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  • Martedì 18 giugno 2024

La repressione in Venezuela si vede anche dalle piccole cose

A fine luglio ci saranno le elezioni, e il governo di Nicolás Maduro sta cercando di intimidire non soltanto i politici di opposizione, ma anche i loro sostenitori

La foto mostra una attivista dell'opposizione venezuelana con un facsimile della scheda elettorale che riproduce 13 volte il nome del presidente Nicolás Maduro
Un'attivista dell'opposizione con un facsimile della scheda elettorale che riproduce 13 volte il nome di Nicolás Maduro (AP Photo/Ariana Cubillos)
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Tra poco più di un mese, il 28 luglio, in Venezuela ci saranno le elezioni presidenziali: il presidente Nicolás Maduro, che è in carica dal 2013 e governa il paese con metodi autoritari, cercherà di ottenere un terzo mandato. Sono 25 anni che il suo partito, il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV), è al potere e Maduro è fortemente impopolare: per questo più si avvicina la data del voto più il governo aumenta la repressione, già molto forte, e al tempo stesso cerca di mobilitare i suoi sostenitori.

A marzo il regime venezuelano aveva vietato di partecipare alle elezioni alla leader dell’opposizione, María Corina Machado, e in queste ultime settimane nel paese ci sono stati nuovi arresti e nuove intimidazioni, che hanno colpito anche chi era solo sospettato di simpatizzare per l’opposizione, o di aver aiutato i suoi esponenti. Molto spesso queste forme di repressione sono sottili, molto mirate e a volte assomigliano a piccole vendette.

Il New York Times ha raccontato uno di questi casi, dove le autorità hanno punito qualcuno che non faceva politica direttamente. Un ristorante a conduzione familiare di Corozo Pando, una cittadina con meno di cinquecento abitanti, è stato multato e chiuso per 15 giorni a causa di un accertamento fiscale, avvenuto il giorno stesso in cui le proprietarie avevano servito la colazione a Machado e al suo entourage mentre lei era in visita nella regione, una delle più povere del Venezuela.

In vent’anni di attività il ristorante, che si trova a più di cinque ore di macchina a sud della capitale Caracas, non aveva mai ricevuto ispezioni delle forze dell’ordine. Per questo sono sospette le tempistiche dell’accertamento fiscale, avvenuto poco dopo la ripartenza di Machado.

Quando la notizia si è diffusa, Machado è tornata e si è fatta fotografare insieme alle titolari davanti al cartello con scritto “chiuso”; è seguita una mobilitazione online per aiutare il ristorante a pagare la multa. In segno di solidarietà, dall’estero sono arrivate ordinazioni online con l’indicazione di destinarle agli indigenti e il ristorante ha ribattezzato la sua specialità Las empanadas de la libertad (“le empanadas della libertà”).

In altri casi, però, la repressione è stata ben più dura. Per esempio sei tecnici audio che avevano lavorato per un comizio di Machado, racconta sempre il New York Times, sono stati arrestati e tenuti in cella per ore senza ricevere spiegazioni.

A un camionista è stato sequestrato per quasi due mesi il camion, da cui dipende la sua sussistenza, perché aveva trasportato materiale a un evento dell’opposizione. Sono state sequestrate le canoe usate da Machado e altri candidati per attraversare un fiume. L’hotel che l’ha ospitata, nella regione occidentale di Zulia (quella di Maracaibo), oggi risulta chiuso.

La repressione era aumentata già prima dell’annuncio della ricandidatura di Maduro, avvenuto a metà marzo. A febbraio il presidente aveva ordinato un’operazione chiamata Furia Bolivariana, dal nome di Simón Bolívar, il protagonista della liberazione del Sudamerica dalla dominazione spagnola nel diciannovesimo secolo, molto celebrato in tutto il continente, a cui il predecessore di Maduro, Hugo Chávez, ispirò la «rivoluzione» socialista nel paese, chiamato da allora in poi Repubblica Bolivariana del Venezuela. Nonostante la retorica patriottica, l’operazione consiste in un dispiegamento di polizia e soldati nelle strade delle città contro quelli che il regime definisce «i terroristi e i colpi di stato», ma che in realtà sono operazioni di repressione contro l’opposizione. Lo slogan Furia Bolivariana è anche stato scritto minacciosamente su alcune sedi vandalizzate dei partiti dell’opposizione.

La foto mostra la leader dell'opposizione Mariana Corina Machado insieme al candidato alle presidenziali Edmundo González Urrutia durante un comizio del 31 maggio

La leader dell’opposizione María Corina Machado insieme al candidato alle presidenziali Edmundo González Urrutia durante un comizio, il 31 maggio (AP Photo/Ariana Cubillos)

Già ad aprile, Amnesty International ha denunciato un «picco di arresti arbitrari, sparizioni forzate, abusi del codice penale, campagne di stigmatizzazione e possibili atti di tortura nei confronti di persone ritenute critiche del governo di Nicolás Maduro»: tutto questo in un paese dove ci sono almeno 278 prigionieri politici secondo Foro Penal, una ong con sede a Caracas.

Un’altra ong, Provea, ha documentato più di 43mila casi di violazioni dei diritti – inclusi 1.652 casi di tortura e 7.309 di trattamenti crudeli o degradanti – negli 11 anni al potere di Maduro. Provea è stata recentemente dichiarata un’associazione «nemica del popolo» dal governo e ha dovuto mettere in sicurezza la sua sede a Caracas, con finestre antiproiettile e a prova di granata.

– Leggi anche: Anche le prossime elezioni in Venezuela non saranno democratiche

Dall’inizio dell’anno il governo di Maduro ha fatto incarcerare diversi oppositori e anche vari membri dello staff di Machado: almeno 37 persone, secondo i media dell’opposizione. Tra venerdì e sabato scorso sono stati arrestati altri tre militanti dell’opposizione, tra i quali il giornalista Luis López. Ai tre arrestati, accusati di “istigazione all’odio”, è stato vietato tra l’altro di ricevere visite dei parenti e all’inizio non è stato chiaro in quale carcere fossero stati portati: probabilmente all’Helicoide, la più grande prigione politica del Venezuela, nota per i casi di tortura.

Uno dei tre, un dirigente dell’ala giovanile del partito Vente Venezuela, è stato infine liberato lunedì sera. Machado ha parlato di arresti «illegali e arbitrari», finalizzati a intimidire l’opposizione.

La foto mostra il presidente venezuelano Nicolás Maduro tra la folla a Maracaibo

Il presidente venezuelano Nicolás Maduro tra la folla a Maracaibo (Miraflores Press via Ansa)

I sondaggi indipendenti condotti in Venezuela mostrano che nonostante la repressione il candidato dell’opposizione unita – scelto dopo che il regime ha escluso Machado dalle elezioni – raccoglierebbe più consensi di Maduro. Si chiama Edmundo González Urrutia, ha 74 anni ed è sostenuto della principale coalizione d’opposizione, Piattaforma unitaria democratica (PUD).

Secondo questi sondaggi González otterrebbe il 50 per cento delle intenzioni di voto, contro il 32 per cento di Maduro e della sua coalizione. I condizionali dipendono dal fatto che in Venezuela le elezioni non sono democratiche. La reazione del governo dimostra però che c’è una certa preoccupazione all’interno del sistema di potere socialista.

Benché non abbia potuto candidarsi, Machado resta la figura più carismatica e visibile dell’opposizione. Sta facendo una campagna peculiare che El País ha definito quella di una «candidata-non-candidata», accompagnando spesso González, che era meno conosciuto e riconoscibile di lei, nelle occasioni pubbliche. Da mesi i candidati dell’opposizione girano il paese, radunando manifestazioni molto partecipate. La strategia del governo per non perdere voti sembra comprendere inviare il vice di Maduro, Diosdado Cabello, nelle stesse identiche aree visitate da González e Machado, subito dopo di loro.

La foto mostra la leader dell'opposizione venezuelana Maria Corina Machado durante un comizio ad Aragua

Maria Corina Machado durante un comizio ad Aragua (Jesus Vargas/Getty Images)

Intanto il Partito Socialista di Maduro sta provando a mobilitare i militanti. A ognuno di loro viene chiesto di inserire in un database dieci nomi di persone da portare ai seggi il 28 luglio. Una richiesta analoga viene fatta ai moltissimi dipendenti pubblici.

Una strategia simile viene perseguita sui social media. Sui profili del presidente ci sono video in cui vengono date istruzioni esplicite su come condividere i suoi contenuti ai propri contatti. Negli stessi post il presidente si lamenta di subire una censura, da lui chiamata bloqueo digital (“blocco digitale”), che in realtà non esiste.

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È vero il contrario. Maduro comunica moltissimo attraverso i social, da ultimo TikTok. Su X (ex Twitter) fa dirette assiduamente: a giugno lo ha fatto più di 35 volte, anche più di quattro volte al giorno. Conduce una specie di videopodcast e accenna anche mosse di ballo come quelle di moda su TikTok.

«La propaganda del regime di Nicolás Maduro è una di quelle più distribuite sulle piattaforme social, nonostante queste stesse piattaforme abbiano restrizioni per la propaganda politica», ha spiegato il sito specializzato ProBox Digital Observatory. I contenuti di Maduro circolano molto perché vengono sponsorizzati e perché il governo paga alcuni utenti per simulare interazioni spontanee.

Il governo venezuelano ha da poco ritirato l’invito agli osservatori dell’Unione Europea per le elezioni del 28 luglio. Nello staff di González, il candidato dell’opposizione, si teme che a ridosso del voto possa arrivare un divieto simile a quello imposto a Machado.

La settimana scorsa il comunicato conclusivo del G7 in Puglia ha espresso, tra le altre cose, «preoccupazione per il protrarsi della crisi politica, economica e umanitaria in Venezuela» e ha invitato il governo a «garantire elezioni competitive e inclusive il 28 luglio». Il Venezuela è l’unico paese del Sudamerica sotto indagine da parte della Corte penale internazionale per possibili crimini contro l’umanità.