Per qualcuno WhatsApp è anche un social network

Nella sezione "Aggiornamenti" dell'app di messaggistica c'è tutto un mondo, animato da giovanissimi o da persone sopra una certa età

(il Post)
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Ester ha ottantotto anni, e da sei ha imparato a usare WhatsApp per chiacchierare con le amiche e tenersi compagnia a vicenda. Da qualche tempo ha scoperto la sezione “Aggiornamenti”, quella dove gli utenti dell’applicazione possono pubblicare gli “stati” – foto, video o link che scompaiono dopo ventiquattr’ore e che sono visibili soltanto ai propri contatti – e se ne è innamorata. Da allora pubblica vari stati al giorno: per dare il buongiorno e la buonanotte ai propri contatti con scritte sgargianti, per fare gli auguri di compleanno alle amiche del cuore, per condividere l’aforisma del giorno che trova su un calendario che le hanno regalato. «Mi piace molto», racconta. «Vado a vedere gli stati delle persone che ho sul telefono e mi piace andare a vedere chi guarda il mio stato: per esempio stamattina mio figlio l’ha fatto, e sono già contenta. Vuol dire che qualcuno mi pensa, che mi segue».

Se si chiede a qualcuno che ha tra i venti e i quarant’anni cosa pensa degli stati su WhatsApp, è probabile che risponda che sono una cosa da “boomer”; dirà che usa solo la schermata delle chat dell’app, ignorando totalmente tutto quello che avviene tra gli Aggiornamenti, a cui non accede mai. Meta, l’azienda a cui WhatsApp appartiene, non mette a disposizione dati specifici sulle persone che fanno maggiore utilizzo di questa funzione, ma è vero che la funzione è tendenzialmente poco di moda tra i giovani. 

Questo non vuol dire però che non ci siano varie categorie di persone che, a prescindere dall’età, li trovano utili per un motivo o per l’altro. È il caso di tantissime persone che non hanno profili su altri social network, ma vogliono comunque condividere pensieri e momenti della quotidianità con i propri contatti: succede tra molte persone sopra i quarant’anni, ma anche tra i ragazzini di prima o seconda media che hanno ottenuto il primo smartphone ma non hanno ancora l’età per aprire un profilo su Instagram.

A loro si aggiungono organizzatori di eventi e liberi professionisti che vogliono mantenere un contatto con i clienti senza contattarli direttamente: parrucchieri o estetisti che condividono materiali promozionali, fruttivendoli che mostrano i prodotti stagionali appena arrivati, addirittura medici che ricordano gli orari di apertura del proprio studio. 

In termini di contenuti, negli stati di WhatsApp si può trovare la stessa enorme varietà che si trova su qualsiasi altro social network: citazioni celebri e selfie con gli amici, foto delle vacanze, della cena fuori, del gatto, dei figli, screenshot di articoli, contenuti complottisti o sull’oroscopo, video di concerti. Online, poi, è facilissimo trovare decine di blog e siti che consigliano frasi e aforismi da proporre nel proprio stato quando non si sa cosa pubblicare, sotto titoli come «Stato di WhatsApp: frasi belle e divertenti, brevi e originali. Da prendere in prestito».

Un desiderio piuttosto comune è quello di voler aggiornare i propri contatti su ciò che accade nella propria vita senza però cercare un pubblico più ampio, come potrebbe accadere su Instagram, Facebook o, su una scala ancora maggiore, TikTok e YouTube. Per vedere lo stato di WhatsApp di qualcuno, infatti, non è sufficiente avere il suo numero: la presenza nella rubrica deve essere reciproca. Ognuno, poi, può decidere se escludere specifici contatti dalle persone che possono visualizzare il proprio stato.

Quanto si voglia condividere della propria vita privata, poi, è una questione di sensibilità personale, esattamente come su Facebook o Instagram. Ester, per esempio, qualche mese fa ha perso l’equilibrio, è caduta e si è fatta male alla testa: quando è arrivata in ospedale ha pubblicato una foto della ferita che ha attirato moltissima attenzione tra i suoi contatti. «Mi hanno chiamata tutti per chiedermi come stavo. È stato molto importante, mi hanno fatto compagnia mentre ero in ospedale», racconta. 

«La mia scelta è di non pubblicare cose particolarmente personali, perché non mi va che tutti i miei contatti sappiano che sono a Bologna oppure al mare», dice invece Federica, che ha cinquant’anni, lavora come impiegata da Gucci e pubblica spesso stati su WhatsApp. Nel corso degli anni, spiega, ha raccolto moltissimi contatti, soprattutto per via delle due figlie, che oggi hanno 18 e 22 anni: tuttora sul cellulare ha i numeri dei genitori dei loro ex compagni di classe, degli istruttori degli sport che hanno praticato, dei catechisti, degli insegnanti. «Quindi ho creato un profilo su Instagram privato dove accetto pochi follower, quelli che sono contenta che sappiano dei miei movimenti. Su WhatsApp pubblico cose che mi interessa tutti sappiano: locandine di incontri dove vorrei invitare tutti, oppure l’anniversario della morte di qualcuno». 

Usa gli stati in modo simile anche Chiara, insegnante fiorentina di 47 anni: «Contengono informazioni su eventi che vorrei in qualche modo spingere. Durante le elezioni, negli anni in cui sono stata molto convinta del mio voto, ho consigliato anche candidati e candidate. In altri momenti condivido cose relative all’attualità e spesso riposto notizie: ultimamente ho pubblicato molte cose sulla guerra nella Striscia di Gaza», spiega. «Mi sono resa conto che le storie non dovevano necessariamente avere una valenza soltanto personale, ludica e ricreativa, ma che potevo anche condividere contenuti importanti e sperare di raggiungere tante persone». 

Non capita spesso che qualcuno risponda: come succede anche su Instagram, sono molte di più le persone che osservano silenziosamente rispetto a quelle che cercano uno spunto di conversazione. La trentatreenne Ludovica, però, dice che pubblicare stati su WhatsApp può avere senso nel momento in cui, da single, si prova interesse per una persona che non ha un profilo su altri social network, con la speranza di attirarne l’attenzione. «L’unica volta che ho avuto la tentazione di usare WhatsApp in quel modo è stato quando avevo una cotta per uno che non aveva Instagram e volevo vedere se avrebbe guardato un mio stato», spiega. «Poi, per fortuna, sono tornata in me».

Poi ci sono professionisti che negli ultimi anni hanno adottato WhatsApp per comunicare con i propri clienti, anche grazie a un grosso investimento di Meta nello sviluppo di funzionalità pensate proprio per le aziende, tra cui il lancio dell’applicazione WhatsApp Business. Simonetta, che ha 64 anni e gestisce un piccolo bed and breakfast nel centro di Roma, dice che pubblica cose molto diverse a seconda del numero che utilizza: «per il mio numero privato scelgo principalmente belle foto di località diverse, oppure immagini artistiche o ancora messaggi importanti: per esempio di recente ho ricordato ai miei contatti di andare a votare», dice. «Sul mio numero di telefono di lavoro invece pubblico esclusivamente foto di Roma o della Città del Vaticano: servono a mantenere viva l’attenzione sulla città e a sapere quali dei miei clienti hanno salvato il mio numero».

Se non è strano che molti liberi professionisti utilizzino gli stati, questo vale però anche per le persone che svolgono professioni più precarie e difficili da inquadrare da un punto di vista legale. È sicuramente il caso di escort, stripper e altre sex worker, che spesso pubblicano negli stati informazioni sui club in cui si esibiranno, o foto ammiccanti. Meta, però, come società negli ultimi anni ha lavorato molto per assicurarsi che i contenuti sulle piattaforme che gestisce – oltre a WhatsApp anche Instagram e Facebook – siano «appropriati per tutti», e quindi ha delle regole molto stringenti relative «alla nudità e all’adescamento», pur consentendo contenuti e discussioni a sfondo sessuale entro certi limiti, nebulosi. Negli ultimi mesi, per esempio, ci sono stati vari casi di sex worker che hanno raccontato di essere state bandite dall’applicazione senza spiegazione, pur non utilizzandola per vendere servizi sessuali o per pubblicizzarli.

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Fanno un uso ancora un po’ diverso della stessa funzionalità anche i ragazzini più giovani, che usano WhatsApp come primo approccio ai social network. L’età minima per iscriversi legalmente a Instagram è di 13 anni, e molti genitori cercano di ritardare il più possibile il momento in cui i figli apriranno un proprio profilo sui social network, per via dei molti stimoli e contenuti pensati per un pubblico più adulto che è possibile trovarvi. Oggi, però, capita molto spesso che i ragazzi ricevano il primo primo smartphone tra gli 8 e gli 11 anni e installino immediatamente WhatsApp, dato che permette di comunicare velocemente e gratuitamente con la famiglia e di entrare a far parte di gruppi condivisi con i compagni di classe.

In teoria, l’età minima per creare un profilo su WhatsApp nell’Unione Europea è di 13 anni, e fino a pochi mesi fa era ancora più alto, 16. Questa regola, però, è osservata molto di rado, anche perché l’app non suscita di norma nei genitori la stessa preoccupazione dei social social network veri e propri, che permettono potenzialmente a chiunque di provare a entrare in contatto con qualsiasi utente. WhatsApp dà qualche garanzia di riservatezza e controllo in più, dato che è possibile contattare qualcuno (e vederne gli stati) solo una volta in possesso del suo numero di cellulare. 

«Io e i miei compagni di classe pubblichiamo spesso stati per fare gli auguri ai nostri genitori o amici nei giorni dei loro compleanni, oppure se facciamo delle esperienze specifiche: se vado al museo metto la foto di un quadro, se vado a mangiare fuori la foto del cibo che ho preso», dice Nina, che ha undici anni. «Ci rispondiamo al massimo per dire “che bello! Che buono che sembra questo cibo! Auguri!”, ma non nascono particolari conversazioni». 

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Un passatempo piuttosto diffuso è poi quello di condividere nel proprio stato un link a piattaforme come NGL, che permettono a chiunque ne abbia il link di fare domande o commenti in anonimo. È un meccanismo che online esiste da più di un decennio, portato avanti prima di NGL da piattaforme celebri come Ask.fm: serve soprattutto a permettere ai propri amici, compagni e conoscenti di confessare cotte e segreti o condividere complimenti, protetti dall’anonimato.

«Gli stati di WhatsApp si usano soprattutto tra la quinta elementare e la seconda media: poi ci si sposta su Instagram», racconta Tommaso, che ha tredici anni e negli ultimi tempi ha cominciato a vedere WhatsApp sempre meno come un social network e sempre più come una semplice app di messaggistica. «Prima pubblicavo foto con gli amici, scritte per il compleanno tuo o di qualcun altro, video per la fine della scuola o auguri di natale, catene che dicevano cose come “rispondimi con un’emoji se mi consideri tuo amico”. Ma il passaggio da un social all’altro si fa in modo spontaneo. Vedi che tutti gli altri, soprattutto gli adulti, usano Instagram e lo vuoi fare anche tu, per sentirti più grande. E quindi WhatsApp non ti serve più».

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