È stata identificata la stanza vuota più misteriosa di Internet

Una fotografia scattata in Wisconsin aveva catalizzato discussioni e ispirato video, podcast e perfino un film, per via del fascino che esercitano i cosiddetti “spazi liminali”

La foto che ha dato inizio alla storia delle Backrooms
La foto che ha dato inizio alla storia delle Backrooms
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Il 12 maggio del 2019 sulla bacheca /x/paranormal di 4chan, uno degli spazi digitali più floridi per la creazione e la circolazione di meme, un utente chiese agli altri di «pubblicare immagini inquietanti che dessero l’idea di avere qualcosa che non va». Tra le varie risposte spiccava in particolare la foto di una grande stanza dalle pareti giallognole, simile a un grande ufficio svuotato, priva di alcun tipo di ulteriore informazione o segno identificativo.

La foto era accompagnata da un commento vagamente minaccioso, di difficile comprensione: «Se non presti attenzione ed esci dal campo del reale nella direzione sbagliata finirai nelle Backrooms [“le stanze sul retro” in inglese], dove non c’è altro che la puzza di una vecchia moquette umida; un folle giallino monocromo; il rumore di fondo delle luci fluorescenti che ronzano all’infinito e circa seicento milioni di miglia quadrate di stanze vuote in cui rimarrai intrappolato. Solo Dio può salvarti se senti qualcosa che si aggira nelle vicinanze, perché sicuramente anche quella cosa ha sentito te».

La foto e il testo che la accompagnava cominciò prestissimo a circolare su altre piattaforme come Reddit, Twitter e TikTok, attirando l’attenzione di una vasta comunità di persone appassionate di storie horror, spesso note con il nome di creepypasta. Nell’arco di pochi mesi, attorno alla singola foto di una stanza un po’ inquietante venne creata tutta una narrazione collettiva che partiva dall’idea che fosse possibile raggiungere un universo parallelo: quello delle Backrooms. Ne sono nati videogiochi, podcast, comunità da decine di migliaia di persone tra Reddit, Discord e YouTube e anche una serie di video su YouTube che hanno ottenuto talmente tanto successo da permettere al loro creatore di ottenere un contratto per farne un film prodotto da A24, una delle più apprezzate case di produzione indipendenti in circolazione.

Per cinque anni – dal 2019, appunto – una parte di questo gruppo di appassionati molto attivo ha impiegato molte delle proprie energie nell’individuare l’origine della fotografia da cui è partito l’intero fenomeno delle Backrooms. L’hanno fatto in modo sistematico, come se fossero investigatori o videogiocatori intenti a risolvere un enigma per avanzare di livello, ma sembrava particolarmente difficile venirne a capo. Poi, il 31 maggio del 2024, un utente qualsiasi su Twitter ha annunciato di esserci riuscito.

«L’utente che l’ha scoperta supponeva che l’immagine originale fosse più vecchia del 2019, anche se il post più vecchio di cui eravamo a conoscenza finora era del 2019», spiega la storica dell’arte ed esperta di estetiche digitali Valentina Tanni, che alle Backrooms ha dedicato un lungo capitolo del suo saggio Exit reality. Vaporwave, backrooms, weirdcore e altri paesaggi oltre la soglia (che peraltro è uno dei 16 libri candidati al Premio Vero, un premio per libri di non fiction organizzato dal Post e dalla Fondazione Peccioliper).

«4chan non possiede un archivio consultabile, quindi era difficilissimo scoprire se esistesse un post precedente con la stessa immagine», dice Tanni. «Ma esistono dei siti su cui vengono caricati alcuni backup degli archivi di 4chan, e questa persona li ha consultati manualmente fino a trovare un post del 2011 che conteneva la stessa foto. Da lì ha trovato il nome originale del file, che era uno di quei nomi generici assegnati automaticamente dalle macchine fotografiche, e cercando quel nome su Twitter ha scoperto un tweet del 2019 in cui qualcun altro aveva già trovato la fonte dell’immagine, ma nessuno gli aveva dato retta. E la gente ha continuato a cercare la stessa immagine, senza trovarla, per cinque anni».

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La scoperta dell’origine dell’immagine è stata accolta dagli utenti che se ne erano interessati in tanti modi diversi: alcuni hanno esultato, molti altri hanno detto che avrebbero preferito continuare a immaginarsela come una foto misteriosa, comparsa dal nulla. In realtà si trattava di un locale appartenente alla catena statunitense di oggettistica e giocattoli HobbyTown nella cittadina di Oshkosh, in Wisconsin, che oggi è stato convertito in una pista da corsa per auto radiocomandate. La foto, scattata nel 2002, era stata pubblicata inizialmente sul sito del negozio per mostrare l’andamento dei lavori di ristrutturazione in corso, e aveva poi con ogni probabilità cominciato a circolare su 4chan perché rifletteva accuratamente molti dei criteri propri delle cosiddette foto di “liminal spaces”, o “spazi liminali”.

Secondo Aesthetics Wiki, un sito dedicato alla spiegazione di alcune sottoculture digitali, rientrano nella categoria di spazi liminali quei luoghi che appaiono in una foto come «abbandonati, e spesso vuoti – un centro commerciale alle quattro del mattino, oppure l’atrio di una scuola durante il periodo estivo» e che «appaiono come congelati e lievemente inquietanti, ma anche familiari per la nostra mente». Come spiega Tanni in Exit reality, «l’atmosfera può oscillare tra un vago senso di desolazione, una forte inquietudine e una generica nostalgia»: sono foto «quasi sempre sgranate, povere, talvolta persino distorte. La luce è quella invadente e spigolosa del flash automatico; i colori sono impastati e spenti; le prospettive sempre sbilenche e instabili».

Le fotografie di spazi liminali affollano siti dedicati al tema – come il subreddit r/liminalspace – ma vengono anche messe insieme a formare lunghi video dall’atmosfera misteriosa su YouTube e TikTok. Molte delle immagini sono generate attraverso sistemi di intelligenza artificiale oppure create digitalmente, ma altre ritraggono luoghi che esistono davvero: uno degli spazi liminali più famosi di internet, per esempio, è il cortile dell’albergo Holiday Inn all’interno dell’aeroporto londinese di Heathrow. Raffigura una corte interna, stranamente coperta da un soffitto, su cui si affacciano le finestre delle stanze, ordinate in file regolari.

L’Holiday Inn dell’aeroporto di Heathrow

Attorno alla foto dell’HobbyTown di Oshkosh, però, si è creato un fenomeno digitale notevole, anche se non unico nel suo genere. In un pezzo su Forbes, il giornalista Dani Di Placido scrive che le Backrooms vanno considerate sostanzialmente una forma di “folklore digitale”: un mito popolare che si è generato attraverso l’elaborazione e l’immaginazione di un gruppo di persone che hanno cominciato a raccontare una stessa storia, alla stregua dello Yeti, dei chupacabra latinoamericani o del mostro di Loch Ness.

«Gli esseri umani hanno un’attitudine narrativa, tendono alla creazione di leggende», spiega Tanni. «Le storie create dalla collettività esistevano ben prima di internet: basta pensare alle leggende metropolitane. Ancora prima, le origini dei miti si perdono nel passato, nella profondità della storia, ma i miti venivano tramandati oralmente, come se venissero copiati e incollati. Oggi succede con le foto online, ma il processo è lo stesso: un dato elemento colpisce l’immaginazione di qualcuno, che ci costruisce un pezzetto di storia, questa storia cresce e piano piano diventa una mitologia. E vediamo che succede tantissimo con gli spazi liminali: deve voler dire che vanno a toccare qualcosa di profondo a livello inconscio, benché all’apparenza siano immagini ordinarie e poco interessanti. Vengono infuse di significato a posteriori».

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