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La Camera ha approvato le unioni civili, primo passo, ma primo passo storico
Le unioni civili sono diventate legge. La Camera ha approvato con 372 voti favorevoli e 51 contrari il ddl Cirinnà sulle unioni civili. Poche ore prima la stessa aula aveva votato e approvato la questione di fiducia posta dal governo sul testo della legge. Il testo votato oggi, identico, era già stato approvato dal Senato lo scorso 25 febbraio con un voto di fiducia su un maxi-emendamento che riscriveva la legge sulla base dell’accordo trovato tra il Partito Democratico e il Nuovo Centro Destra e con alcune sostanziali modifiche rispetto alla prima versione della legge: erano stati eliminati i riferimenti alla stepchild adoption e all’obbligo di fedeltà. Per il resto la legge sulle unioni civili estende alle coppie dello stesso sesso i diritti previsti dal matrimonio civile.
Prima del voto finale, Matteo Renzi aveva scritto un post su Facebook dicendo che «è un giorno di festa per tanti, oggi» e dando per scontata l’approvazione del testo.
Il percorso della legge è stato molto complicato sia al Senato che alla Camera dove il Partito Democratico ha un’ampia maggioranza: gli emendamenti presentati alla Camera al ddl erano pochi, solo quattro deputati si erano iscritti per presentarli e Sinistra Italiana, M5S e anche alcuni deputati di Forza Italia avevano già dato il loro appoggio al testo. Nonostante questo, il governo ha deciso di porre la fiducia per evitare il rischio di modifiche o ritardi nell’approvazione. Le opposizioni hanno protestato contro questa scelta: Arturo Scotto di SI ha parlato di «grave errore» e Renato Brunetta di «squadrismo». Sono arrivate delle critiche anche dal segretario della CEI Nunzio Galantino: «Il governo ha le sue logiche, le sue esigenze, probabilmente anche le sue ragioni, ma il voto di fiducia, non solo per questo governo ma anche per quelli passati, spesso rappresenta una sconfitta per tutti».
Che cosa c’è nel ddl Cirinnà
Il disegno di legge Cirinnà già approvato al Senato (con 173 sì, 71 no e nessuna astensione) prevede l’introduzione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e la regolamentazione delle coppie di fatto, sia eterosessuali sia omosessuali. L’unione civile tra persone dello stesso sesso viene istituita come “specifica formazione sociale”. Per contrarla bisogna essere “due persone maggiorenni dello stesso sesso” e bisogna fare una dichiarazione pubblica davanti a un ufficiale di stato civile alla presenza di due testimoni. La dichiarazione viene registrata nell’archivio dello stato civile.
Non possono contrarre unioni civili le persone che sono già sposate o sono parte di un’unione civile con qualcun altro; quelle interdette per infermità mentale; quelle che sono parenti; quelle che sono state condannate in via definitiva per l’omicidio o il tentato omicidio di un precedente coniuge o contraente di unione civile parte; quelle il cui consenso all’unione è stato estorto con violenza o determinato da paura.
L’unione civile è un legame diverso dal matrimonio fra eterosessuali, anche se presenta molti doveri e diritti in comune. Le differenze: non è presente l’obbligo di fedeltà, quello di usare il cognome dell’uomo come cognome comune, l’obbligo di attendere un periodo di separazione da sei mesi a un anno prima di sciogliere l’unione (bastano tre mesi), la possibilità di sciogliere l’unione nel caso che non venga “consumata” e di fare le “pubblicazioni” prima di contrarre l’unione. Non c’è soprattutto la possibilità di chiedere l’adozione del figlio biologico del partner, la stepchild adoption, prevista nella stesura iniziale della proposta. Nel ddl c’è però scritto che «resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti»: non si impedisce cioè che i giudici si possano pronunciare. Come molte sentenze hanno ultimamente confermato, la legge permette già la stepchild adoption, ma senza alcuna garanzia e solo per quelle coppie che hanno deciso di ricorrere in tribunale.
La seconda parte della legge si occupa di convivenza di fatto tra due persone, sia eterosessuali che omosessuali, che non sono sposate e che potranno stipulare un contratto di convivenza per regolare le questioni patrimoniali tra di loro: potranno farlo attraverso una scrittura privata o con un atto pubblico che dovrà poi essere registrato da un notaio o da un avvocato e trasmesso al registro anagrafico comunale. I conviventi di fatto avranno gli stessi diritti del coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario, in caso di malattia o ricovero, in caso di morte.
Nel caso di morte di uno dei due conviventi che è anche proprietario della casa comune, il superstite ha il diritto di restare a vivere in quella casa per altri due anni o per il periodo della convivenza se superiore a due anni, comunque non oltre i cinque anni. Se nella casa di convivenza comune vivono i figli minori o i figli disabili del convivente che sopravvive, lo stesso può rimanere nella casa comune per almeno tre anni. Se il convivente che muore è titolare del contratto di affitto della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha la possibilità di succedergli nel contratto. Il diritto alla casa viene meno nel caso di una nuova convivenza con un’altra persona, o in caso di matrimonio o unione civile.
In caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice può stabilire il diritto del convivente di ricevere dall’altro gli alimenti se ne avesse bisogno e non fosse in grado di provvedere al proprio mantenimento. Gli alimenti sono assegnati per un periodo proporzionale alla durata della convivenza. La convivenza non dà diritto alla pensione di reversibilità.