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  • Martedì 2 febbraio 2021

Il generale dietro il golpe in Myanmar

Si chiama Min Aung Hlaing, è a capo dell'esercito dall'inizio della transizione democratica, nel 2011, e ora guida il nuovo governo militare

(AP Photo/Lynn Bo Bo/Pool)
(AP Photo/Lynn Bo Bo/Pool)

Il primo febbraio l’esercito birmano ha preso il potere in Myanmar con un colpo di stato, facendo arrestare tutti i principali leader del partito di maggioranza, tra cui Aung San Suu Kyi, che era di fatto capo del governo. A guidare il golpe è stato il capo delle forze armate birmane, il generale Min Aung Hlaing, che in seguito ha assunto il ruolo di capo del governo, mentre l’ex generale Myint Swe, che dal 2016 era uno dei due vicepresidenti, è stato nominato presidente ad interim.

Il colpo di stato è avvenuto nel giorno in cui il parlamento del Myanmar avrebbe dovuto riunirsi per la prima volta dopo le elezioni dello scorso novembre, vinte dalla Lega nazionale per la democrazia (NLD), il partito di Aung San Suu Kyi. L’NLD aveva ottenuto 368 seggi su 434, mentre al principale partito di opposizione, il Partito per la solidarietà e lo sviluppo dell’Unione (USDP), sostenuto dai militari, erano andati solo 24 seggi.

Chi è Min Aung Hlaing
Min Aung Hlaing ha 64 anni ed è a capo delle forze armate birmane dal 2011. Dopo aver studiato legge all’università di Yangon tra il 1972 e il 1974, si iscrisse all’accademia militare. Negli anni successivi scalò le gerarchie dell’esercito, diventando sempre più potente in quello che era già il più importante centro di potere del paese.

Nel 1962, infatti, il governo democratico birmano era stato rovesciato da un colpo di stato militare condotto dal generale Ne Win. L’esercito birmano, detto Tatmadaw, avrebbe governato il paese per più di cinquant’anni, e solo tra il 2010 e il 2011 in Myanmar sarebbe cominciato un lento e complicato processo di transizione verso la democrazia, con lo scioglimento della giunta militare, la liberazione di molti dissidenti, fra cui Aung San Suu Kyi, e l’insediamento di un governo “civile”.

– Leggi anche: Chi è Aung San Suu Kyi

Min Aung Hlaing divenne ufficiale di fanteria nel 1977 e negli anni successivi cominciò a occuparsi della guerra contro le minoranze etniche del Myanmar, usando la strategia dei cosiddetti “quattro tagli”: ovvero isolare i ribelli dai civili interrompendo i rifornimenti di cibo, di soldi, la trasmissione di informazioni di intelligence e limitando il sostegno popolare.

Nel 2016 un suo commilitone durante il periodo in accademia parlò con Reuters  descrivendolo come un cadetto nella media, taciturno e dal basso profilo, e disse che non si sarebbe mai aspettato di vederlo fare una tale carriera nell’esercito.

Per Min Aung Hlaing la svolta avvenne nel 2011 con l’inizio della transizione democratica del Myanmar: da soldato taciturno si trasformò in un politico molto attivo, e in poco tempo divenne l’uomo più potente del paese. Fu nominato a capo delle forze armate al posto del generale Than Shwe, il cui desiderio era di trovare un successore che non lo avrebbe accusato per le enormi violenze di cui era stato responsabile negli anni precedenti, e nemmeno per le ricchezze che aveva accumulato. Min Aung Hlaing, in altre parole, fu considerato l’uomo giusto per garantire la continuità del potere dell’esercito nella politica birmana.

Alcuni osservatori e diplomatici hanno detto a Reuters che Min Aung Hlaing studiò a fondo la storia delle transizioni politiche in altri paesi, in particolare per evitare che potessero ripetersi in Myanmar situazioni di guerra civile come quella avvenuta in Libia dopo la fine del regime di Muammar Gheddafi. Nel 2017 il New York Times scrisse che il suo piano sarebbe stato quello di diventare presidente dopo le elezioni del 2020, dato che nel 2021 sarebbe scaduto il suo mandato di cinque anni a capo delle forze armate – mandato che gli era stato rinnovato nel 2016.

In quanto capo dell’esercito, Min Aung Hlaing fu profondamente coinvolto negli scontri del 2017 tra le forze armate birmane e i ribelli rohingya, minoranza etnica di religione musulmana che abita per lo più lo stato birmano del Rakhine. Nell’agosto di quell’anno, nel giro di poche settimane, centinaia di migliaia di civili furono costretti a lasciare le loro case e a cercare rifugio nei campi profughi del vicino Bangladesh.

Nel 2018 una missione indipendente istituita dal Consiglio dei diritti umani dell’ONU accusò Min Aung Hlaing e altri alti funzionari militari di genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra contro i rohingya. Secondo il rapporto dell’ONU, nel paese furono commesse uccisioni indiscriminate, incendi di interi villaggi e stupri diffusi e sistematici. Nel 2019 gli Stati Uniti decisero di imporre sanzioni contro Min Aung Hlaing e altri importanti leader militari del Myanmar come ritorsione per le sistematiche violenze e uccisioni compiute contro i rohingya.

Min Aung Hlaing e Aung San Suu Kyi nel 2015 (AP Photo/Aung Shine Oo)

Il ruolo dell’esercito in Myanmar
Nonostante lo scioglimento della giunta militare nel 2011, l’esercito ha continuato ad avere un ruolo centrale all’interno della politica birmana, e di fatto la transizione verso una vera e propria democrazia non è mai avvenuta.

La stessa Costituzione fu scritta dai militari ed entrò in vigore con le ultime modifiche nel 2008, quando l’esercito era ancora al potere: tra le altre cose, la Costituzione riservava il 25 per cento dei seggi del parlamento a membri non eletti scelti dal comandante in capo delle forze armate (ovvero Min Aung Hlaing, dal 2011). La Costituzione prevedeva anche che una riforma costituzionale dovesse essere votata da oltre il 75 per cento dei deputati, dando quindi all’esercito un effettivo potere di veto su eventuali riforme.

È quello che è successo nel marzo del 2020, dopo che la NLD aveva proposto alcuni emendamenti alla Costituzione con l’obiettivo di ridimensionare gradualmente il peso dell’esercito nella politica. Gli emendamenti avrebbero dovuto limitare i poteri dei militari in ambito legislativo: avrebbero dovuto cioè ridurre i seggi parlamentari a loro riservati, abbassare la maggioranza qualificata necessaria a riformare la Costituzione da tre quarti a due terzi, e vincolare la nomina del comandante in capo delle forze armate al sostegno di una maggioranza civile.

I militari hanno però posto il veto e bocciato la rimozione di una norma della Costituzione che impediva di accedere alla presidenza a chiunque avesse un marito o dei figli che sono cittadini stranieri, come Aung San Suu Kyi, vedova di Michael Aris, studioso britannico di cultura tibetana e professore a Oxford. Questa norma ha impedito a Aung San Suu Kyi di candidarsi alla presidenza del paese, nonostante negli ultimi anni abbia comunque governato come consigliere statale, posizione creata ad hoc per lei.

Il peso delle forze armate è estremamente esteso in Myanmar. La Costituzione dà ai militari il controllo di alcuni importanti ministeri come Sicurezza, Difesa e Affari interni, con la conseguente gestione di polizia, servizi di intelligence e frontiere. Le forze militari hanno anche un notevole peso economico. La Myanmar Economic Holdings Limited (MEHL) e la Myanmar Economic Corporation (MEC) sono società controllate dagli alti gradi militari del paese e possiedono a loro volta centinaia di imprese che operano nei settori più diversi, dall’edilizia al turismo.