP Photo/Vahid Salemi)
Caricamento player

Venerdì 5 luglio si terrà in Iran il secondo turno delle elezioni presidenziali, fra il candidato ultraconservatore Saeed Jalili e il candidato Massoud Pezeshkian, considerato un riformista per gli standard del regime iraniano. I due sono da collocare agli opposti dello spettro politico iraniano e sono radicalmente in disaccordo su quasi tutti i temi che hanno definito questa campagna elettorale, a cominciare da quello principale: come tirare fuori l’Iran dalla profonda crisi economica in cui si trova ormai da anni.

Pezeshkian sostiene che l’Iran debba ripristinare i suoi rapporti con l’Occidente, inclusi gli Stati Uniti, il cui deterioramento negli ultimi anni ha peggiorato la situazione economica iraniana. Sostiene inoltre che il paese possa risollevarsi aprendosi agli investimenti stranieri e attuando alcune riforme sociali che lo rendano più presentabile a livello internazionale. Jalili rappresenta invece le opinioni più estreme e isolazioniste della politica iraniana e ritiene che il paese debba fare in modo che la sua economia sia completamente autarchica e indipendente. In entrambi i casi i loro piani dovranno essere approvati dalla Guida Suprema Ali Khamenei, la principale figura religiosa e politica del paese, da cui il presidente dipende.

L’Iran si trova da anni in una profonda crisi economica che è peggiorata quando nel 2018 l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump si ritirò dall’accordo sul nucleare iraniano, firmato nell’aprile del 2015 dall’Iran e dai paesi del cosiddetto gruppo dei “5+1”, cioè i cinque che hanno il potere di veto al Consiglio di sicurezza dell’ONU (Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Russia, Cina) più la Germania. L’accordo prevedeva una significativa riduzione della possibilità dell’Iran di arricchire l’uranio (un passaggio fondamentale per la produzione di un’arma nucleare) e la rimozione di alcune delle sanzioni imposte all’economia iraniana negli anni precedenti. Secondo Trump, che era diventato presidente all’inizio del 2017, il patto era però oltre che inefficace anche dannoso, poiché l’Iran avrebbe usato i capitali ricavati dalla diminuzione delle sanzioni per guadagnare un’enorme influenza in diversi paesi del Medio Oriente.

Con la decisione di Trump di ritirarsi dall’accordo furono reintrodotte anche le pesanti sanzioni statunitensi, che colpirono l’economia iraniana in anni in cui si stava lentamente risollevando. La decisione degli Stati Uniti di ritirarsi dall’accordo fu molto criticata dagli altri leader internazionali e fu accolta negativamente dall’ala moderata della politica iraniana, di cui faceva parte l’allora presidente Hassan Rouhani. Del ritiro furono invece felici i politici ultraconservatori, che si erano sempre opposti all’accordo sul nucleare e che infatti vinsero alle successive elezioni presidenziali, eleggendo il presidente Ebrahim Raisi, morto a maggio di quest’anno in un incidente in elicottero.

– Leggi anche: L’accordo sul nucleare iraniano, spiegato

Dopo il ritiro degli Stati Uniti la situazione economica in Iran è peggiorata: secondo il Centro di ricerca del Majlis, che fornisce consulenza al parlamento iraniano, oltre il 30 per cento della popolazione viveva in condizioni di povertà fino al marzo del 2022. Negli ultimi quattro anni l’inflazione è stata intorno al 40 per cento (per fare un paragone a giugno del 2024 l’inflazione in Italia è stata del 0,8 per cento e anche nei periodi di più alta inflazione nel 2022 era stata al massimo dell’11,8 per cento). La valuta iraniana, il rial, ha perso circa la metà del suo valore rispetto al dollaro dalla fine del 2021.

Questa crisi ha portato a un progressivo abbassamento dei salari e a un contemporaneo aumento dei prezzi dei generi alimentari, delle case, dell’assistenza sanitaria e dei trasporti. In Iran è comune confrontare il costo di una Pride, il modello più economico e più usato di auto prodotta in Iran fino al 2020, con il salario minimo, per avere un’idea un po’ più concreta dello stato dell’economia del paese e del potere d’acquisto delle persone: dieci anni fa un lavoratore iraniano che percepiva il salario minimo e faceva parte di una famiglia di quattro persone (un fattore che influenza il salario minimo) aveva bisogno di 1,6 volte il suo reddito annuo per acquistare una Pride, oggi ha bisogno invece di tre volte il suo reddito annuo.

Secondo Pezeshkian questa situazione può essere risolta solo rinegoziando l’accordo sul nucleare con gli Stati Uniti, così da diminuire le sanzioni economiche sul paese. A questo dovrebbe essere aggiunta una graduale apertura dell’Iran verso i paesi occidentali, permettendo l’entrata di capitali esteri che aiutino a diversificare l’economia iraniana, che è sempre più dipendente dalle esportazioni di petrolio. L’Iran è il terzo produttore di petrolio fra i membri dell’OPEC, l’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio.

Massoud Pezeshkian durante un comizio il 3 luglio 2024 (AP Photo/Vahid Salemi)

Pezeshkian sostiene che la situazione economica possa migliorare anche attraverso la promulgazione di alcune riforme sociali, come un parziale allentamento dell’obbligo per le donne iraniane di portare l’hijab, il velo islamico, nei luoghi pubblici. Durante un dibattito televisivo su questo tema avvenuto prima del primo turno Pezeshkian aveva collegato esplicitamente la crisi economica iraniana all’isolamento politico del paese: aveva detto che nessuno vuole investirci dato che il paese è incluso nella lista nera della Financial Action Task Force, un’organizzazione intergovernativa che si occupa di osservare i paesi che ritiene non facciano abbastanza per contrastare il traffico illecito di denaro e il finanziamento del terrorismo.

– Leggi anche: Alle elezioni in Iran si parla moltissimo della legge sull’hijab

Pezeshkian è apprezzato dalla classe media e dalle persone giovani che vivono nelle grandi città, ma le sue idee sembrano a molti fin troppo radicali per essere approvate dal resto del regime iraniano e dall’Ayatollah Ali Khamenei, che ha l’ultima parola anche sulla politica estera del paese. Anche per via di questa sfiducia in un reale cambiamento, nonostante Pezeshkian abbia preso il 40 per cento dei voti al primo turno (più o meno gli stessi di Jalili), l’affluenza è stata ai minimi storici. È comunque possibile che questa aumenti ora che c’è una possibilità concreta che Pezeshkian vinca.

– Leggi anche: In Iran ci sarà un ballottaggio tra un riformista e un ultraconservatore

Alle idee riformiste di Pezeshkian si oppongono quelle molto conservatrici di Saeed Jalili, ex segretario del consiglio di Sicurezza nazionale. Pur essendo stato uno dei negoziatori dell’accordo sul nucleare, Jalili è contrario a migliorare i rapporti con l’Occidente e sostiene che l’Iran debba concentrarsi sull’esportazione di petrolio verso paesi non ostili e usare i ricavi per stimolare l’industria interna, con l’obiettivo di rendere in futuro il paese autosufficiente a livello economico.

Queste opinioni sono rafforzate dal fatto che nell’ultimo periodo le esportazioni di petrolio iraniano sono effettivamente tornate a crescere: nel 2024 le esportazioni sono aumentate del 13 per cento rispetto all’anno scorso, secondo le stime della società di analisi Kpler, raggiungendo il record degli ultimi sei anni ad aprile.

Il candidato ultraconservatore Saeed Jalili fa vedere un grafico che mostra la crescita delle esportazioni del petrolio durante un dibattito televisivo contro Massoud Pezeshkian, il 2 luglio 2024 (Morteza Fakhri Nezhad/IRIB via AP)

Questa crescita è attribuibile all’acquisto sempre più ingente di petrolio iraniano da parte della Cina, che però è reso possibile da un alleggerimento ufficioso delle sanzioni degli Stati Uniti: negli ultimi due anni e specialmente dall’inizio della campagna elettorale, l’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha alleggerito l’applicazione delle sanzioni sulle esportazioni di petrolio iraniano per evitare una carenza di forniture di petrolio a livello globale in un momento politicamente instabile. Con ogni probabilità sanzioni più pesanti avrebbero fatto salire il costo della benzina anche negli Stati Uniti, magari facendo calare il consenso nei suoi confronti.

Secondo Pezeshkian fare così tanto affidamento sul petrolio non è saggio ed è comunque un piano che può riuscire solo a metà, almeno fino a quando l’Iran non si sarà adeguato agli standard della Financial Action Task Force: finché il paese sarà nella lista nera di questa organizzazione intergovernativa, infatti, saranno anche limitate le possibilità di investimento in Iran di Cina e Russia. Inoltre un cambiamento politico negli Stati Uniti, che potrebbe succedere presto se Donald Trump vincesse contro Joe Biden alle elezioni presidenziali di novembre del 2024, potrebbe far tornare l’Iran al punto di partenza.

Jalili ha promesso inoltre che se diventerà presidente riporterà l’inflazione sotto il 10 per cento, qualcosa che Pezeshkian ha definito come irrealizzabile nelle circostanze attuali. Durante un dibattito televisivo fra i candidati Pezeshkian ha detto che si sarebbe ritirato dalle elezioni se Jalili si fosse impegnato a «farsi giustiziare se il suo governo non riuscirà a raggiungere un tasso di crescita economica dell’8%».