I negoziati sul nucleare iraniano stanno fallendo
Riprenderanno lunedì a Vienna, ma le aspettative sono bassissime, e gli Stati Uniti già pensano a un “piano B”
Lunedì riprenderanno a Vienna i negoziati indiretti tra gli Stati Uniti e l’Iran per riattivare l’accordo sul nucleare iraniano, che era stato firmato nel 2015 e da cui Donald Trump era uscito nel 2017. I negoziati sono in corso da mesi, ma quelli di lunedì sono guardati con un certo interesse perché saranno i primi dopo l’elezione alla presidenza iraniana del conservatore Ebrahim Raisi.
In ogni caso le aspettative sono molto basse: senza le limitazioni previste dall’accordo con l’Occidente, il programma nucleare iraniano sta progredendo molto velocemente, e secondo Reuters alcuni negoziatori temono perfino che l’Iran voglia usare i negoziati per rallentare le iniziative e i controlli dell’occidente e far avanzare il più possibile il suo programma nucleare, forse fino alla realizzazione di un’arma atomica. Per questo, gli Stati Uniti hanno detto di essere pronti a «usare altre opzioni» nel caso in cui i negoziati fallissero.
L’accordo sul nucleare del 2015 prevedeva, in sintesi, il rallentamento del programma nucleare militare iraniano in cambio della rimozione di alcune delle sanzioni internazionali imposte contro l’Iran.
I negoziati che cominceranno lunedì rappresentano il settimo giro di discussioni tenute da aprile. Come nei casi precedenti, avverranno per via indiretta: i due paesi si parleranno tramite intermediari, che cercheranno di stabilire una “road map” sui passi successivi da fare. L’uso degli intermediari è un sistema piuttosto frequente in situazioni di questo tipo, serve perlopiù ai governi per non mostrarsi deboli nei confronti del proprio interlocutore e di fronte ai propri elettori, e a evitare di legittimare completamente la controparte soprattutto quando i rapporti bilaterali sono molto tesi. I negoziati, comunque, coinvolgeranno anche gli altri paesi che avevano firmato l’accordo del 2015, tra cui Germania, Francia e Regno Unito.
Le aspettative sono piuttosto basse perché la nuova squadra di negoziatori iraniani inviata dal presidente Raisi intende avanzare richieste che gli Stati Uniti e i paesi europei considerano eccessive e irrealistiche: tra le altre cose, chiedono che siano abolite tutte le sanzioni imposte all’Iran dal 2017 a oggi, comprese quelle non legate al programma nucleare.
Nel frattempo, secondo varie analisi, il programma nucleare iraniano prosegue rapidamente: venerdì il governo iraniano ha annunciato di aver aumentato le sue scorte di uranio arricchito al 20 per cento e di uranio arricchito al 60 per cento. Per produrre una bomba atomica, è necessario avere uranio arricchito al 90 per cento. Secondo la Arms Control Association, un centro studi americano, se l’Iran continuerà di questo passo senza rallentare potrebbe avere abbastanza uranio arricchito per costruire la sua prima bomba atomica nel giro di un mese.
Un altro elemento critico è che l’Iran sta ostacolando i controlli dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, un ente dell’ONU, sui suoi siti nucleari. Gli ispettori vengono maltrattati o scacciati, e non è consentito loro l’ingresso ad alcune aree importanti come il centro di ricerca di Karaj, dove si troverebbe il grosso delle centrifughe per l’arricchimento dell’uranio.
Non è detto che l’Iran stia puntando a costruire una bomba atomica il prima possibile, anche se gli analisti non lo escludono. È anche possibile che il governo del paese voglia far avanzare a tal punto il programma nucleare da obbligare l’Occidente a fare concessioni più importanti di quelle fatte finora – senza però arrivare a costruire una bomba, cosa che provocherebbe la rottura definitiva dei rapporti.
Comunque, i giornali americani scrivono che gli Stati Uniti stanno già pensando a un “piano B” nel caso in cui la diplomazia dovesse fallire: significa che l’amministrazione americana non esclude un intervento militare mirato. «Tutte le opzioni sono sul tavolo», aveva detto a ottobre il segretario di Stato Anthony Blinken.