L’ultima fatica di Massimo Troisi

Fu “Il postino”, le cui riprese terminarono poche ore prima della sua morte, trent'anni fa, dopo enormi sforzi e sacrifici in condizioni di salute precarie

Massimo Troisi in una scena del film Il postino. ANSA
Massimo Troisi in una scena del film Il postino. ANSA
Caricamento player

Massimo Troisi morì trent’anni fa, nella notte tra venerdì 3 e sabato 4 giugno 1994: aveva 41 anni, e da almeno una decina era considerato uno dei migliori attori italiani in circolazione, apprezzato per il suo umorismo surreale, a cavallo tra l’autocommiserazione e la grande lucidità, e per la sua capacità di presiedere tutti i processi alla base della realizzazione di un film, dalla regia alla sceneggiatura.

Poche ore prima di morire aveva concluso le riprese di Il postino, un film a cui teneva tantissimo e che fu caratterizzato da una produzione piuttosto travagliata, dovuta anche a una complicazione di alcuni problemi cardiaci di cui soffriva fin da bambino.

Nonostante le gravi condizioni di salute, Troisi dedicò molto tempo ed energie alla realizzazione del film, che impegnò gran parte dei suoi ultimi mesi di vita. Partecipò a quasi tutte le fasi di produzione: oltre a interpretare il protagonista, il postino Mario Ruoppolo, e ad aiutare il regista Michael Radford nella gestione degli attori e nella scelta delle inquadrature, scrisse la sceneggiatura insieme a Anna Pavignano, Furio e Giacomo Scarpelli e lo stesso Radford.

Troisi era diventato famoso agli inizi degli anni Ottanta, facendosi notare per la sua versatilità e per la capacità di unire due stili di recitazione apparentemente distanti, uno più comico e scanzonato, l’altro più sentimentale e riflessivo. In quel periodo recitò in film di enorme successo, come Ricomincio da tre, Scusate il ritardo (di cui fu anche regista) e soprattutto Non ci resta che piangere, frutto di una memorabile collaborazione con Roberto Benigni.

Anche se la sua comicità era molto legata alle sue origini, Troisi era napoletano anche in un modo personale e opposto ai cliché della napoletanità, che cercava spesso di prendere in giro e criticare con personaggi timidi, impacciati, sensibili. Questa tendenza divenne ancora più manifesta a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta, quando i personaggi di Troisi divennero sempre più articolati e indipendenti dal lato comico, con caratterizzazioni più serie e malinconiche. Il postino è considerato il film più rappresentativo di questa seconda fase della sua carriera, e viene spesso paragonato a una specie di testamento artistico di Troisi, che pur di completarlo decise di posticipare un’operazione di trapianto al cuore.

– Leggi anche: 7 grandi battute di Massimo Troisi

Il film è liberamente ispirato a un romanzo che Troisi aveva amato moltissimo, Il postino di Neruda dello scrittore cileno Antonio Skármeta. Un paio d’anni prima ne aveva ricevuto in regalo una copia da Nathalie Caldonazzo, la sua compagna del tempo: dopo averlo letto ne era rimasto così entusiasta da acquistarne i diritti per un futuro adattamento cinematografico.

Decise di affidarne la regia al regista britannico Michael Radford, che una decina d’anni prima gli aveva offerto un ruolo per il suo film d’esordio, Another Time, Another Place – Una storia d’amore (1983). Troisi rifiutò la proposta, ma dopo essere rimasto piacevolmente stupito dai successivi lavori di Radford (Orwell 1984 e Misfatto bianco) gli telefonò per scusarsi e gli promise che in futuro avrebbero lavorato a un film insieme: l’occasione fu proprio Il postino.

Il libro di Skármeta racconta la storia di Mario Jiménez, un pescatore che viene nominato postino dello sperduto villaggio di Isla Negra, in Cile, con l’incarico di recapitare la posta all’unica persona che riceve corrispondenza in quel luogo: il poeta Pablo Neruda, con cui stringe un profondo legame di amicizia.

Per ambientare il film in Italia, Troisi decise di apportare alcune modifiche: Isla Negra venne sostituita da un’isola del Sud Italia in cui Neruda (Philippe Noiret) aveva ricevuto asilo politico dopo essere stato costretto a lasciare il Cile a causa delle sue idee comuniste, mentre Jiménez fu sostituito da Mario Ruoppolo (Troisi).

Per ultimare la sceneggiatura, nell’estate del 1993 Radford, Troisi e Scarpelli (Furio) si trasferirono per un periodo negli Stati Uniti, a Los Angeles. Troisi ne approfittò per andare a Houston, in Texas, e farsi visitare nello stesso ospedale in cui 18 anni prima aveva subito un’operazione alla valvola mitrale, quella che mette in comunicazione atrio e ventricolo sinistri del cuore. Gli esami evidenziarono un deterioramento delle valvole in titanio che gli erano state impiantate nel 1976, e Troisi fu sottoposto a un intervento cardiochirurgico d’urgenza: in sala operatoria ebbe un infarto, e fu costretto a rimanere in ospedale per quasi due mesi.

I medici gli consigliarono di ricorrere a un trapianto di cuore, ma Troisi decise di posticipare l’intervento per concludere Il postino, la cui produzione era ormai in fase avanzata.

Le riprese iniziarono il 14 marzo del 1994, e durarono 12 settimane. Si svolsero in tre luoghi diversi: gli studi di Cinecittà a Roma, Salina (l’isola in cui si trova la casa in cui Neruda abita nel film) e Procida. Il periodo delle riprese fu molto faticoso per Troisi, che a causa della stanchezza e dei continui problemi cardiaci riusciva a rimanere sul set soltanto pochi minuti alla volta. «Era molto malato, aveva la condizione fisica di una persona di 83 anni: poteva girare al massimo un’ora al giorno, rimanendo seduto per tutto il tempo», ha raccontato Radford parlando di tutte le difficoltà che incontrò in quelle 12 settimane.

Per girare le scene più faticose, quelle in bici, fu assunta una controfigura: Gerardo Ferrara, un professore di educazione fisica di Sapri, in provincia di Salerno, che fu scelto per via della sua straordinaria somiglianza con Troisi. Fu reclutato velocemente, dopo essere stato contattato dalla compagna di uno degli operatori di regia. In un’intervista data al Corriere della Sera, Ferrara ha raccontato che negli ultimi giorni delle riprese Troisi «era molto affaticato: un pomeriggio chiese di fermarsi perché non ce la faceva ad andare avanti. E ci fermammo tutti, per rispetto nei suoi confronti».

Il 3 giugno, subito dopo la fine delle riprese, Troisi andò a riposare a casa di sua sorella, nella frazione romana dell’Infernetto. Morì durante il sonno per una crisi cardiaca. Il postino uscì al cinema il 22 settembre, e fu accolto subito in maniera entusiasta dalla critica, in particolare quella statunitense, che rimase molto colpita anche dalle circostanze della morte di Troisi. La giornalista del New York Times Janet Maslin scrisse che il film rappresentava un «tributo eloquente ma anche straziante al talento di Troisi», e che «il disagio comico che [Troisi] ha portato in questa interpretazione ha chiaramente una componente di vero dolore».

Il film fu candidato a cinque premi Oscar e ne vinse uno, quello per la colonna sonora, assegnato al compositore argentino Luis Bacalov. Troisi ottenne una candidatura postuma come miglior attore, riconoscimento che infine fu assegnato a Nicolas Cage per Via da Las Vegas.