Il problema delle verdure brutte
I supermercati non vogliono saperne di frutta o ortaggi sani ma dalla forma strana: in Europa e negli Stati Uniti ci sono aziende che le vendono scherzandoci sopra
Il New York Times ha raccontato la storia di Imperfect Produce, un’azienda californiana che vende pacchi di verdura nelle città della regione di San Francisco. La particolarità di Imperfect Produce è che vende verdure “brutte”: cioè tutti quegli ortaggi che i supermercati scelgono di non comprare o scartano perché esteticamente imperfetti, e quindi – nella loro ottica – poco attraenti per i clienti. Imperfect Produce ha aperto questa estate dopo una raccolta fondi online grazie alla quale ha ottenuto più di 38mila dollari, ha una decina di dipendenti e progetta di collaborare in futuro con varie catene di supermercati. Di Imperfect Produce hanno parlato diversi giornali americani – anche grazie a una campagna sui social network che abbinava efficacemente frasi comuni a verdure dalla forma strana – ma progetti simili sono attivi già da anni in Europa.
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— Imperfect Foods (@imperfect_foods) November 24, 2015
Il modello di Imperfect Produce è piuttosto semplice: ogni settimana il gruppo si fa dare da diversi agricoltori locali delle partite di verdure “brutte”, con cui riempie dei pacchi che consegna una volta alla settimana oppure ogni due settimane ai suoi “abbonati”. Ogni settimana si può scegliere se comprare un pacco di sole verdure, misto, oppure di sola frutta: il pacco misto più piccolo costa 11 euro e contiene fra i 4,5 e i 6,3 chili di verdure, a seconda di quali ci siano dentro (le verdure di Imperfect Produce cambiano a seconda della stagione). Quelli di Imperfect Produce dicono che lo fanno per offrire sia un prodotto perfettamente sano a un prezzo ridotto sia un’alternativa agli agricoltori: secondo una stima del Natural Resources Defense Council, un’importante associazione ambientalista americana, a seconda della coltivazione una percentuale compresa fra l’1 e il 30 per cento dei prodotti coltivati negli Stati Uniti non viene destinato alla vendita (gran parte finisce per diventare mangime per animali). In passato Ben Simon e Ben Chesler, i due soci fondatori, si sono già occupati di recupero del cibo: nel 2011 avevano avviato il Food Recovery Network, un programma per recuperare gli avanzi di cibo delle mense universitarie.
Simili progetti sono stati avviati già da alcuni anni in diversi paesi europei, mentre in Italia non esiste ancora un’iniziativa del genere. In Francia la catena di supermercati Intermarché, una delle più diffuse del paese, ha avviato nel 2014 Les fruits&légumes moche, un programma per vendere a prezzo ridotto frutta e verdura malconcia ma sana. I prodotti di Les fruits&légumes moche si trovano su un banco diverso dalla frutta e verdura “normale” e costano il 30 per cento in meno.
Secondo i dati diffusi da Intermarché, l’iniziativa ha avuto successo: nei negozi dove l’iniziativa è stata sperimentata l’aumento delle vendite di frutta e verdura è stato del 60 per cento, e a un anno di distanza il programma si è diffuso nei circa 1.800 supermercati della catena (e altre 5 catene concorrenti hanno adottato simili programmi, dice Intermarché). A Berlino ha aperto Culinary Misfits, un ristorante dove vengono cucinate solamente verdure brutte. Anche in Portogallo e nel Regno Unito sono state avviate cooperative o programmi per la diffusione degli ortaggi “brutti”.
Non è facile dire se iniziative del genere possano in futuro ottenere una larga diffusione. Jonathan Bloom, un giornalista che ha scritto un libro sul cibo sprecato negli Stati Uniti, ha detto al New York Times che «esiste una specie di problema dell’uovo e della gallina: i supermercati dicono che non vendono questo tipo di frutta e verdura perché la gente non le compra, mentre le persone ti dicono che vorrebbero comprarle ma che i supermercati non le vendono. E poi c’è ancora una convinzione viscerale per cui siamo convinti che un cibo dall’aspetto perfetto non ci farà male».
Esiste anche un problema di regole: nel 2009 la Commissione Europea ha ridotto da 36 a 10 le regole generali da rispettare affinché frutta e verdura possano essere vendute nei supermercati, ma per molti ortaggi esistono ancora delle limitazioni che sono state studiate per rispettare dei limiti sanitari. Per esempio, secondo la Commissione i pomodori devono essere «puliti e praticamente liberi da ogni traccia visibile di materiale esterno» e «dall’aspetto fresco». Sono poi previste tre “classi” a seconda delle loro condizioni, la cui più bassa prevede che i pomodori possano avere «dei leggeri difetti nella forma».