«Casa per casa, azienda per azienda, strada per strada»

Furono tra le ultime parole del segretario del PCI Enrico Berlinguer: mentre le diceva, durante un comizio a Padova di 40 anni fa, ebbe un ictus e dopo pochi giorni morì

Enrico Berlinguer
Enrico Berlinguer durante il suo ultimo comizio a Padova, il 7 giugno del 1984 (dal film L'addio a Enrico Berlinguer)
Caricamento player

Il 7 giugno del 1984 Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano (PCI), pronunciò sul palco il suo ultimo discorso pubblico, prima di avere un ictus che ne causò la morte quattro giorni dopo. Berlinguer aveva 62 anni ed era segretario dal 1972: era stato il terzo segretario nella storia repubblicana del PCI dopo Palmiro Togliatti e Luigi Longo, e fu uno dei politici più importanti del Novecento in Italia, rimasto nell’immaginario collettivo come uno dei leader più moralmente nobili e apprezzabili della storia repubblicana. Le sue ultime parole furono:

Lavorate tutti, casa per casa, azienda per azienda, strada per strada, dialogando con i cittadini. Con la fiducia per le battaglie che abbiamo fatto, per le proposte che presentiamo, per quello che siamo stati e siamo, è possibile conquistare nuovi e più vasti consensi alle nostre liste, alla nostra causa, che è la causa della pace, della libertà, del lavoro, del progresso della nostra civiltà!

Berlinguer stava tenendo un comizio in piazza della Frutta, a Padova, in vista delle elezioni europee del 17 giugno. Nel mezzo del discorso ebbe un malore: nelle immagini dell’epoca lo si vede fermarsi per un attimo e poi continuare a parlare a fatica. Alcune persone tra il pubblico gli gridarono «Basta Enrico!»; lui continuò fino alla fine pur tra molte difficoltà.

Dopo la fine del comizio Berlinguer venne portato via dal palco e sorretto da alcuni collaboratori, che lo condussero prima in albergo e poi all’ospedale Giustinianeo. Lì venne raggiunto anche dal presidente della Repubblica Sandro Pertini, che si trovava casualmente a Padova in quei giorni. Dopo la morte, la salma di Berlinguer venne portata a Roma proprio da Pertini con l’aereo presidenziale: «Lo porto via come un amico fraterno, come un figlio, come un compagno di lotta», disse.

I funerali si svolsero il 13 giugno in piazza San Giovanni, a Roma, e vi partecipò più di un milione di persone. Vennero documentati in un film collettivo curato da Francesco Maselli, dal titolo L’addio a Enrico Berlinguer, in cui alcuni dei più grandi registi italiani raccontarono la storia di quella giornata, intervistando decine delle migliaia di persone accorse a Roma: politici, scrittori, personaggi dello spettacolo e semplici cittadini che parlarono dell’importanza che Berlinguer ebbe sulla vita di molte e molti militanti comunisti, e non solo. In un segmento, il regista Ettore Scola intervista anche alcuni bambini: uno di questi alla domanda sul perché fosse venuto lì risponde «Beh, io sono stato sempre comunista».

Probabilmente anche per spinta della commozione collettiva, alle elezioni europee che seguirono il PCI fu per la prima e unica volta nella sua storia il partito più votato d’Italia, con il 33,33 per cento dei voti, contro il 32,96 della Democrazia Cristiana (DC). Negli anni precedenti il PCI di Berlinguer aveva già ottenuto i migliori risultati elettorali della sua storia, arrivando a poche migliaia di voti dalla DC, che aveva governato ininterrottamente dalla fine della Seconda guerra mondiale. Il record però fu raggiunto appunto nel 1984.

A questi risultati contribuì il cambiamento che Berlinguer introdusse nella direzione del partito durante la segreteria: si allontanò gradualmente e con sempre più fermezza dalle politiche autoritarie del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e dal suo modello di sviluppo economico, che in particolare durante la segreteria di Togliatti fu sempre ritenuto il paradigma su cui i comunisti italiani avrebbero dovuto basare la propria linea.

– Leggi anche: Perché Berlinguer fu così importante

Le cose cambiarono molto tra gli anni Sessanta e Settanta: la repressione della vita democratica nei paesi dell’Unione Sovietica divenne un argomento di discussioni e divisioni all’interno del PCI, che progressivamente prima con Longo e poi con Berlinguer cominciò ad allontanarsi dall’influenza sovietica per intraprendere quella che i comunisti italiani definirono una «via italiana al socialismo».

Dalle prime elezioni politiche dell’Italia repubblicana il PCI, nonostante fosse stato sempre il secondo partito più votato, venne sempre escluso da ruoli di governo, proprio per la sua vicinanza all’Unione Sovietica. Il cambiamento più importante ci fu nel 1973, dopo il golpe fascista in Cile, in cui fu rovesciato il governo democraticamente eletto di Salvador Allende, di sinistra. Dopo quei fatti Berlinguer scrisse, sulla rivista del partito Rinascita, dei suoi timori per la possibilità che una svolta autoritaria come quella del Cile potesse avvenire anche in Italia, e della necessità che il PCI si accordasse con la DC, in quello che definì un «compromesso storico».

Era una linea sostenuta tra i democristiani soprattutto da Aldo Moro, ex presidente del Consiglio e allora presidente del partito: questo «compromesso» si concretizzò in minima parte nel 1976, con il cosiddetto governo della “non sfiducia” o della “solidarietà nazionale”: formule nate per descrivere un governo guidato dalla sola DC, con presidente del Consiglio Giulio Andreotti, a cui per la prima volta il PCI garantì un appoggio esterno astenendosi durante il voto di fiducia. L’obiettivo era trovare una legittimazione politica che fino a quel momento non c’era mai stata e di arrivare negli anni a seguire anche a ottenere ruoli di governo.

Nel giro di un paio d’anni però la situazione cambiò radicalmente: il 16 marzo del 1978, giorno previsto per la presentazione del nuovo governo Andreotti in cui per la prima volta il PCI avrebbe potuto votare la fiducia, le Brigate Rosse rapirono Moro e poi lo uccisero dopo 55 giorni di prigionia. Il PCI votò la fiducia dopo aver appreso del rapimento, quindi dando il suo pieno appoggio, ma di fatto con la morte di Moro finì anche la possibilità che il «compromesso storico» si concretizzasse del tutto.

Neanche un anno dopo, il governo Andreotti cadde e il PCI tornò all’opposizione; nel frattempo la DC iniziò a costruire una nuova alleanza con il Partito Socialista Italiano (PSI) di Bettino Craxi: alleanza che nel 1981 portò al cosiddetto “pentapartito”, una coalizione di governo che comprendeva anche Socialdemocratici, Liberali e Repubblicani, ai quali venne garantita un’alternanza alla guida del governo negli anni successivi.

Negli anni Ottanta il PCI di Berlinguer, di nuovo all’opposizione, impostò una nuova politica detta «terza via», alternativa alle vie tradizionali della socialdemocrazia e ai modelli sovietici, dopo aver dichiarato di ritenere conclusa la “spinta propulsiva” del comunismo dell’Est. In quegli stessi anni Berlinguer, per giustificare l’impossibilità di collaborazione con la DC, introdusse per la prima volta anche un nuovo tema, la «questione morale»: semplificando molto, secondo Berlinguer la crisi sociale ed economica del paese era dovuta soprattutto ai diffusi episodi di corruzione e malaffare nella politica, al clientelismo e alla disinvolta spartizione di cariche tra i partiti (specialmente quelli al potere, DC e PSI).

La questione morale fu un argomento che sarebbe stato alla base delle sue politiche negli ultimi anni di vita, e anche del suo ultimo comizio. Nel discorso nominò, tra i mali che affliggevano l’Italia, la loggia massonica P2, di cui nel 1981 si scoprì che facevano parte anche due ministri (il socialista Enrico Manca e il democristiano Franco Foschi) e 5 sottosegretari. In quel discorso ribadì anche la sua opposizione a un decreto approvato pochi mesi prima dal governo di Bettino Craxi che tagliava di tre punti percentuali la “scala mobile”, il sistema economico che adeguava i salari dei lavoratori al crescere dell’inflazione e del costo della vita.