Il voto delle europee rafforza il governo, ma anche l’opposizione

Se Giorgia Meloni è la sola leader di un grande paese ad aver vinto, Elly Schlein è ora legittimata come sua unica avversaria

Elly Schlein ospite della trasmissione Porta a Porta, su Rai 1, il 10 ottobre 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
Elly Schlein ospite della trasmissione Porta a Porta, su Rai 1, il 10 ottobre 2023 (Mauro Scrobogna/LaPresse)
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I risultati ormai quasi definitivi delle elezioni europee sanciscono la vittoria netta di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni, che ha aumentato i propri consensi rispetto a quelli ottenuti alle politiche del settembre del 2022 dopo venti mesi alla guida del governo del paese. Al tempo stesso, però, dallo scrutinio è emerso anche un altro vincitore, e cioè il Partito Democratico di Elly Schlein, che ha ottenuto un risultato decisamente più alto rispetto alle previsioni della vigilia, raggiungendo il livello di consensi più alto in un voto nazionale dal 2014 a oggi.

Dalle elezioni è uscito quindi rafforzato il principale partito di governo, guidato dalla presidente del Consiglio; ma ne esce rafforzato anche il primo partito di opposizione. Meloni e Schlein hanno consolidato le loro rispettive leadership: di capo della maggioranza la prima, di punto di riferimento dell’opposizione e potenziale candidata futura alla presidenza del Consiglio la seconda.

È un po’ un piccolo paradosso, in un certo senso, che un’elezione che si svolge col sistema proporzionale restituisca un quadro politico evidentemente bipolare. Alle europee, infatti, c’è una legge elettorale proporzionale: quella che in teoria, cioè, garantisce la maggiore rappresentanza possibile, favorendo un po’ i partiti più piccoli e promuovendo dunque una certa frammentazione. Eppure, proprio questo sistema ha fatto emergere una netta contrapposizione tra una destra guidata da Fratelli d’Italia e un centrosinistra che tende più nettamente a sinistra che non al centro in cui il PD ricopre nettamente il ruolo di forza egemone.

Il successo di Fratelli d’Italia è evidente dai numeri. Rispetto al 25,98 per cento delle politiche del settembre del 2022, il partito di Meloni ha guadagnato quasi tre punti percentuali, arrivando al 28,81 per cento (quando mancano da scrutinare 1.600 delle 61.650 sezioni dove si è votato). È ormai certo che, per effetto della maggiore astensione, alla fine il numero di voti in termini assoluti sia in realtà inferiore rispetto al 2022: allora Fratelli d’Italia ottenne 7,3 milioni, mentre stavolta non andrà oltre i 6,6 milioni. Ma in definitiva conta il dato relativo: e per Meloni confermare, e anzi migliorare, il consenso dopo oltre un anno e mezzo di governo è un risultato notevolissimo, specie se si pensa alle ristrettezze economiche nelle quali il governo s’è dovuto muovere.

Meloni commenta la vittoria di FdI alle elezioni europee, sul palco dell’hotel Parco dei Principi di Roma, la notte tra il 9 e il 10 giugno 2024 (Roberto Monaldo/LaPresse)

Anche la scelta di Meloni di candidarsi in prima persona, sia pure in maniera fittizia, ha pagato: nelle cinque circoscrizioni elettorali in cui era capolista, la presidente del Consiglio ha ottenuto poco meno di 2,3 milioni di preferenze, eguagliando e anzi forse migliorando il risultato che Matteo Salvini ottenne alle europee del 2019, quando da ministro dell’Interno si candidò in tutt’Italia ottenendo proprio 2,3 milioni di preferenze. Meloni non andrà al Parlamento Europeo, continuando a svolgere il suo incarico di presidente del Consiglio che è incompatibile per legge col ruolo di europarlamentare: ma la decisione di politicizzare il voto chiedendo agli elettori una sorta di mobilitazione in suo favore si è rivelata azzeccata, da questo punto di vista.

Oltre che dall’analisi dei voti a livello nazionale, Meloni risulta vittoriosa anche in un’ottica più generale, europea. Tra i medi e grandi paesi europei, l’Italia è il solo in cui il governo esce sensibilmente rafforzato dal voto. In Germania l’opposizione dei Cristiano Democratici (CDU/CSU) ha preso da sola quasi gli stessi voti di quelli ottenuti dai tre partiti della coalizione che sostiene il cancelliere socialdemocratico Olaf Scholz. In Francia il presidente Emmanuel Macron ha deciso di indire nuove elezioni parlamentari di fronte al successo dell’estrema destra del Rassemblement National di Marine Le Pen. E anche in Spagna il partito socialista del capo del governo Pedro Sanchez è stato sconfitto dai Popolari di centrodestra.

In Italia al contrario la coalizione di destra ha ottenuto una chiara conferma, e questo soprattutto grazie a Fratelli d’Italia, che ha preso il triplo dei voti degli alleati di Forza Italia (9,7 per cento) e Lega (9,1 per cento). Questo indubbiamente dà una grossa legittimazione a Meloni anche nelle trattative che inizieranno nelle prossime settimane con gli altri capi di Stato e di governo europei per definire incarichi ed equilibri delle nuove istituzioni.

Elly Schlein commenta i risultati delle europee dalla sede del PD a Roma, la notte tra il 9 e il 10 giugno 2024 (Cecilia Fabiano/LaPresse)

In maniera piuttosto speculare, le elezioni europee hanno sancito la leadership di Schlein nel fronte dell’opposizione. La segretaria del Partito Democratico, dopo negoziati piuttosto tribolati con gli altri dirigenti e capicorrente del partito per definire le candidature, ha ottenuto un risultato, il 24 per cento, che va ben oltre le aspettative più ottimistiche fatte nelle ultime settimane.

Il riferimento più immediato era quello delle politiche del 2022, quando il PD guidato da Enrico Letta, al termine di una campagna elettorale travagliata, prese il 19 per cento dei voti. I voti sono aumentati, sia pur di poco, anche in termini assoluti: nonostante la maggiore astensione registrata in queste europee rispetto alle politiche, il PD è passato dai 5,34 milioni di voti a oltre 5,4 milioni.

– Leggi anche: Meloni preferisce Schlein come sua avversaria diretta

Se era abbastanza prevedibile che Schlein facesse meglio di Letta, non era invece per nulla scontato che migliorasse anche il risultato ottenuto da Nicola Zingaretti. L’allora segretario del PD, alle europee del 2019, ottenne il 22,7 per cento dei voti: e in quel caso il PD contava ancora sul contributo di Carlo Calenda e Matteo Renzi, leader importanti che avrebbero poi promosso delle scissioni nei mesi seguenti. Il risultato conseguito ora dal PD è ancor più notevole, dunque.

Rispetto alle polemiche dei mesi passati con gli altri dirigenti del PD, Schlein può peraltro rivendicare come la composizione plurale ed equilibrata delle liste sia stata una scelta illuminata. Alcuni dei candidati più vicini alla segretaria – come la capolista al Nord-Ovest Cecilia Strada (oltre 257mila preferenze), la capolista al Sud Lucia Annunziata (più di 237mila preferenze), il deputato Alessandro Zan (165mila preferenze tra Nord-Ovest e Nord-Est) – hanno raccolto i consensi tra l’elettorato più di sinistra. Mentre le ottime prestazioni degli esponenti più centristi del PD, tra cui molti amministratori locali che non avevano sostenuto Schlein al congresso, hanno mantenuto nel perimetro del PD i voti più moderati.

In questo senso sono state significative le 490mila preferenze del sindaco di Bari Antonio Decaro, le 198mila del sindaco di Bergamo Giorgio Gori, le 92mila del fiorentino Dario Nardella, le 376mila del presidente dell’Emilia-Romagna Stefano Bonaccini. Nelle due circoscrizioni in cui era candidata capolista, il Centro e le Isole, Schlein ha ottenuto un risultato dignitoso benché non eccezionale: 200mila preferenze in tutto.

Ma nel complesso, la vittoria conseguita da un po’ tutte le diverse aree del PD dà maggiore stabilità al partito e alla segretaria, che potrà dunque ora mettere in atto quella che i suoi collaboratori già chiamano «la seconda fase» del mandato, e dunque dare al PD un indirizzo più chiaro e più radicale su alcuni temi, a partire da quello del lavoro. E in questo senso, l’approccio più nettamente di sinistra di cui Schlein si vorrebbe fare interprete – e che ha solo timidamente attuato nel primo anno da segretaria – sembra in sintonia con l’elettorato progressista, per quanto se ne può dire.

I partiti di centro, infatti, anche a causa dei contrasti tra Renzi e Calenda, non hanno superato la soglia di sbarramento del 4 per cento e dunque non eleggeranno eurodeputati: una disfatta piuttosto clamorosa, benché la somma delle liste di Azione e di Stati Uniti d’Europa, le liste che appunto si riconoscono rispettivamente nella leadership di Calenda e Renzi e che si sono presentate però divise alle elezioni, sia di oltre il 7 per cento. Al contrario, l’ottimo risultato di Alleanza Verdi e Sinistra, che col 6,6 per cento quasi ha raddoppiato il 3,6 per cento ottenuto alle politiche del 2022, sembra spostare un po’ più a sinistra il baricentro della coalizione progressista, proprio nell’ottica auspicata da Schlein.

Come per Meloni, inoltre, anche il risultato è particolarmente soddisfacente per Schlein in un’ottica più allargata. Le elezioni europee erano attese anche perché avrebbero dovuto indicare quale fosse il leader dell’opposizione con maggiore credibilità nel ruolo di federatore del centrosinistra: e da questo punto di vista, il successo del PD è ancor più netto se lo si associa alla sconfitta del Movimento 5 Stelle. Il partito di Giuseppe Conte, l’ex presidente del Consiglio che da tempo si pone in maniera piuttosto critica rispetto a Schlein, ha preso il 9,96 per cento con 2,2 milioni di voti, perdendo cinque punti e mezzo e oltre 2 milioni di voti rispetto alle politiche del 2022.

Se per il PD questo 24 per cento è il miglior risultato a livello nazionale dal 2014, per il M5S il 9,96 per cento è il peggior risultato a livello nazionale di sempre, e segna per la prima volta la discesa del partito sotto la soglia psicologica del 10 per cento. Almeno in questa fase, dunque, non c’è dubbio che Schlein abbia ottenuto una decisiva legittimazione come capo dell’opposizione.