La causa delle case discografiche contro le società di intelligenza artificiale Suno e Udio

Le hanno accusate di aver usato canzoni protette da diritto d'autore per allenare i software in grado di generare nuovi brani musicali

La home page del sito di intelligenza artificiale generativa Udio, 25 giugno 2024
La home page del sito di intelligenza artificiale generativa Udio, 25 giugno 2024
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Alcune grandi case discografiche statunitensi hanno intentato una causa legale contro due società di software di intelligenza artificiale, Suno e Udio, con l’accusa di aver utilizzato materiale protetto da copyright per allenare l’AI a generare nuovi brani musicali. Tra le compagnie che hanno fatto causa ci sono anche le tre case discografiche più importanti del mondo: Universal, Sony e Warner. Chiedono un risarcimento di 150mila dollari (circa 140mila euro) per ogni brano utilizzato senza licenza, oltre alla diffida a utilizzare materiale protetto da diritto d’autore in futuro.

Servizi come quello offerto da Suno e Udio permettono di usare l’intelligenza artificiale per generare un brano sulla base di alcune semplici richieste dell’utente: il genere musicale (rock o country, per esempio), il ritmo, l’atmosfera e alcune indicazioni per l’eventuale testo. L’account a pagamento di Suno costa 10 dollari al mese e permette di generare fino a 500 brani, che possono essere caricati sulle piattaforme di streaming audio come Spotify, e quindi commercializzati.

Suno e Udio non hanno mai detto pubblicamente che cosa hanno utilizzato per allenare le loro AI. Da tempo però nell’industria musicale si sospetta che abbiano usato album e canzoni (e forse anche interviste, per riprodurre più accuratamente le sfumature della voce umana) di artisti noti, presi quindi dal catalogo delle case discografiche, che ne detengono i diritti d’autore. «La nostra è una tecnologia trasformativa, pensata per generare nuovi brani e non memorizzarne di già esistenti per poi rigurgitarli» ha detto Mikey Shulman, il CEO di Suno. Shulman ha anche sottolineato che Suno non permette all’utente di indicare un artista di riferimento per il brano da creare con l’IA, per sostenere che non si tratti di un sistema che plagia altri musicisti.

Tuttavia le case discografiche, rappresentate in questo caso dalla Recording Industry Association of America, un’associazione di categoria, sostengono che alcuni brani generati dall’IA siano molto simili a quelli originali, e che le voci siano in certi casi indistinguibili da quelle reali. Per esempio, hanno spiegato che quando hanno chiesto a Suno di generare un brano «in stile anni ’50, rock and roll, rhythm and blues, blues 12 battute, rockabilly, con voce maschile energica e un chitarrista cantante», inserendo anche spezzoni del testo originale, è venuto fuori un brano che replicava in modo quasi identico il ritornello di “Johnny B. Goode”, di Chuck Berry. Dicono di aver fatto una prova simile con Udio e di aver ottenuto risultati analoghi.

Ad aprile di quest’anno anche 200 musicisti (tra cui alcuni molto noti come i Pearl Jam, Billie Eilish e Katy Perry) avevano firmato una lettera aperta per chiedere alle società di intelligenza artificiale, e ad altre aziende che lavorano nel settore, di smettere di utilizzare i loro brani per allenare l’AI. «Queste pratiche sono dirette a sostituire il lavoro degli artisti umani con enormi quantità di materiale generato dall’AI, e riducono i compensi dovuti agli artisti per il diritto d’autore».

Suno è nata nel 2022 a Cambridge, la città dove si trova l’Università di Harvard, negli Stati Uniti, mentre Udio è stata fondata a dicembre 2023 da quattro esperti di intelligenza artificiale che prima lavoravano per DeepMind, l’azienda di AI di Google. Le due società di intelligenza artificiale non sono le prime a ricevere denunce per violazione del diritto d’autore.

Due mesi fa otto grandi giornali statunitensi (tra cui anche il New York Times) avevano citato in giudizio OpenAI e Microsoft, le due aziende proprietarie dei chatbot ChatGPT e Copilot, accusandole di aver utilizzato i loro articoli per addestrare i servizi di intelligenza artificiale. A settembre dell’anno scorso anche un gruppo di autori statunitensi aveva denunciato OpenAI con il sospetto che l’azienda avesse usato illegalmente i testi dei loro libri per addestrare ChatGPT.