I filippini che stanno con Duterte
Nonostante la accuse sui metodi brutali della sua guerra alla droga, il controverso presidente delle Filippine ha sostenitori anche tra i giovani e i progressisti
di Vincent Bevins – The Washington Post
Justin Quirino è un dj radiofonico e organizzatore di eventi di 28 anni, attivo nella scena culturale alla moda di Manila, la capitale delle Filippine. Detesta la violenza e sostiene che una parte maggiore della ricchezza e delle opportunità del suo paese dovrebbe andare ai poveri. Allo stesso tempo, si considera un sostenitore del presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte. «È tutt’altro che perfetto», ha detto Quirino, seduto in uno Starbucks di Manila, «ma penso che sia quello di cui oggi il paese ha bisogno». Quirino ha una laurea in economia e parla un inglese perfetto. Per questo sa bene come di recente il racconto internazionale del suo paese si sia concentrato sulle migliaia di persone uccise nella “guerra alla droga” che Duterte ha avviato dopo essere diventato presidente l’anno scorso. «Le notizie di quelle morti toccano un nervo scoperto. È doloroso. Ma penso che purtroppo le violenze di questo genere siano inevitabili quando c’è una lotta per il potere, soprattutto se sono coinvolte le gang delle droga», ha detto Qurino, «in questo paese troverete un disprezzo sfacciato per molte delle nostri leggi e un senso di responsabilità assente o quasi».
Nonostante le accuse internazionali sulle presunte esecuzioni extragiudiziali di massa e le proteste contro la recente incarcerazione della sua rivale politica Leila de Lima, i sondaggi mostrano che Duterte è appoggiato dalla maggior parte del paese. Spesso si può riscontrare questo sostegno in posti inaspettati, dai circoli delle élite benestanti che Duterte attacca in modo molto aggressivo e senza rimorsi, fino ai quartieri poveri che hanno un’esperienza diretta delle violenze. «Gran parte del sostegno a Duterte deriva dal tanto dal rifiuto di quello che è venuto prima di lui quanto da lui come persona e dalla sua linea», ha detto Ramon Casiple, direttore esecutivo dell’Institute for Political and Electoral Reform di Manila. Due bacini elettorali particolarmente importanti per Duterte, ha raccontato Casiple, sono state le persone provenienti da Mindanao, una grande isola a sud delle Filippine – da cui non era mai arrivato un politico nazionale importante – e i Filippini che vivono all’estero, molti dei quali temono che i figli rimasti nel paese possano rimanere coinvolti nella guerra alla droga. «Non sono davvero EJK», ha detto Janina Boncales, una 25enne che lavora come addetta al cibo nella città di Cebu, usando un acronimo che sta per extrajudicial killings, le uccisioni compiute al di fuori dalla legge. «Sono i narcos che stanno uccidendo la loro gente», ha raccontato, aggiungendo che secondo lei le uccisioni avvenivano anche durante la precedente amministrazione del presidente Benigno Aquino, senza che però i mezzi d’informazione tradizionali filippini li riportassero.
Visto l’ampio numero di filippini che vivono all’estero, le campagne sui social network sono state fondamentali per costruire e mantenere il sostegno a Duterte, stando agli esperti. Recentemente su Facebook Boncales ha condiviso un video di YouTube in inglese intitolato “Cara comunità internazionale: perché Leila de Lima è speciale?”, che difende l’arresto di febbraio di de Lima, una senatrice e critica di Duterte accusata di essere coinvolta nel traffico della droga. Una recente risoluzione dell’Unione Europea ha espresso timori sul fatto che le accuse contro de Lima fossero «quasi completamente inventate». Il video è stato pubblicato da Sass Rogando Sasot, una filippina che frequenta una scuola di specializzazione nei Paesi Bassi e che è diventata la principale voce a sostegno di Duterte su internet.
Dopo aver insistito per essere intervistata via mail per via dei sospetti che i mezzi d’informazione internazionali potessero distorcere le sue parole, Sasot ha detto di essere una sostenitrice dei valori progressisti di uguaglianza e libertà, e di aver iniziato ad appoggiare Duterte l’anno scorso, per via delle sue qualità di leadership e gestione. Sasot dice anche che le Filippine beneficeranno dall’approccio meno «antagonista» nei confronti della Cina. «Duterte è il tipo di persona a cui non frega un cazzo di quello che gli altri pensano di lui», ha detto, «il mio appoggio non è una difesa di Duterte in sé, ma un modo per spiegare e far capire alle persone le sue azioni, le sue politiche e le sue decisioni». Come transgender e storica attivista nella comunità lesbica, gay, bisessuale e transgender, Sasot respinge la tesi secondo cui Duterte sia anti-LGBT. Sasot ha raccontato di essere rimasta sorpresa nel vedere quanto le organizzazioni LGBT fossero avanzate nel 2001 a Davao, sull’isola di Mindanao, e attribuisce il merito a Duterte, a lungo sindaco della città. «Per questo quando Duterte è stato dipinto come candidato anti-LGBT sono stata molto esplicita nel respingere quest’idea». Duterte ha affidato incarichi di governo a diverse persone LGBT, in particolare ad Aiza Seguerra, che presiede la Commissione nazionale giovani. Nel 2012, quando era vicesindaco di Davao, Duterte guidò il passaggio di un’ordinanza anti-discriminazione nella città.
Ufficiosamente, alcuni sostenitori di Duterte potrebbero anche ammettere di fare occasionalmente uso di droghe. Magari qualche tiro di marijuana con degli amici o dell’ectasy durante un concerto di musica elettronica. Ma non le metanfetamine, conosciute nelle Filippine come “shabu”. «La “shabu” è il cancro della nostra società», ha detto Nick, che ha chiesto che non venisse riportato il suo cognome dal momento che il suo lavoro lo porta a contatto con la polizia e gli spacciatori, che teme entrambi. Suo fratello è in carcere per un reato legato alla droga e i suoi complici sono scomparsi. Nick teme che siano stati uccisi o siano scappati per sfuggire alla caccia nei loro confronti. È un sostenitore di Duterte. «Se devo essere sincero, mi piace quello che sta succedendo», ha detto, «ci sentiamo più sicuri».
Analisti internazionali sostengono che probabilmente l’uso di metanfetamine nelle Filippine non è molto più diffuso rispetto a paesi come Australia o Stati Uniti. Alcuni studi hanno mostrato che storicamente, quando manca la fiducia nelle istituzioni pubbliche, le violenze extragiudiziali possono essere viste come una soluzione. «Qui abbiamo tutti gli ingredienti che di solito servono a raccogliere il sostegno per il populismo o misure estreme», ha detto Carlos H. Conde, che lavora come ricercatore per Human Rights Watch nelle Filippine. «Ci sono decenni di disfunzioni politiche che risalgono ai tempi della dittatura di Ferdinand Marcos. Abbiamo una corruzione diffusa a tutti i livelli, disillusione nei confronti delle istituzioni, povertà diffusa e criminalità dilagante. È quasi un caso da manuale».
Human Rights Watch, che sostiene che il recente picco delle violenze nelle Filippine sia chiaramente legato alle politiche e alla retorica di Duterte, sta chiedendo alle Nazioni Unite di svolgere un’indagine approfondita. Conde, però, ha aggiunto che «dai paesi in cui sono stati usati gli “squadroni della morte” o le uccisioni extragiudiziali per combattere le bande di narcotrafficanti, come l’America Latina, sappiamo che questi metodi non sono efficaci a lungo termine». In un karaoke in una strada fatiscente nel quartiere Pasay, a Manila, dove negli ultimi mesi ci sono state diverse uccisioni, Richie Macalisang ha detto di non essere d’accordo. «I criminali stanno usando le organizzazioni per i diritti umani come scudo», ha detto Macalisang che ha 39 anni, fa il marinaio, era in attesa che la sua nave partisse per gli Stati Uniti e indossava un braccialetto bianco e blu con su scritto il nome di Duterte. «Erano stati avvertiti. Se vogliono evitare le violenze possono semplicemente costituirsi», ha aggiunto.
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