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In 30 anni non hanno ancora fatto diminuire le emissioni di gas serra, ma se non ci fossero non avremmo le politiche per la transizione energetica

Perché le COP sul clima sono importanti

Stimolare sensibilità e attenzioni verso gruppi umani non ancora esistenti è uno degli ostacoli a un maggiore impegno per contrastare le crisi globali, compresa quella climatica

Non siamo fatti per provare empatia per le generazioni future

È il modo in cui le dita dei lanciatori toccano la palla, un aspetto che finora era sempre sembrato, ehm, intangibile

La prossima cosa che il baseball vuole misurare

Dopo un periodo in cui erano scomparse nel mondo dello spettacolo si vedono di nuovo, nonostante facciano male: o forse anche per quello

Le sigarette stanno tornando un po’ di moda

I “jazz kissa”, locali con grandi collezioni di vinili e costosi impianti hi-fi, sono tipici della cultura giapponese: comincia a vedersi qualcosa di simile anche qui

I bar in cui si ascolta la musica come si deve

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Il nuovo video di David Bowie

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È stato uno dei primi dischi di un artista importante a essere disponibile prima nella versione digitale che in quella fisica. Alcune canzoni erano state composte per la colonna sonora di un videogioco per la Dreamcast, Omikron: The Nomad Soul. Secondo David Sackllah, una delle cose più belle del disco è la copertina, con un Bowie ringiovanito al computer che sorregge il Bowie più vecchio («con vestiti bianchi e kitch e il font che avreste potuto trovare su un disco dei Backstreet Boys»). È l’ultimo disco per il quale Bowie collaborò con il suo storico chitarrista Reeves Gabrels. Non è un disco stravagante come gli altri, e questo secondo Sackllah è un difetto: non è propriamente brutto, ma è «noioso e non ispirato». Quando Bowie faceva uscire dischi sbagliati (soprattutto negli anni Novanta), scrive Sackllah, di solito non era perché non ci avesse provato: per Hours è così.

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È un disco in realtà prodotto come colonna sonora della serie tv dallo stesso nome, ma in realtà Bowie usò le canzoni composte per la televisione solo come punto di partenza, conservando i temi e le strutture delle originali ma “rallentandoli” o “allungandoli”. Questa cosa fu un po’ l’unica davvero originale del disco, e infatti si discusse a lungo se inserirlo o meno nella sua discografia. Secondo David Sackllah è un disco ispirato dal synth degli anni Ottanta, dai Kraftwek ai Pet Shop Boys. È co-prodotto dallo storico collaboratore David Richard, e suonato anche dal pianista Mike Garson (e Lenny Kravitz suona la chitarra in “Are You Gonna Go My Way”). Secondo Sackllah non è il peggiore disco di Bowie, anche se alcuni lo considerano tale, ma non sposta avanti quello che Bowie aveva fatto fino a quel momento: è un altro disco spento «in un decennio dove ha fatto uscire alcuni dei suoi lavori più deludenti».

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Il primo LP di Bowie, registrato quando aveva 19 anni: «una specie di demo per tutte le sonorità alle quali Bowie poteva essere interessato all’epoca». Suona come un disco di Brit-pop anni Sessanta, e ha una delle copertine meno interessanti della sua carriera, secondo Consequence of Sound: «ma guardate a quello sguardo intenso e androgino: implorava di essere guardato». Fu prodotto da Mike Vernon, che poi non lavorò più con Bowie (ma con Eric Clapton e i Fleetwood Mac, tra gli altri). Con questo disco Bowie mise subito in mostra la sua capacità di passare dal pop al rock, e le sue straordinarie doti che non controllava ancora appieno.

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È un disco di cover di canzoni glam rock britanniche che non avevano sfondato negli Stati Uniti, come lo definì il produttore Ken Scott. Sulla copertina c’è la famosa supermodel inglese Twiggy (la stessa del distributore di benzina nel film “Blues Brothers”, per capirci). «Non ci stiamo lamentando, ma quando i primi anni della carriera di Bowie si erano dedicati a musica nuova e creativa, un disco di cover non era quello che ci si aspettava». Ma il sound di Bowie rimase intatto anche mentre suonava gli Yardbirds o i Pink Floyd, scrive Blake Goble.

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All’inizio degli anni Duemila, dopo aver registrato Heathen, sembrava che Bowie avesse ritrovato una notevole energia: questo disco, prodotto di nuovo dallo storico produttore Tony Visconti, non andò molto bene, e Bowie non fece più musica per dieci anni, fino al 2013 e a The Next Day. Secondo Pat Levy non è comunque un brutto disco, semplicemente forse in quel momento nell’industria musicale non c’era posto per Bowie. La copertina è del designer Jonathan Barnbrook, e nel disco ci sono due cover, “Pablo Picasso” dei Modern Lovers e “Try Some, Buy Some” di George Harrison che dovevano finire in Pin Ups 2, mai registrato (e in generale molte canzoni del disco sono vecchi pezzi che non erano finiti da un’altra parte).

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Dopo l’enorme successo della hit del 1983 “Let’s Dance”, Bowie ebbe un rinnovato successo e moltissimi nuovi fan: e questo lo portò un po’ in crisi mentre cercava di capire che cosa volessero questi nuovi appassionati, e quale fosse il suo ruolo nel mondo della musica pop. Dopo l’insuccesso del disco Never Let Me Down, formò i Tin Machine: i loro concerti, a differenza dei soliti di Bowie, erano meno teatrali e più piccoli. Lui si tagliò il mullet e si fece crescere un po’ di barba, rendendosi quasi irriconoscibile e sicuramente più discreto. L’hard rock dei Tin Machine, lontano dagli eccessi degli anni Ottanta, pose qualche base per il grundge. Secondo Cap Blackyard è stato il cambiamento più radicale nella carriera di Bowie, anche per il fatto che si adattò alle dinamiche di una band. Lui rimase molto insoddisfatto dei testi, che giudicava i peggiori della sua carriera.

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Bowie scrisse questo disco in due settimane e mezzo, subito dopo essere rientrato dal tour di Outside, facendosi influenzare da artisti molto popolari in quel periodo come i Prodigy, gli Underworld e i Nine Inch Nails. Bowie voleva fare quindi un disco ispirato all’elettronica, ma preferì continuare a registrare le parti strumentali ritmiche e melodiche prima di campionarle. La copertina, secondo David Sackllah, fu la più bella da parecchio tempo. Con questo disco Bowie abbandonò momentaneamente la sua ricerca musicale proiettata al futuro per fare qualcosa di molto contemporaneo: e per questo a riascoltarlo oggi appare un po’ datato.

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Insieme agli altri primi dischi arrivati dopo “Let’s Dance”, non è amato né dai fan, né dalla critica né da Bowie stesso (nonostante, scrive Blackard, anche i dischi meno riusciti di Bowie sono comunque meglio di quelli della maggior parte degli altri). Il disco vendette comunque bene, e seguì un tour monumentale: la critica però lo stroncò, e questo spinse Bowie a prendere una nuova direzione (i Tin Machine). Per Never Let Me Down cercò di fare un disco teatrale come un musical anni Cinquanta ma suonato con una band ridotta, così da poter avere spazio sul palco per dei ballerini. Secondo Blackyard era troppo per il 1987, ma oggi dovrebbe essere rivalutato: «se “Time Will Crawl” non funziona con voi, non so proprio cosa lo fa».

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Fu il primo disco dopo il successo enorme di Let’s Dance e del tour che ne seguì, “Serious Moonlight Tour”, e corrispose a un momento di stallo nella carriera di Bowie, che in un’intervista nel 1997 spiegò, riferendosi ai moltissimi nuovi fan: «Mi ricordo che guardavo a queste folle e pensavo: “mi chiedo quanti dischi dei Velvet Underground” abbia questa gente nella propria collezione di dischi”». La band è la stessa di Let’s Dance , ma senza il produttore Nile Rodgers. Tonight, che è composto in buona parte da cover, fu una specie di primo passo falso nella carriera di Bowie: anche quando aveva fatto dei dischi che non avevano venduto bene, era sempre riuscito a sorprendere i fan e a spostare avanti la sua musica. Contiene però “Loving the Alien”, una delle canzoni di Bowie più famose.

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È il primo disco di Bowie prodotto dalla Columbia, e riprende alcuni vecchi pezzi che non erano stati usciti in un disco un paio di anni prima. Nel disco suonano anche Dave Grohl e Pete Townsend, e secondo Goble il risultato è «una celebrazione dell’eredità dello stesso Bowie con le sue sonorità sapientemente confezionate. (…) Heathen è solido art rock. Suona vecchio e nuovo, o meglio, suona come se Bowie stesse provando quanto sa essere bravo anche quando non ci sta provando così tanto».

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Una classifica argomentata di tutti gli album che il magazine "Consequence of Sound" aveva messo insieme per l'uscita di "Blackstar"

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