A che punto sono le riforme della polizia negli Stati Uniti
Un anno dopo la morte di George Floyd ci sono stati vari tentativi di ridurre le violenze e gli abusi, ma i risultati non si vedono
Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden riceverà alla Casa Bianca la famiglia di George Floyd, l’uomo afroamericano ucciso a Minneapolis dal poliziotto Derek Chauvin, della cui morte martedì è il primo anniversario. L’omicidio di Floyd diede inizio a uno dei più grandi movimenti di protesta per i diritti civili della recente storia americana, tra i cui obiettivi c’era quello di riformare in maniera profonda e in alcuni casi radicale la struttura e le pratiche della polizia americana.
Per mesi, durante le proteste, lo slogan defund the police (“tagliare i fondi alla polizia”, ci torniamo) era stato uno dei più popolari, e nel corso dell’ultimo anno sono state presentate numerose proposte legislative di riforma sia a livello federale sia locale. Biden, il mese scorso, aveva promesso che entro un anno dalla morte di Floyd (cioè entro martedì) avrebbe fatto approvare dal Congresso una riforma complessiva della polizia: non c’è riuscito, la legge è ancora in discussione al Senato, ma nel frattempo decine di stati e di amministrazioni comunali hanno approvato nuove leggi e regolamenti. Nel complesso, pur essendo ben lontane dalle richieste dei manifestanti per i diritti civili, le nuove norme hanno garantito alcuni piccoli passi avanti, ma per ora non stanno riuscendo a ridurre il problema della violenza della polizia.
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La legge federale (cioè nazionale, che riguarderebbe tutti gli stati) che Biden e il Partito Democratico vorrebbero far approvare il prima possibile si chiama “George Floyd Justice in Policing Act” ed è un’ampia riforma che regola le attività della polizia sotto molti punti di vista. Impedisce certi comportamenti considerati pericolosi, come le tecniche per immobilizzare i sospetti che fanno pressione sul collo, e pratiche controverse come le no-knock warrant, cioè i mandati di perquisizione che consentono agli agenti di entrare in una proprietà privata senza avvisare prima (nel 2020 Breonna Taylor fu uccisa dalla polizia nel corso di un’operazione di questo tipo). La legge prevede anche la creazione di un registro nazionale dei poliziotti che hanno comportamenti problematici e proibisce il profiling religioso o razziale, cioè le attività investigative basate su sospetti legati all’etnia o alla religione invece che alle prove.
Soprattutto, la legge abolirebbe il principio della qualified immunity, un dispositivo legale che dà immunità dalle cause civili a tutti i funzionari pubblici (non soltanto i poliziotti) fintanto che la loro condotta è considerata «in buona fede» e non viola «diritti legali o costituzionali chiaramente definiti». Il principio, sancito dalla Corte Suprema decenni fa per evitare ai funzionari pubblici denunce pretestuose, negli ultimi tempi è usato nella stragrande maggioranza dei casi di brutalità della polizia per evitare conseguenze a livello di giustizia civile, cosa che spesso rende impossibile per le famiglie delle vittime ottenere anche soltanto un risarcimento.
L’abolizione di questa immunità è il principale elemento di disaccordo tra Democratici e Repubblicani al Senato, e la ragione per cui il “George Floyd Justice in Policing Act” non è ancora stato approvato: la legge è passata facilmente alla Camera, dove il Partito Democratico ha la maggioranza assoluta, ma per passare al Senato sono necessari 60 voti, e dunque la collaborazione anche di qualche senatore Repubblicano. Le trattative sono ancora in corso, e secondo il New York Times le speranze di un voto bipartisan sono abbastanza buone.
Oltre a questa legge federale, decine di stati e amministrazioni cittadine hanno approvato leggi locali e regolamenti. In un articolo di aprile, il New York Times ha calcolato che dopo la morte di George Floyd oltre 30 stati americani hanno approvato più di 140 nuove norme, e nel frattempo questi numeri sono aumentati: la settimana scorsa il governatore dello stato di Washington ha firmato ben 12 leggi di riforma della polizia. Quattro stati hanno ridotto l’immunità per gli agenti di polizia, 10 hanno reso obbligatorio per i poliziotti avere addosso una videocamera sempre accesa, 16 hanno vietato manovre che opprimono il collo dei sospetti e 5 hanno ristretto l’utilizzo delle no-knock warrant. Molti stati hanno inoltre reso più facile denunciare gli abusi e gli atti di brutalità della polizia.
La gran parte di queste nuove norme è stata approvata in stati dove governa il Partito Democratico, ma non solo: in alcuni casi, come in Colorado, ci sono state iniziative di legge bipartisan, e alcune leggi di riforma della polizia sono state approvate anche in stati Repubblicani come Kentucky, Indiana e Iowa.
Molte amministrazioni cittadine, da cui dipende il budget degli uffici di polizia locali, si sono occupate soprattutto di tagliare o limitare i fondi destinati alla polizia, sulla base della filosofia defund the police, il cui obiettivo non era quello di azzerare il budget delle forze dell’ordine, ma di trasferire parte dei fondi verso servizi sociali come programmi di recupero della tossicodipendenza e dei disturbi mentali e programmi educativi. Attualmente negli Stati Uniti è la polizia a intervenire – ricorrendo in certi casi alla violenza – in molti contesti problematici che in altri paesi, come quelli europei, sono abitualmente gestiti da organismi e operatori sanitari o sociali. L’idea di togliere del tutto i fondi alla polizia è invece stata espressa soltanto da alcuni gruppi radicali del movimento per i diritti civili, ed è stata adottata come elemento polemico soprattutto dalle forze politiche di destra.
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Secondo un dato del gruppo Interrupting Criminalization riportato da Axios, nell’ultimo anno sono stati tagliati circa 840 milioni di dollari di fondi della polizia, in vari interventi messi in atto soprattutto dalle amministrazioni cittadine, che hanno interrotto alcune specifiche funzioni oppure hanno tagliato il budget annuale per la polizia, ad esempio a Seattle del 20 per cento. 840 milioni di dollari sono comunque una cifra molto bassa se si considera che ogni anno i fondi destinati dalle città e dalle amministrazioni pubbliche alla polizia superano i 100 miliardi.
In generale, nonostante i passi avanti sia a livello legislativo sia a livello di regolamentazioni, molti attivisti segnalano l’impressione che le cose non stiano migliorando per davvero, o che i progressi non siano sufficienti. Le leggi fatte approvare a livello locale sono un passo avanti ma non riguardano comunque tutta la nazione, e potrebbero essere stravolte con un cambio di governatore. Soprattutto, per ora sembra che gli effetti siano pochi, perché nell’ultimo anno non c’è stato un vero calo delle violenze della polizia.
Secondo il centro studi Mapping Police Violence, infatti, dall’inizio del 2021 la polizia ha ucciso 414 persone, un dato in linea con quelli degli anni precedenti (nel 2020 le persone uccise furono in tutto 1.126). Gli afroamericani continuano a costituire circa un terzo delle persone uccise, pur essendo il 13 per cento della popolazione. E i poliziotti in servizio che uccidono delle persone in servizio continuano a non doverne rispondere: dal 2013 a oggi, soltanto l’1,7 per cento è stato incriminato e lo 0,4 per cento è stato condannato. In questo senso, la condanna di Derek Chauvin è stata un’eccezione.