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  • Giovedì 30 maggio 2024

Diventare una nave che soccorre migranti

Il racconto della trasformazione della Sea-Watch 5, la nuova nave della ong tedesca Sea-Watch che nella sua vita precedente riforniva di merci le piattaforme petrolifere in mezzo al mare

di Luca Misculin

La Sea-Watch 5 ormeggiata nel porto di Siracusa (Il Post)
La Sea-Watch 5 ormeggiata nel porto di Siracusa (Il Post)
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In un assolato pomeriggio di primavera l’equipaggio della Sea-Watch 5, la nuova nave della ong tedesca Sea-Watch, si sta godendo il sole di Siracusa sull’ampio ponte scoperto che occupa gran parte della poppa della nave, cioè la sua “coda”. Il ponte è diviso a metà: la parte più vicina alla poppa è coperta da un ampio tendone, mentre quella più interna è scoperta: è qui che l’equipaggio ha sistemato tre tavoli di legno da campeggio per mangiare all’aperto, sotto il sole. «Volete un gelato?», chiede una persona dell’equipaggio ad altre due, sedute all’ombra del tendone.

Oltre che per le temperature miti, è possibile che l’equipaggio abbia deciso di sistemarsi fuori anche per una questione di orgoglio. La nave era stata comprata nel 2022 e per più di un anno aveva subito lavori di ristrutturazione molto intensi. Sea-Watch, che dal 2014 soccorre i migranti nel Mediterraneo, l’ha messa in mare soltanto da alcune settimane: a bordo quasi tutto è ancora nuovo e scintillante. La vernice non ha chiazze, non ci sono odori o rumori strani: cose che capita di percepire, sulle navi più vecchie.

I tavoli da campeggio usati dall’equipaggio della Sea-Watch 5 (Il Post)

La parte della nave più nuova è proprio il ponte scoperto, cioè la parte dove viene ospitata la stragrande maggioranza delle persone soccorse dopo un’operazione in mare. È qui che si sono concentrati gli sforzi dei più di 300 volontari fra elettricisti, meccanici, idraulici e manovali che hanno lavorato alla ristrutturazione della Sea-Watch 5, che nella sua vita precedente riforniva di merci le piattaforme petrolifere in mezzo al mare.

«È stato un po’ come ristrutturare una vecchia casa. Ci occupavamo di un problema, e ne venivano fuori altri due», spiega Lorenz Schramm, responsabile dell’ospitalità delle persone soccorse sulla nave.

Come suggerisce il nome Sea-Watch 5 è la quinta nave di soccorso utilizzata da Sea-Watch, una delle ong più attive nel soccorso di migranti nel Mediterraneo: è la stessa che opera con l’unico aereo civile che cerca i migranti al largo delle coste del Nord Africa, Seabird, e con una piccola imbarcazione di soccorso rapido che fa base a Lampedusa, Aurora. Al momento è l’ong che nel Mediterraneo gestisce il numero più alto di mezzi che si occupano di ricerca e soccorso di migranti.

In Germania è molto nota e può contare su una rete piuttosto ampia di sostenitori: uno dei più prominenti è la Chiesa protestante tedesca. Soltanto l’acquisto della Sea-Watch 5 è costato circa 4,5 milioni di euro. La solida rete di finanziatori ha permesso a Sea-Watch di continuare a espandere la propria flotta, in controtendenza rispetto al contesto generale.

Negli anni soccorrere migranti nel Mediterraneo è diventato infatti sempre più complicato e oneroso, anche per via dell’aperta ostilità di alcuni governi. Come quello italiano, che costringe le ong a compiere poche e costosissime operazioni di soccorso. Da circa un anno e mezzo l’Italia assegna loro un porto di sbarco a molti giorni di navigazione verso nord. Ogni giorno di navigazione costa migliaia e migliaia di euro, soprattutto per spese di carburante e mantenimento dell’equipaggio.

In queste condizioni riescono a rimanere in mare quasi solo le ong più grandi e attrezzate, come Medici Senza Frontiere, Emergency e la stessa Sea-Watch. Le ong più piccole si mettono in mare solo d’estate, quando per via delle condizioni meteo favorevoli partono più imbarcazioni di migranti, oppure operano al largo di Lampedusa con barchini piccoli e assai meno costosi da mantenere.

Sea-Watch è l’ong che opera da più tempo nel Mediterraneo con navi di dimensioni medio-grandi. La più famosa e raccontata fu probabilmente Sea-Watch 3, la nave comandata da Carola Rackete che il 29 giugno del 2019 attraccò a Lampedusa con 40 persone soccorse senza l’autorizzazione delle autorità italiane. Ai tempi era in carica il primo governo di Giuseppe Conte, il ministro dell’Interno era Matteo Salvini, e la politica per le navi delle ong era quella dei cosiddetti “porti chiusi”. Lo sbarco della Sea-Watch 3 creò un grosso caso politico in Italia: Rackete fu accusata di avere «speronato» una nave della Guardia di Finanza (accusa che si è poi rivelata falsa) e fu indagata per resistenza a pubblico ufficiale e violenza a nave da guerra. L’inchiesta fu poi archiviata.

La Sea-Watch 3 mentre cerca di attraccare nel molo commerciale di Lampedusa, 29 giugno 2019 (ANSA/ ELIO DESIDERIO)

Ai tempi la Sea-Watch 3 era già una nave piuttosto malandata: lo confermò anche una ispezione della Guardia Costiera, che nel marzo del 2021 la bloccò con un fermo amministrativo. Nel frattempo Sea-Watch si era già procurata un’altra nave, la Sea-Watch 4, ma anche quella presto risultò complessa da utilizzare, soprattutto per problemi di manutenzione: sia la Sea-Watch 3 sia la Sea-Watch 4 erano state costruite negli anni Settanta, e trovare pezzi di ricambio e persone che sapessero governare e aggiustare la nave era diventato sempre più difficile.

Per queste ragioni nel 2022 Sea-Watch iniziò a cercare un’altra nave da comprare e convertire per fare soccorsi in mare, con l’obiettivo di tenerla più a lungo delle vecchie navi.

All’interno della ong fu messo insieme un piccolo gruppo di lavoro con l’obiettivo di trovare la nave giusta, di cui fece parte anche Schramm. Nella prima fase si discusse a lungo sul tipo di nave da cercare. Tutte le navi medio-grandi delle ong prima di fare soccorso in mare erano state costruite per un altro scopo. Geo Barents di Medici Senza Frontiere girava per il mare del Nord alla ricerca di pozzi di petrolio. Life Support di Emergency, Ocean Viking di SOS Méditerranée e la Sea-Watch 3 rifornivano di merci le piattaforme petrolifere. Mare Jonio di Mediterranea era un rimorchiatore. Ciascuno di questi tipi di nave ha pregi e difetti, a seconda delle priorità dell’ong.

«Per esempio abbiamo capito presto che una nave per il trasporto di passeggeri avrebbe fornito un alto livello di comfort ma sarebbe stata molto difficile da gestire», spiega Schramm. Ipotizzando di sistemare quattro persone in ogni cabina, per sapere cosa succede «devi bussare a ogni porta, e così vieni a conoscenza molto tardi di situazioni di emergenza, soprattutto di tipo medico, oltre che di potenziali conflitti».

Alla fine si decise di «comprare una versione più nuova della Sea-Watch 3»: cioè una nave costruita per rifornire di merci le piattaforme petrolifere.

Navi del genere hanno un sacco di spazio a bordo, sia nella stiva sia sul ponte scoperto. Le ong come Sea-Watch usano la stiva per caricare il materiale necessario per rimanere in mare anche diverse settimane, mentre il ponte scoperto rimane disponibile per ospitare le persone soccorse, in modo da servirle e tenerle d’occhio più facilmente.

Alla fine la scelta è caduta su una nave da rifornimento per piattaforme petrolifere costruita nel 2010 in Malesia, lunga 58 metri e larga 14, che in passato ha avuto nomi come Roxanne 42, Bravo Topaz e Ocean Don. Oggi è stata rinominata Sea-Watch 5.

Due vecchie foto della Sea-Watch 5, quando si chiamava Ocean Don (VesselFinder)

Oltre ad avere grande spazio a bordo la nave in questione ha diversi altri vantaggi, spiega Schramm. La cabina di pilotaggio è completamente vetrata e permette quindi di osservare il mare intorno in tutte le direzioni: una caratteristica fondamentale per l’attività di bridge watch, cioè osservare l’orizzonte con un binocolo per notare eventuali imbarcazioni in difficoltà. Nella Sea-Watch 4 la visibilità era soltanto parziale.

La Sea-Watch 5 è inoltre estremamente manovrabile anche quando il mare è mosso. In origine era stata costruita per sistemarsi sotto le piattaforme petrolifere da rifornire: in un posto del genere la manovrabilità è fondamentale, per evitare di andare a sbattere contro le fondamenta delle piattaforme. A bordo inoltre la Sea-Watch 5 aveva già una sala al coperto adibita ad ambulatorio medico: altro elemento piuttosto rilevante per una nave che fa ricerca e soccorso e a cui capita spesso di avere a bordo persone ferite.

Una piattaforma petrolifera gestita da ENI al largo della Libia (AP Photo/Gregorio Borgia)

Un altro grande vantaggio è che sulla Sea-Watch 5 il bordo libero, cioè la distanza in altezza fra il livello del mare e il ponte scoperto, è piuttosto ridotto. Di conseguenza è più facile trasbordare le persone soccorse in mare, molto spesso stremate e ferite, dal gommone semirigido (chiamato anche RHIB) che materialmente effettua l’operazione di soccorso sulla “nave madre”, come in questo caso la Sea-Watch 5.

Le navi di queste dimensioni infatti non possono soccorrere le imbarcazioni di migranti in autonomia. Spesso queste ultime sono sovraffollate e in pessime condizioni, e le onde create dall’eventuale avvicinamento di una nave grande potrebbero farle ribaltare. Sia Geo Barents sia Ocean Viking hanno un bordo libero piuttosto alto, per cui per arrivare a bordo bisogna salire lungo una scala verticale. Un’operazione non facile, soprattutto se le onde sono alte e l’energia dopo la traversata è poca.

Un RHIB si accosta alla Geo Barents durante un’esercitazione dell’equipaggio di Medici Senza Frontiere (Il Post)

Un bordo libero così basso però espone a qualche rischio: per esempio è facile che onde particolarmente alte superino i bordi e allaghino il ponte di acqua salata. Per evitare che succeda Sea-Watch ha dovuto costruire una specie di pavimento rialzato: una enorme grata che copre buona parte dei 250 metri quadri del ponte scoperto. Costruirla è stato uno degli interventi più lunghi e complessi della ristrutturazione, avvenuta in gran parte nel porto danese di Hirtshals.

La grata costruita sul ponte scoperto della Sea-Watch 5 (Il Post)

Un altro intervento piuttosto lungo e complicato ha riguardato il pavimento delle aree coperte, che era quasi tutto in legno. Per sottostare alle norme di sicurezza in vigore in Germania, cioè lo stato di bandiera della Sea-Watch 5, l’equipaggio ha dovuto sostituirlo con un pavimento in metallo. «All’inizio hai varie idee di cosa mettere o no sulla nave, di come prenderti cura degli ospiti, di come vorresti che fosse ogni singola cosa: alla fine però devi adeguarti a moltissime normative», dice Doreen Johann, responsabile delle comunicazioni a bordo della nave. In tutto dalla nave sono state rimosse circa 14 tonnellate di materiale obsoleto o da cambiare, fra pavimenti, tubi e altri componenti.

Uno degli ultimi grossi interventi è stato fatto di nuovo sul ponte scoperto, cioè nello spazio dove viene ospitata la stragrande maggioranza delle persone soccorse. Per proteggerle dal vento e dal sole è stata costruita una enorme struttura in acciaio su cui appendere dei tendoni bianchi, di quelli che si possono chiudere anche lateralmente in modo da isolare quasi completamente lo spazio che si crea al suo interno.

La Sea-Watch 5 è certificata per avere a bordo circa 350 persone compreso l’equipaggio, formato da una trentina di persone. Contando che in situazioni di emergenza una persona può occupare anche solo mezzo metro quadrato, nei 250 metri quadri del ponte possono starcene anche 500, in caso di soccorsi di imbarcazioni molto grandi.

Il tendone fissato sul ponte scoperto (Il Post)

La parte più a poppa della nave ha invece un tendone che lascia i lati liberi: è uno spazio ibrido dove le persone soccorse possono prendere un po’ d’aria, fumare, osservare il lento procedere della nave verso il porto.

Lo spazio ibrido a poppa (Il Post)

In uno spazio così affollato è stata dedicata grande attenzione alla progettazione delle toilette. Rispetto alle navi precedenti sono più piccole, meno di un metro quadro, e contengono anche delle docce, in modo che più persone possano usarle contemporaneamente. Spesso le persone soccorse arrivano da viaggi tribolatissimi e per giorni, settimane o anche mesi non riescono a farsi una doccia.

Le toilette sono collegate a una fossa da circa 100 metri cubi, pensata per una permanenza di diverse centinaia di persone, per giorni, che viene scaricata una volta rientrati in porto. In caso di emergenza i rubinetti e le docce funzionano anche con l’acqua di mare: fare una doccia con acqua salata è meglio che non fare alcuna doccia, è stato il ragionamento dell’equipaggio.

Nel ponte scoperto le persone soccorse mangiano anche, perlopiù per terra. Non c’è spazio a sufficienza per tavoli o cose simili. Per scelta, l’equipaggio mangia lo stesso pasto delle persone soccorse, seduto insieme a loro. I pasti non sono preconfezionati ma vengono preparati due volte al giorno in una cucina attrezzata in un container. La responsabile è Katha, una cuoca tedesca che ha progettato personalmente la cucina (e che preferisce essere identificata soltanto col suo nome).

Gran parte dello spazio è occupata da una grande vaporiera di metallo in cui si possono cucinare fino a mille porzioni di riso. A fianco è stato sistemato un pentolone da 150 litri, donato da un asilo della città di Amburgo, in Germania, in cui si possono cucinare fino a 800 porzioni di salsa. Il menù è quasi sempre lo stesso: una porzione di riso con una salsa, e varie verdure di contorno, perlopiù congelate: spinaci, peperoni, piselli, carote e altre ancora. Per evitare problemi con allergie, intolleranze e indicazioni religiose si cucinano soltanto ricette vegane e senza glutine. Katha racconta con orgoglio che un membro dell’equipaggio ha inventato un’equazione per stabilire quanti centimetri cubi di salsa vanno cucinati in base al numero di persone da sfamare.

Il pentolone per la salsa (Il Post)

Il vecchio ambulatorio ha conservato la sua funzione, ma è stato interamente riprogettato. L’interno è pensato per assomigliare il più possibile al vano di un’ambulanza. C’è un sistema molto meticoloso per sistemare le cose esattamente al loro posto: i membri dell’equipaggio che lavorano nello staff medico, solitamente 4, lo memorizzano prima di salire a bordo. Alcuni sportelli si possono aprire anche con la pressione delle ginocchia. Rispetto alle scorse navi l’ambulatorio è più grande, ed è stato trovato lo spazio per avere due defibrillatori.

L’ambulatorio a bordo della Sea-Watch 5 (Il Post)

L’ambulatorio è uno dei primi ambienti al coperto, vicino al punto dove le persone soccorse salgono a bordo della nave. Qui erano già presenti delle docce: oggi vengono usate soprattutto per sciacquare dalla pelle i residui di carburante, che soprattutto nelle imbarcazioni più piccole viene conservato in taniche che durante il viaggio si rovesciano e vanno dappertutto. Il miscuglio fra carburante e acqua salata, peraltro, provoca ustioni dolorosissime.

Una volta salite a bordo, le persone in condizioni più gravi vengono portate direttamente in ambulatorio. Le persone disidratate o con pochissime energie invece vengono indirizzate verso un’altra stanza al coperto, dove c’è una decina di letti a castello. Qui oltre alle persone convalescenti vengono sistemate anche le donne e i bambini. Nella sua vita precedente la stanza era adibita alle persone ferite o malate, ed era fatta più o meno allo stesso modo.

La stanza al coperto con i letti a castello (Il Post)

Anche gli spazi sono rimasti più o meno gli stessi. Le cabine sono otto, ciascuna delle quali ospita 4 letti. Ci sono due ambienti comuni, uno più grande e uno più piccolo, dove tenere le riunioni e fare due chiacchiere nei rari momenti di calma.

La sala comune (Il Post)

Dopo un anno di lavori nell’ottobre del 2023 la Sea-Watch 5 era pronta per la sua prima missione. Durante la navigazione nel canale di Sicilia, però, ebbe un problema al motore: l’equipaggio la portò a Trapani, dove per ripararla occorse qualche settimana. La prima vera missione si è tenuta a fine dicembre, e il primo soccorso è avvenuto alla vigilia di Natale, il 24 dicembre. Oggi la nave è arrivata alla sua quinta missione, e in totale ha soccorso 387 persone.