Gli “sherpa” fanno funzionare il G7

Il lavoro dei consiglieri diplomatici è riservato e poco visibile, ma decisivo affinché anche questa riunione dei leader mondiali vada a buon fine

Il presidente francese Emmanuel Macron col suo consigliere diplomatico e sherpa al G7 Emmanuel Bonne (alla sua destra) e i suoi consiglieri nei giardini dell'Eliseo in attesa di ricevere il presidente americano Joe Biden, l'8 giugno 2024 (Amaury Cornu/HANS LUCAS)
Il presidente francese Emmanuel Macron col suo consigliere diplomatico e sherpa al G7 Emmanuel Bonne (alla sua destra) e i suoi consiglieri nei giardini dell'Eliseo in attesa di ricevere il presidente americano Joe Biden, l'8 giugno 2024 (Amaury Cornu/HANS LUCAS)

I cosiddetti “sherpa” sono fondamentali nell’organizzazione del G7, la riunione di sette delle più influenti democrazie del mondo. Sull’origine del nome di questi consiglieri diplomatici e su quando quel termine sia stato sdoganato neppure i diretti interessati hanno certezze, ma concordano sul fatto che il paragone con le guide himalayane sia azzeccato. «Apriamo la strada, la teniamo al sicuro, evitiamo che ci siano incidenti, indichiamo in anticipo i possibili inciampi, e quasi sempre facciamo in modo che si raggiunga la vetta», era solito dire Jacques Audibert, consigliere diplomatico del presidente francese François Hollande tra il 2014 e il 2017.

È un modo per rappresentare questo lavoro simile a quello utilizzato in tempi più recenti da Jörg Kukies, che è sherpa del cancelliere tedesco Olaf Scholz e suo storico collaboratore da anni. Se insomma i capi di Stato e di governo di Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Germania, Italia e Giappone ogni anno arrivano a conclusioni condivise sulle principali questioni globali al termine di una lunga riunione, ciò lo si deve in gran parte al lavoro solerte e riservato di questi funzionari.

A nominarli sono i capi di Stato e di governo. In Francia e Italia per tradizione si scelgono diplomatici d’alto rango, e infatti lo sherpa di Emmanuel Macron è l’ambasciatore Emmanuel Bonne, che è anche il consigliere diplomatico del presidente; nei paesi anglosassoni, invece, spesso si privilegiano funzionari esperti di economia, e ciò riflette la funzione originaria del G7, nato negli anni Settanta come un forum di coordinamento economico e finanziario delle principali democrazie occidentali (la prima riunione fu a quattro, poi si aggiunsero Giappone, Italia e dopo ancora il Canada). Lo sherpa di Joe Biden è Mike Pyle, un ex dirigente di una delle più grandi società d’investimento al mondo (BlackRock) e vice consigliere sulla sicurezza nazionale con delega alle questioni economiche.

In Italia è il presidente del Consiglio che decide a chi affidare la responsabilità dell’organizzazione del lavoro diplomatico in vista del G7 e del G20, la riunione dei venti più importanti paesi al mondo. Molto spesso la funzione viene assegnata al consigliere diplomatico, che è di solito un ambasciatore scelto dal capo del governo e che ne cura le relazioni internazionali, fornendo indicazioni e suggerimenti al riguardo. È stato così quasi sempre nel recente passato. Per Meloni, invece, la definizione degli incarichi nell’ufficio diplomatico di Palazzo Chigi è stata piuttosto tumultuosa, e alla fine ha scelto di affidare i compiti a due persone diverse.

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz insieme al suo sherpa Jörg Kukies durante il G7 di Hiroshima, in Giappone (Michael Kappeler/dpa)

All’inizio del dicembre scorso, infatti, Meloni aveva nominato come suo nuovo consigliere diplomatico Fabrizio Saggio, sostituendo così Francesco Maria Talò, che era stato costretto a dimettersi dopo lo scherzo telefonico subìto da Meloni, organizzato da due comici russi. Luca Ferrari era invece rimasto in carica come sherpa per il G7 e il G20 fino al marzo scorso, quando, con una decisione sorprendente che generò parecchie perplessità anche tra i collaboratori del ministro degli Esteri Antonio Tajani, Ferrari venne rimpiazzato da Elisabetta Belloni.

Fu una scelta inconsueta da un lato perché Belloni, ambasciatrice di lunghissima esperienza che gode di apprezzamenti trasversali, è anche il capo dei nostri Servizi segreti e ha deciso di mantenere quell’incarico; dall’altro perché la sostituzione è avvenuta nel corso dell’anno in cui l’Italia detiene la presidenza di turno del G7, in un momento in cui Ferrari aveva già avviato il lavoro preparatorio.

L’attività dello sherpa inizia infatti ben prima dell’incontro dei leader. Quasi sempre entro la prima metà di gennaio lo sherpa del paese presidente del G7 condivide coi suoi omologhi un calendario dei lavori, che di solito contempla almeno una riunione, quella iniziale, in presenza, e poi una serie di incontri da svolgere eventualmente anche in videoconferenza. Gli sherpa devono seguire anche i vertici ministeriali, cioè le riunioni che i ministri del G7 competenti sulle stesse materie tengono nel corso dell’anno. In questo 2024, sotto la presidenza di turno italiana, ne sono stati programmati 21. Inoltre gli sherpa accompagnano il presidente di turno nei viaggi ufficiali che compie nella prima parte dell’anno, per incontrare gli altri leader del G7: sono incontri preparatori formali che servono a imbastire le trattative e a definire le priorità su cui poi ci si tornerà a confrontare nei mesi seguenti.

Elisabetta Belloni, direttrice del Dipartimento delle informazioni per la sicurezza, e sherpa G7-G20 di Giorgia Meloni, durante un convegno alla Camera dei deputati, il 6 marzo 2024 (ANSA/FABIO FRUSTACI)

Per molti aspetti gran parte dell’agenda su cui si discuterà è già definita: un po’ perché, per prassi consolidata, ogni presidenza di turno si muove in continuità con quella precedente, lungo un percorso che prosegue da anni. E un po’ perché le eventuali novità riguardano quasi sempre eventi eccezionali che si impongono come prioritari di per sé, come una guerra, una crisi diplomatica o finanziaria, o altro.

In ogni caso, gli sherpa hanno il compito di provare a integrare quest’agenda con i temi che stanno particolarmente a cuore al proprio leader, per ragioni pratiche, ideologiche o anche di propaganda. Meloni ha così ottenuto di inserire tra i temi di discussione l’intelligenza artificiale, su cui già la presidenza giapponese nel 2023 aveva posto una certa attenzione, la questione africana e del Mediterraneo e la sicurezza alimentare.

I negoziati sono lunghi e delicati. I sette paesi sono solidi alleati e di base condividono una certa visione del mondo, ma sulle singole questioni è frequente che le opinioni divergano. Per questo il lavoro diplomatico degli sherpa è decisivo: il loro scopo fondamentale è quello di scrivere un corposo documento che verrà poi approvato dai leader e costituirà le cosiddette conclusioni, una sorta di lungo manifesto in cui l’Occidente esprime le proprie priorità, i propri obiettivi, i propri valori al resto del mondo. Questo documento viene scritto dagli sherpa: si parte di solito dalle conclusioni degli anni precedenti e su quella base si inseriscono nuovi punti, si limano alcune espressioni, si correggono alcuni passaggi.

Il lavoro in questa fase prevede di ricorrere a tutti gli strumenti della diplomazia: provare a convincere gli alleati, cercare di ammorbidire le resistenze degli interlocutori, fare concessioni su alcuni punti e chiedendone su altri.

Questi negoziati avvengono non solo nelle riunioni ufficiali, quando tutti gli sherpa sono presenti, ma anche attraverso conversazioni riservate, più o meno informali, messaggi privati, telefonate. Alla fine degli anni Novanta, quando ancora le comunicazioni erano quasi tutte cartacee, i consiglieri diplomatici provarono ad ammonticchiare per gioco tutti i fax e le lettere e i dispacci ricevuti nell’anno di presidenza italiana del G7, e ne venne fuori una pila alta un metro e mezzo.

Capita che sui punti più controversi le trattative si protraggano per giorni e settimane, fino a ridosso della riunione dei leader, che è il momento più importante. Anzi, spesso è proprio quella la fase decisiva dove si superano le rimostranze e le obiezioni residue.

A differenza però di quanto accade nei Consigli Europei, dove i diplomatici lasciano spesso che alcuni dei punti più controversi delle conclusioni vengano discussi nel dettaglio dai leader, nel caso del G7 si tende a limare il più possibile il testo del documento finale prima ancora che la riunione decisiva cominci, così da consentire ai capi di Stato e di governo di concentrarsi sulle questioni politiche senza affannarsi in discussioni sui singoli passaggi. Le frasi su cui ci sono maggiori tensioni, segnalate nelle bozze in rosso o messe tra parentesi, vengono infatti riscritte e corrette nel corso dei lavori preparatori, così da renderle accettabili per tutti.

In questo processo, per gli sherpa è molto prezioso il lavoro dei loro collaboratori: i sous-sherpa (o vice-sherpa), e i consiglieri. La struttura è tripartita: c’è di solito un sous-sherpa del ministero degli Esteri, che attualmente è Giampaolo Cutillo; un sous-sherpa per le questioni finanziarie scelto dal ministero dell’Economia, che ha indicato in questo caso il direttore generale del Tesoro, Riccardo Barbieri; e poi vari consiglieri che lavorano più stabilmente con lo sherpa e fanno capo all’ufficio del consigliere diplomatico di Palazzo Chigi, coordinati da Fausto Panebianco, diplomatico che svolge quell’incarico fin dal 2019.

Queste figure di secondo livello in realtà svolgono un lavoro importante nei negoziati. Di solito infatti i loro incarichi sono immuni dai sommovimenti politici che ciclicamente portano alla sostituzione dei responsabili degli sherpa, e quindi finiscono con l’essere le persone con maggiore memoria di quanto accaduto negli anni precedenti.

Per questo succede che quando un certo paese avanza una proposta controversa, o si oppone a una certa formulazione ipotizzata da altri, siano proprio questi funzionari a ricordare se e come quella stessa faccenda fosse stata già affrontata in anni precedenti. Oppure mostrano l’incoerenza di una posizione assunta da un certo paese rispetto a quanto fatto da quello stesso paese nel recente passato.

È grosso modo quanto sta succedendo intorno al passaggio sul diritto all’aborto in discussione in queste ore tra gli sherpa durante il G7 di Borgo Egnazia, in Puglia. I diplomatici francesi, d’intesa con quelli europei e coi canadesi, hanno infatti proposto di rafforzare la frase sull’«accesso all’aborto sicuro e legale e alle cure post-aborto» inserita nel 2023 al G7 di Hiroshima, in Giappone. L’Italia si sta opponendo a questa proposta, e anzi ipotizza una formulazione più simile a quelle contenute nelle conclusioni dei G7 del 2021 e 2022 presieduti da Regno Unito e Germania, in cui l’aborto non era esplicitamente indicato. I negoziati sono ancora in corso, ma giovedì il presidente francese Emmanuel Macron ha detto che si «rammarica» della posizione dell’Italia sull’interruzione volontaria di gravidanza e che continuerà a difendere «con forza» il diritto di praticarla. Dopo poco ha replicato anche Meloni, parlando con la stampa: «Non c’è alcuna ragione di polemizzare su temi che già da tempo ci trovano d’accordo. E credo sia profondamente sbagliato, in tempi difficili come questi, fare campagna elettorale utilizzando un forum prezioso come il G7».

Il premier canadese Justin Trudeau riceve suggerimenti da David Morrison, il suo sherpa, durante il G7 del 2023 a Hiroshima, in Giappone (Adrian Wyld/The Canadian Press)

Il lavoro degli sherpa trova poi il momento culminante proprio durante l’incontro dei leader. A differenza di quanto accade nei Consigli Europei e nella maggior parte dei vertici della NATO, dove i consiglieri diplomatici sono relegati in stanze attigue a quelle in cui i capi di Stato o di governo discutono riservatamente, le riunioni del G7 prevedono di norma la partecipazione diretta degli sherpa che siedono alle spalle dei loro presidenti, e intervengono su richiesta di questi ultimi. Poi può succedere che i leader concordino di svolgere alcune parti dell’incontro da soli, chiedendo agli sherpa di uscire. Ma nei giorni della riunione dei leader gli sherpa curano anche l’organizzazione e la preparazione degli incontri bilaterali, cioè dei colloqui che ciascun capo di Stato o di governo tiene, di volta in volta, con altri singoli interlocutori.

Il compito degli sherpa non si conclude qui, però. Dopo la fine della riunione dei leader del G7, i consiglieri continuano a incontrarsi o a sentirsi per definire i dettagli di altri documenti collegati alle conclusioni, o per attuare misure decise durante l’incontro.

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